Home Attualità Alessandro Parisi: “Caro Daniele, ti racconto la mia fontana”

Alessandro Parisi: “Caro Daniele, ti racconto la mia fontana”

Replica dell'artista, Alessandro Parisi, alla proposta di Daniele Ferrucci di abbattere la fontana di piazza del Carmine.

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“Mi sono divertito ad immaginare giochi d’acqua, attraverso geometrie semplificate”. Eccolo Alessandro Parisi, architetto, artista molto noto in città e fra i comuni della valle alifana, già assessore al patrimonio del Comune di Alife e attivo sostenitore del recupero del bellissmo anifiteatro e del criptoportico della città romana, tornati alla luce anche grazie al suo tenace impegno.fontana parisi piazza carmine

Era il 1983 e Parisi vinse un concorso bandito dall’amministrazione comunale di Piedimonte, per l’ideazione di una fontana che avrebbe dovuto ridefinire il volto di piazza del Carmine. Detto e fatto: Parisi ideò un bozzetto ispirandosi al Matese e alla sua ricchezza d’acqua, ne ricavò un progetto e il verdetto della commissione fu inequivocabile: primo classificato.

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Oggi, la fontana è il dimenticatoio della città, un angolo reietto in disuso, ricettacolo di rifiuti, uno spazio rimosso dal senso dell’identità collettiva, pur avendo avuto il suo autore un progetto ambizioso, quello di sintetizzare proprio l’identità dei piedimontesi e del Matese. Lo testimonia in maniera assai eloquente un verso del poeta Ludovico Paterno, che campeggia su un lato della fontana: “Puri e limpidi cristalli del tuo pianger Toran di Cila figlio”.

E Alessandro Parisi parte proprio da questo verso, per chiarire il significato della sua opera: “Anticamente si credeva che il Torano fosse figlio del Monte Cila. Ma si sbagliava: in realtà è il fiume Maretto che sgorga dal Cila. Il Torano ha una storia molto più sottorreanea. E per l’ideazione della fontana io mi ispirai proprio alla ricchezza d’acqua del Matese. Volli raccontare di questo bene prezioso che abbonda nella città di Piedimonte e che Piedimonte ha donato ad una città e ad un’isola assetate: Napoli e Ischia”. Un gioco di geometrie semplificate, lo definisce Parisi. L’acqua che sgorga dalle vette del Matese viene rappresentata dalla lunga struttura verticale, che alla sommità reca una fessura, da cui sgorga l’acqua. Attraverso un susseguirsi di salti, sbalzi e zampilli, a simboleggiare le sorgenti del Matese, l’acqua raggiunge i due bracci laterali (ora ostruiti dalla terra): sono i torrenti che giungono al piano, si rovesciano  e si dipartono lungo la valle alifana, nel loro gioco di sbalzi regolari, fino a coprire ogni dislivello e a raggiungere lo stato di “acqua cheta” la chiama Parisi. In basso, le grandi vasche di raccolta, a simboleggiare la ricchezza distribuita ovunque, la forza del Matese che permette di irrigare i campi e di dissetare città grandi e piccole. “Intesi superare l’idea del canone berniniano o della fontana tardorinascimentale – racconta Parisi – perché per piazza del Carmine era richiesto un progetto che fosse in linea con le architetture urbane più moderne. Quindi immaginai una vetta simboleggiata dalla struttura verticale che somigliasse alle alture del Matese, mi ispirai contemplando un rivolo d’acqua che avevo visto fuoriuscire dalle rocce di Castello del Matese, dopo una settimana di possenti piogge. E allora immaginai gli strapiombi, gli inghiottitoi carsici matesini, i fiotti zampillanti, il festoso spumeggiare delle sorgenti. La discesa dell’acqua lungo i gradini della fontana avrebbe dovuto rappresentare questo spettacolare gioco della natura, fino a raggiungere le due vasche laterali, dalle cui superfici levigate l’acqua sarebbe scesa in piano, a rappresentare i docili fiumi della vallata.

Non fu semplice raccontare plasticamente le impervie rocce del Matese e la dolcezza dei declivi che giungono a valle. L’acqua tracimante, come quella del Torano, prima che il fiume fosse rinchiuso nell’alveo sotterraneo, avrebbe dovuto avere la sua forza simbolica in un’opera pubblica che oggi è priva del suo elemento essenziale. Una fontana inscheletrita, morta”. Colpa del sistema di pompaggio idraulico: l’alimentazione dei getti d’acqua doveva essere assicurata dal riciclo, ottenuto grazie ad un sistema di pompaggio a bassa prevalenza: l’errore fu quello di alimentarlo con corrente a 22o anziché a 380.Lo sforzo eccessivo dei motori provocava continui guasti al sistema di pompaggio.

Motivo dell’attuale stato di abbandono. Scomparso, quindi, il turbinio che l’artista aveva in mente quando buttava giù i primi bozzetti: scomparsa la docile discesa dell’acqua zampillante lungo i gradini, a secco anche la seconda fessura posta sul retro della fontana, il cui getto a coda di cavallo avrebbe dovuto simboleggiare il flutto strapiombante su due grossi gradoni spezzati. “Volevo rendere il racconto ipogeo, ancestrale, preistorico delle nostre acque – aggiunge Parisi contemplando oggi lo scheletro rigido della sua fontana – narrare la storia primigenia di quei limpidi cristalli celebrati da Ludovico Paterno, a cui Piedimonte ha persino intitolato un importante vallone, l’acqua che dalle rocce torna alla terra e la rende fertile”.

L’arte concettuale, però, è stata ingabbiata dall’incuria e dai guasti meccanici: dalle vasche di raccolta sottostanti la fontana, gli aspiratori, negli anni, hanno risucchiato anche i rifiuti, le reti logore e squarciate hanno determinato la rottura delle ventole e dei motori. “Le opere pubbliche – commenta amareggiato Parisi – vanno manutenute, io volli rappresentare un concetto nuovo che narrasse l’ambiente in un modo geometrizzato. Un rischio, certo, perché si trattava di un progetto di non facile lettura, che diventa assolutamente ostico, oggi, con la fontana privata dei flutti vitali dell’acqua”. Oggi le sue vasche sono state completamente snaturate. E vi è stata posta addirittura della terra: non più vele d’acqua, ma erbacce mute e immobili. La stessa scelta del materiale, in cemento armato, non fu casuale: nessun rivestimento in mosaico, perché la roccia non ha mosaici.

Solo una possente struttura in grado di reggere la forza e la maestosità dell’acqua. Persino alcune zampillature realizzate successivamente sono rimaste ostruite, perché le cicche di sigaretta hanno rovinato tutti gli ugelli. Ed ora, puntuale come ad ogni campagna elettorale, torna la proposta di abbattimento, stavolta avanzata da Daniele Ferrucci, candidato sindaco di Progetto civico per Piedimonte. Dalla vitalità festante dell’acqua che ispirò l’opera concettuale, ad un frettoloso e perentorio  requiem elettorale. “Va abbattuta ” ha sentenziato Ferrucci. E intanto, tra una giunta e l’altra, le linee svettanti della “fontana nuova” di Parisi puntano inermi il cielo azzurro del Matese.

1 COMMENTO

  1. Indubbiamente l’artista Parisi ha ragioni da vendere nella difesa della fontana di Piazza del Carmine ma, lo stato di abbandono, gli errori nel valutare la portata dell’acqua e quant’altro è possibile aggiungere, non certo risolvono il problema di cosa fare della fontana e di come riqualificare la Piazza. Forse andrebbe completamente ridisegnata la Piazza? E della fontana, o meglio ex fontana, cosa ne facciamo???

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