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Pasta italiana con pomodoro cinese

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Che cosa rimane di un genuino piatto italiano?

Benvenuta alla pasta autarchica. L’aggettivo non è dei migliori, poiché rimanda ad altra epoca in cui i prodotti cosiddetti autarchici non erano proprio il massimo della bontà, ma così è stata ribattezzata dai giornali la pasta “100% Italia” prodotta su iniziativa congiunta Coldiretti e Coop con semola di grano duro coltivato in Italia e acqua (anche questa!) genuinamente italiana. La qualità la giudicheranno ora i consumatori, almeno quelli dal palato tanto raffinato da distinguere tra grano duro italiano e grano duro di provenienza estera, solitamente canadese. Sì, perché la differenza tra la “nuova” e la “vecchia” pasta, per dire quella che abbiamo mangiato finora, sta tutta qui. Nella nazionalità del grano duro impiegato. Iniziativa lodevolissima, intendiamoci, la pasta “100% Italia”, non fosse altro perché si traduce in un riconoscimento al lavoro e alla serietà degli agricoltori italiani e anche nella promozione del nostro territorio e del nostro sistema agricolo. Però, sia consentito un però, originato dalla semplice osservazione che è difficile, per non dire impossibile, che gli italiani mangino la pasta scondita, per quanto italiana e dunque ottima. Qualcosa sopra ci devono pur mettere.

E, visto quello che circola nel mercato, c’è il serio rischio che l’italianità certificata e garantita della nostra pasta finisca per soccombere sotto un mix di condimenti che più eterogenei non si può dal punto di vista della provenienza: pomodoro cinese, aglio parimenti cinese o argentino o spagnolo, cipolle d’Egitto, olio d’oliva tunisino o turco, tonno thailandese e via di questo passo… internazionale. Con il che il “mangiare italiano”, tanto raccomandato dai dietisti, va a farsi benedire. Intendiamoci, anche qui: nessuna esterofobia, né tantomeno una sorta di “razzismo” alimentare nei confronti di prodotti che saranno (diamo col beneficio d’inventario) pur buoni e genuini. Del resto in un mondo globalizzato sarebbe impensabile poter continuare a mangiare tutto ed esclusivamente italiano. Dobbiamo abituarci ai “matrimoni” misti, anche nel piatto. Sarebbe auspicabile, però, che operazioni come questa della pasta “100% Italia” fossero realizzate per altri prodotti di largo consumo, a evitare confusioni sulla provenienza di ciò che arriva sulla nostra tavola, confusioni ancora all’ordine del giorno nonostante una presunta maggiore trasparenza delle etichette. Quando leggiamo su una marca di tonno, tradizionalmente italiana, il messaggio a chiare lettere “Fatto come piace a noi italiani” e poi scopriamo in caratteri minuti “Origine Tailandia” (sic), c’è qualcosa che non va e non ci piace. E così su bottiglie di olio d’oliva che recano in bella evidenza nomi di produttori o luoghi di provenienza suggestivi, come “Azienda olearia del Chianti” oppure “Bitonto”, salvo poi scoprire che Toscana e Puglia non c’entrano affatto trattandosi di miscele di oli comunitari o extracomunitari. Si potrebbe continuare, ma ci aspetta un piatto di pasta fumante, di quella italiana al cento per cento. Tanto buona che forse è meglio, e più salutare, mangiarla scondita. Sentite a me. A proposito: avete controllato da dove viene il sale?
Piero Isola (www.agensir.it)

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