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Vocazioni. Da Roma l'intervista del Sir a don Emilio Salvatore

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Occorrono nuovi linguaggi e proposte chiare. Parla don Emilio Salvatore, direttore di Clarus e Direttore del Centro Vocazioni della Campania

“Progetta con Dio… Abita il futuro. Le vocazioni segno della Speranza fondata sulla Fede”: è questo il tema del convegno nazionale tenuto a Roma dal 3 al 5 gennaio, su iniziativa dell’Ufficio nazionale Cei per la pastorale delle vocazioni. Presso la Domus Pacis-Torre Rossa Park Hotel sono riuniti oltre duecento tra direttori regionali, diocesani ed esperti di pastorale vocazionale, insieme ai direttori e formatori di seminari e degli istituti di vita consacrata maschili e femminili, e a numerosi collaboratori laici. Tra i relatori invitati al convegno, mons. Francesco Lambiasi (vescovo di Rimini e presidente della Commissione episcopale per il clero e la vita consacrata), don Brendan Leahy (teologo della Pontificia Università di Maynooth, Irlanda), Nuria Calduch Benages (biblista del Pontificio Istituto Biblico), Annachiara Valle (direttrice rivista “Madre”), mons. Bruno Forte (arcivescovo di Chieti-Vasto e teologo). I dati disponibili circa le vocazioni sono i seguenti: nel mondo i presbiteri diocesani sono oltre 270 mila, i presbiteri religiosi 135 mila, i diaconi permanenti 36 mila, le religiose 750 mila, i seminaristi 120 mila. In Italia i preti diocesani sono circa 32 mila, i religiosi 16 mila, le religiose 90 mila. I seminaristi italiani (tra diocesani e religiosi) sono circa 5.500. Sul tema delle vocazioni nel nostro Paese, Luigi Crimella per il Sir ha intervistato uno dei convegnisti, don Emilio Salvatore, biblista e direttore dell’Ufficio regionale della Campania di pastorale delle vocazioni.

Come è da intendere oggi la “vocazione”?

“Anzitutto non bisogna dissociare l’orizzonte della propria risposta vocazionale dalla vita concreta, quotidiana. La Chiesa non ha bisogno di ‘reclutare’ personale specializzato, occorre invece che cresca la consapevolezza in tutti i fedeli che la propria personale risposta a Dio e ai fratelli è il mettere in pratica la ‘vocazione’ ricevuta. Parlare di vocazioni oggi è una ‘sfida’ alla mentalità corrente, che appare poco propensa a questa dimensione, pertanto occorre saper usare nuovi linguaggi e formulare proposte chiare”.
Come valuta la situazione delle vocazioni in Italia?
“Sui numeri non c’è un ‘crollo’, anche se la tenuta è maggiore per i candidati al presbiterato rispetto alla vita religiosa. Positivi i dati circa la vita contemplativa che mantiene un suo particolare fascino. Invece va notato che, rispetto ad un certo risveglio vocazionale del periodo immediatamente dopo il Giubileo del 2000, si registra una battuta di arresto, non generalizzata ma diffusa. Non è tanto nei numeri ma nel ‘sentire’ comune, anche nei nostri ambienti ecclesiali. Riguarda in particolare la figura del sacerdote e forse il fenomeno è da ricollegare agli scandali recenti. Qualche crepa c’è, magari rinfocolata da un certo anticlericalismo di ritorno. Direi che dalle parrocchie deve ripartire un discorso franco e aperto di rilancio delle vocazioni”.
Forse i parroci non fanno abbastanza?
“Non tutti, non dovunque. Ma si coglie, da parte degli uffici regionali, una situazione diffusa in cui la cultura vocazionale e le conseguenti proposte specifiche non sempre nelle parrocchie sono poste al centro dell’attenzione. Occorrerebbe una visione più chiara e determinata circa l’importanza della cura e dell’accompagnamento spirituale, cominciando col creare un humusfavorevole”.
Quale l’età migliore per proporre apertamente la prospettiva della vocazione di donazione a Dio?
“Tutte le stagioni sono buone. Oggi sembra che la maggior parte delle persone che scelgono una speciale consacrazione sono nella tarda adolescenza o già giovani-adulti. Ma a mio avviso sarebbe un errore trascurare la proposta, adeguata nei modi, per bambini e ragazzi. L’input vocazionale non può arrivare a un certo punto della vita ‘a freddo’. È chiaro che il Signore chiama chi vuole e quando vuole, ma bisogna cominciare a educare alla vocazione sin dalla famiglia. Gli sposi rispondono a una ‘vocazione’ d’amore, nascono i figli come dono e vocazione, la famiglia diventa il primo piccolo seminario dove si mettono i germi di tutte le vocazioni”.
Quindi lei vede i genitori come i primi animatori di pastorale vocazionale?
“Sì perché, educando i figli ai valori belli della vita, possono prospettare ogni vocazione: da quella matrimoniale a quella di speciale consacrazione, tutte chiamate di Dio in vista di una specifica missione”.


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