Intervista al vescovo emerito di Caserta: “Continuo a sentirla immobile queasta città”.
CASERTA – La canonica della chiesa del Redentore affacciata su piazza Ruggiero, a sinistra la Casa Comunale, di fronte il Palazzo delle Poste, a destra la Curia Diocesana, sotto le finestre del piccolo appartamento gira e suona la giostrina per bambini. Dalla finestra padre Raffaele Nogaro, vescovo emerito, osserva una fetta della Caserta che continua ad amare. «E che non posso frequentare, avvertendo comunque il suo sofferto vivere» dice. La poltrona accanto al letto che è uno splendore di bianco, lo accoglie per l’intera giornata. Vive un inciampo di salute, padre Nogaro; si cura, un po’ di dimagrimento fisiologico, ma il colorito roseo costituisce rallegramento e soddisfazione per chi viene a fargli visita, a intrecciare conversazioni e ricordi. Il 31 dicembre ha compiuto gli anni, sono 78, fino a quattro anni fa, quando reggeva ancora il pastorale, le sue omelie al Te Deum di fine anno erano attese e commentate per giorni, filtravano il consuntivo, setacciavano l’agire dei politici e degli amministratori, spesso parole di fuoco nei confronti di chi il «prossimo», soprattutto quello indigente, umile, forestiero, non si lo filava proprio.
Caserta filtrata dalla finestra, è cambiata?
Gli occhi, quasi rispondono in anticipo. Dice: «Continuo a sentirla immobile, questa città. Continua a non aprirsi, questa città. Continua a non esprimere una inventiva culturale, pur con le tante menti che ha ma fra di loro frazionate. Continua a non fare progetti, a non leggere i segni dei tempi, a non usarli per cambiare se stessa. Oggi, contro tutto quel che è stato il mio credo, arrivo a chiedermi se non si debba desiderare la comparsa, nella guida politica e amministrativa della città, di un leader, un’unica persona ispiratrice che colga l’articolazione della storia e indichi la strada da seguire».
In un angolo della finestra, uno spicchio della Casa Comunale: li sa i problemi che vi si vivono?
«Certo — dice padre Nogaro —. Si vivono tempi difficili, la crisi locale che si aggiunge alla crisi nazionale e mondiale. Caserta è ancora e sempre carente nei servizi essenziali, negli anni, è amaro constatarlo, non ha avuto amministratori che si siano votati interamente al bene della città. Ero vescovo a Sessa Aurunca e avvertivo palpiti, animosità politica operativa di politici del posto. A Caserta ho stentato a coglierne». Il vescovo emerito racconta: «Venivano echi dalla vicina Maddaloni, due parlamentari locali per volta anche quando c’era il collegio con Napoli. Nel capoluogo, sempre succubi di Napoli. E l’università che ne è sempre dipendente lo dimostra. Caserta deve recuperare il tempo perduto, ne ha le potenzialità, queste rappresentate da una cittadinanza che deve prendere coscienza di se stessa». I giornali sul tavolinetto, ne accenniamo.
Lo sa, padre Nogaro, che si continua a puntare l’indice contro i giornalisti che non parlano bene della propria città?
Chiariamo: non è un’accusa diretta ma dalle raccomandazioni ultime del sindaco Pio Del Gaudio «a narrare senza infingimenti la nostra realtà e la bellezza dei nostri luoghi» è chiara la elegante reprimenda. Nogaro: «Ma come si fa ad essere obiettivi, osservando soltanto il bello e nascondendo il suo contrario? La politica della testa sotto la sabbia non ha mai fatto bene a nessuna causa».
La Caserta senza identità, quindi: quale l’auspicabile modello?
«Ma quello della Civitas – dice padre Nogaro -. Caserta deve riappropriarsi della sua storia, che cominciò nel Borgo Medievale non con la reggia che è venuta dopo. Questa, oltretutto, nemmeno la si sfrutta per il benessere comune».
Fonte: Franco Tontoli – Corriere del Mezzogiorno