Hanno bussato alle nostre porte, senza chiedere ‘permesso’; hanno fatto irruzione con violenza cieca nella vita di un piccolo angolo del mondo. Non hanno suonato alcun campanello, ma solo colpi di arma da fuoco; si sono presentati urlando e ferendo, torturando, procurando la morte.
L’uccisione di Vincenzo D’Allestro a Dhaka (Bangladesh) avvenuta venerdì 1 luglio ha improvvisamente accorciato le distanze tra noi e quel paese d’Oriente distante settemila chilometri. Per molti mesi, guardando le cronache in tv, quello che accadeva per mano dei terroristi dell’Isiss ci è sembrato lontano, normalmente terribile, logico da condannare.
Questa volta è diverso. Non è andata così.
Piedimonte Matese, San Potito Sannitico, Alife – i comuni cui sono strettamente legati le famiglie D’Allestro e Gaudio (della moglie di Vincenzo) – hanno subito un brutto risveglio alla notizia che un commando armato aveva fatto irruzione in un ristorante di Dhaka dove seduti ai tavoli vi erano 9 italiani, tutti legati al mondo della moda e del commercio tessile.
Questa strage è la seconda più grave dopo quella di Nassirya a toccare l’Italia: ancora una volta dalla pancia di un aereo militare sono scese diverse bare avvolte dal tricolore, segno di un abbraccio donato dalla Nazione, la cura, la materna protezione a chi non ce l’ha fatta. Un abbraccio che spesso arriva in ritardo per chi è costretto a lasciare l’Italia, come alcuni dei caduti, e cercare fortuna fuori da qui, dove il tricolore – segno di un orgoglio italiano troppe volte sopito – sventola in rare occasione, tragiche più che felici, posandosi esanime sul legno di una o più bare.
Qualcosa cambia per sempre in questo sparuto angolo di mondo che è l’Alto Casertano, dove tante volte ci si barrica dietro la felice convinzione di essere lontani o al di fuori dai fatti che contano: quasi un modo per esorcizzare l’infelice consapevolezza che emergere o essere un riferimento, politico, sociale, geografico, è davvero difficile.
Non è più così. Il mondo è dietro l’angolo di casa, dietro quell’angolo sicuro, dove fino a qualche anno fa sedevano i nostri nonni in cerca di refrigerio nella calura estiva, a raccontarsi di guerre, di altre guerre. Dietro un angolo come questi, alcuni giorni fa, mentre la pista dell’aeroporto di Ciampino si riempiva di dolore ed eravamo in silenzio davanti alla tv, sforzandoci di interpretare i silenzi di quei parenti in attesa dei loro cari, due bambini si divertivano a giocare con una palla, e una tromba; non era il silenzio suonato ai caduti che tornavano dalle guerre dei nonni, o dall’orrore bengalese: era una festa innocente, felice, spontanea, senza freni. Un momento forzatamente felice di un pomeriggio che resterà impresso per sempre.
Può mica esserci una linea di confine tra gioia e dolore? Esiste forse una netta separazione tra i momenti di odio e di amore? Quel momento di gioco dice di no.
Sul piatto della bilancia due pesi diversi, e la libertà dell’uomo a farlo pendere da una parte o dall’altra.
A noi, che nelle prime ore abbiamo pensato al piatto dell’odio scendere in basso e tonfare carico del sangue, delle urla, dell’orrore di quella serata di Dhaka è accaduta una sorpresa. A mescolare le carte ci ha pensato Vincenzo, il seguito della sua storia di uomo nella scelta della moglie in perfetta sintonia con i sogni del marito.
Nella città in cui ha trovato la morte, paradossalmente ha lasciato il cuore imprimendo a questo sacrificio lo straordinario volto della misericordia. Sui manifesti con il suo nome e la notizia dei funerali è comparsa la richiesta di non portare fiori alla bara, ma donare offerte alla onlus Amici di Carlotta che a Dhaka sostiene la missione religiosa delle suore Maestre pie dell’Addolorata presenti in Oriente con diverse missioni dedite all’educazione e scolarizzazione dei bambini. Il miracolo è avvenuto all’istante, e l’Associazione ha ringraziato per la generosità di molti che hanno immediatamente risposto all’appello.
Ora ha un senso nuovo il suono di quella tromba colorata nel pomeriggio triste del rientro in Patria dei nove martiri italiani. Dietro quell’angolo, confine ideale tra mondi apparentemente lontani, gli spari giunti con irrispettosa violenza, si sono tramutati in voci, sorrisi, gioco, sogni di un futuro migliore, possibilità di riscatto, di libertà fondata non su violenti fanatismi religiosi. Dietro quell’angolo, ci sono altri bambini che sognano di giocare ed essere uomini migliori; c’è il mondo in attesa di essere aiutato a cambiare, a conoscere la pace, a viverla.