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Un campione vero. Si chiama Nibali

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Un messinese che vince nella tempesta di neve delle Cime di Lavaredo

Dopo qualche giorno, smaltite le tossine emotive, è bene tornare su una delle edizioni più memorabili del Giro d’Italia. Il Belpaese ha infatti ritrovato un campione vero, un alfiere pronto a farci sognare come non accadeva dai tempi dello sfortunato Pantani. Vedere un siciliano come Vincenzo Nibali, farsi largo nella tempesta di neve delle Cime di Lavaredo è qualcosa che va al di là della performance sportiva: diventa impresa epica, fatta di uomini veri, con tempo da lupi, cadute in serie, bufere. E poi il ritorno alla suggestione dell’uomo solo al comando, con un messinese che senza false modestie ripercorre nel gelo le gesta del campionissimo, di quel Fausto Coppi che ancora tutti ricordano come l’eroe ciclista più leggendario di tutti i tempi. Accanto a queste tappe entusiasmanti c’è però la vergogna di un nuovo caso di doping, con la positività all’Epo di Di Luca (peraltro recidivo) che non possiamo, non dobbiamo, nascondere sotto il tappeto di un Giro comunque memorabile.
Una corsa Rosa, dunque, che riflette le contraddizioni di un Paese intero, che non ti fa mai gioire a pieno perché improvvisamente può spuntare lo scandalo, un labirinto dove angeli e demoni si rincorrono in perpetuo, sulle due ruote della vita come dello sport, senza mai toccarsi, come in una cronometro contro il destino, che regala emozioni forti, che non emette mai verdetto definitivo. Però davanti all’impresa di Nibali, tutte le miserie di un marcio senza fine sembrano evaporare. Già il Gavia, qualche anno fa, ci fece capire di che pasta erano fatti i corridori, ma nella tappa dolomitica di quest’anno, con un clima che ci ha scaraventato in pieno inverno e quegli omini in bicicletta che pur barcollando, trovavano la forza di restare in sella, scalando nella tormenta le Tre Cime con la forza della disperazione, sempre più gelati e imbiancati, non possono non farci amare il ciclismo. Maledetto, a volte venduto o dopato, ma che sa rinascere sempre, dalle sue ceneri. Altrimenti non si spiegherebbe neppure quell’enorme scia di folla che ha sfidato le intemperie per salutare anche solo per un attimo i suoi campioni. Il Giro d’Italia e la sua gente: è questo il segreto, un’alchimia strana messa impietosamente in forse ogni anno dagli scandali, eppure sempre disposta a ripartire daccapo. Anche in tv è stato un tripudio, con il record d’ascolti sia per la tappa del Galibier sia per Lavaredo, con il 30% di share: tutti volevano vedere come uno squalo dello Stretto come Nibali potesse nuotare nella neve, tutti sono rimasti strabiliati dalle sue pedalate, capaci di battere il superfavorito Wiggins, tenere a distanza i pur bravi Uran ed Evans, staccando uno sfortunato e coraggioso Scarponi e lasciando l’onore delle volate a quel mostro della specialità che è Mark Cavendish (cinque vittorie di tappa). Ora il messinese salterà il Tour e si concentrerà sul Mondiale di Firenze, ampiamente alla sua portata, anche se l’appuntamento con la maglia gialla, quest’anno alla centesima edizione, è soltanto rimandato: Contador ha trovato un degno rivale.

Leo Gabbi, Agensir

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