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Editoriale / L’informazione

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di Emilio Salvatore

È uscito in questo primo mese dell’anno il nuovo romanzo di Umberto Eco: Numero Zero, che ha come protagonista il mondo dell’informazione.
Di tale realtà ci viene offerta una presentazione a tinte grottesche: una redazione scalcinata che prepara un quotidiano destinato al ricatto per il suo editore: Benito Mussolini. Una sorta di perfetto manuale per il cattivo giornalismo, a metà tra la finzione e la realtà storica degli uomini dal 1992, dai mesi di Tangentopoli, ai nostri giorni.
In un certo senso questo romanzo dice bene il principale problema del nostro tempo: la fine dell’informazione pura e la faziosità in tutte le sue manifestazioni sempre più diffusa dai giornali, alle TV, da internet ecc.
Assistiamo sempre più spesso a un travisamento delle parole, ad una distorsione del messaggio, ad una incapacità di ascolto per cui potremmo fare infiniti esempi. Ne prendo uno per tutti: il Papa. Se c’è una persona che nella comunicazione è semplice e diretto è Papa Francesco. Tuttavia le sue parole vengono spesso fraintese. Un esempio, quello del pugno come risposta all’insulto (in risposta alla domanda dei giornalisti sulla reazione islamica alle vignette di Charlie Hebdo), di tipo chiaramente iperbolico, apparsa come una sorta di giustificazione della reazione islamica, mentre invece è stato un invito al rispetto. Inoltre i suoi discorsi, il suo pensiero, il suo progetto di riforma della Chiesa, di ben ampio respiro, viene ridotto a battutine sulla Curia, sui preti, sulle suore.

Assistiamo sempre più spesso a un travisamento delle parole, ad una distorsione del messaggio, ad una incapacità di ascolto

Un altro episodio ha chiaramente palesato questa mala interpretazione delle sue parole quando – pochi giorni prima di Natale – è stato diffuso il suo messaggio alla Curia romana.
Il Papa offriva una sorta di traccia per l’esame di coscienza, enumerando le malattie di questo corpo certamente utile e vitale per la vita della Chiesa: la malattia del sentirsi «immortale» o «indispensabile» vera e propria patologia del potere; la malattia dell’eccessiva operosità, che porta alla dispersione; la malattia dell’«impietrimento» mentale e spirituale, tipica di chi diventa “macchina di pratiche” e non uomo di Dio»; la malattia dell’eccessiva pianificazione, ignorando l’azione dello Spirito libero e trasformante; la malattia del mal coordinamento, frutto di una mancanza di vera comunione; la malattia dell’Alzheimer spirituale, tipica di chi ha «perso la memoria» del suo incontro con il Signore, scambiando le sue abitudini per la Parola del Signore; la malattia della rivalità e della vanagloria («Quando l’apparenza, i colori delle vesti e le insegne di onorificenza diventano l’obiettivo primario della vita… »); la malattia della schizofrenia esistenziale di coloro che vivono «una doppia vita, frutto dell’ipocrisia tipica del mediocre e del progressivo vuoto spirituale che lauree o titoli accademici non possono colmare»; la malattia delle chiacchiere e dei pettegolezzi che fa di ognuno un “seminatore di zizzania” (come satana), e in tanti casi “omicida a sangue freddo” della fama dei propri colleghi e confratelli; la malattia di divinizzare i capi, segnata dall’adulazione per fini personali; la malattia dell’indifferenza verso gli altri, fatta di chiusura e di invidia; la malattia della faccia funerea che dietro «la severità teatrale e il pessimismo sterile», rivelano paura ed insicurezza di sé; la malattia dell’accumulare, per non sentirsi soli; la malattia dei circoli chiusi, della faziosità; la malattia del profitto mondano, degli esibizionismi.
La stampa ha solo colto l’ennesima strigliatina del Papa ai cardinali, ma in realtà quelle malattie che nella Curia allignano sono comuni a tutta la Chiesa, ai nostri Presbiteri, ai nostri ambienti, alle nostre parrocchie. Il pensiero del Papa è così ignorato nella sostanza e ridotto a pura esternazione, a slogan mediatici che passano senza incidere con un discorso serio, profondo nel rinnovamento ecclesiale a tutti i livelli.stampa-giornali
E così tanti altri esempi si potrebbero fare anche a casa nostra. Ci si ferma su un’espressione, si costruisce una sorta di demonizzazione di quella frase, di quella persona, ignorando la sostanza del suo discorso, l’intenzionalità che la sostiene, la coerenza tra quella frase e tutta una vita.
Occorre dunque ritornare a saper interpretare, ad una competenza ermeneutica, che nasca non dal sospetto continuo, ma dall’accoglienza e dal rispetto.
Sant’Ignazio nelle Annotazioni (22) degli Esercizi Spirituali ci insegna :«…è da presupporre che un buon cristiano deve essere propenso a difendere piuttosto che a condannare l’affermazione di un altro. Se non può difenderla, cerchi di chiarire in che senso l’altro la intende; se la intende in modo erroneo, lo corregga benevolmente; se questo non basta, impieghi tutti i mezzi opportuni perché la intenda correttamente, e così possa salvarsi». In altri termini occorre una pregiudiziale aperta e positiva circa gli atteggiamenti, le parole, la sincera ricerca degli altri.
Dunque, ricapitolando: buona informazione è non alimentare accuse; non deformare il pensiero di un altro; ma predisporsi positivamente a “pensare bene” per poter capire l’altro empaticamente e coglierne l’autentico messaggio. L’etica della comunicazione non è un fatto che riguarda solo i grandi della terra oggi; tocca tutti noi e ci invita a cambiare stile da malpensante a benpensante.

1 COMMENTO

  1. Don Emilio, nel suo articolo emerge con piena osservazione quella che è la realtà che ci circonda,tuttavia sarebbe opportuno formare le persone a capire come rivedere i propri giudizi e atteggiamenti di vita che ,a volte,inconsapevolmente, procurano gravi danni.
    Anche nei piccoli centri si osserva tanta indifferenza verso chi ha fame,chi è solo,chi è ammalato,chi ha problemi di qualsivoglia natura come se tutto fosse naturale.Emerge una totale assuefazione al disagio altrui come se ognuno stesse sulla corretta via.

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