Home I Sentieri della Parola Il sacerdozio di ogni madre. Commento al Vangelo del 1 gennaio 2017

Il sacerdozio di ogni madre. Commento al Vangelo del 1 gennaio 2017

Anno A - 1° Gennaio, Maria Madre di Dio (Lc 2, 16-21)

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A cura di don Andrea De Vico

“Dio ci benedica con la luce del suo volto” (Cf. Sal 66)

Nella famiglia ebraica la benedizione è opera paterna esemplata sul gesto divino. Il rituale domestico per eccellenza è la cena pasquale, in cui il padre di famiglia svolge a pieno titolo delle funzioni sacerdotali. Nello svolgimento della cena pasquale ebraica, il padre di famiglia ha il compito di spiegare ai figli il senso delle azioni che sta compiendo. Egli deve sapersi adattare al diverso carattere dei figli.

In una Misna ebraica troviamo un’allegoria dei quattro figli: “di questi quattro figli, uno è saggio, uno è malvagio, uno è integro e uno non sa a sufficienza. Il saggio dice: quali sono i precetti cha il Signore Dio nostro ha comandato? Il malvagio, (che tende a escludersi dalla comunità familiare), dice: che è questa cosa che state facendo? L’integro dice: spiegami questo! E colui che non sa a sufficienza, ha bisogno di un discorso più dettagliato per capire il rituale” (1).

In Israele il padre deve essere puntuale con il saggio, che afferra subito e non ha bisogno di tante spiegazioni. Deve essere sprezzante e persino violento con il figlio malvagio che non si lascia coinvolgere, rinnegando la radice della sua fede. La Misna dice: “tu a questo figlio gli devi spezzare i denti”, cioè lo devi trattare con durezza. Il padre deve essere di poche parole con l’integro, che già sa quanto è necessario fare, e dovrà impegnarsi in una accurata spiegazione nei confronti di colui che non sa a sufficienza, perché è piccolo, è lento, non è in grado di procedere da solo.

I figli hanno delle sensibilità diverse, per cui non vanno trattati allo stesso modo. E’ sbagliato dire che “i figli sono tutti uguali”, ne verrebbe fuori un’ingiustizia. Assegnare parti uguali a persone che hanno esigenze diverse non è il massimo della democrazia. Questo vale anche per le nostre comunità, dove ci sono persone sagge che non hanno bisogno di tante spiegazioni; ci sono persone sospettose che stanno lì giusto per spiare, hanno sempre da ridire e vogliono l’ultima parola su tutto; ci sono persone che conoscono il loro compito e vi si applicano senza fare storie; e ci sono persone più lente delle altre, che hanno bisogno di più cura ed attenzione. Il pane va dato a tutti!

L’essenza del sacerdozio è l’offerta. Per definizione il sacerdote è colui che a nome di altri (la famiglia, la comunità …) si reca all’altare per offrire la vittima sacrificale (Mosè) o il pane e il vino (Gesù). Anche la maternità comporta una funzione sacerdotale, perché le madri “offrono la vita”, “danno alla luce” il frutto del grembo. La liturgia di oggi ci presenta Maria “Madre di Dio”, lei che ha dato al mondo un figlio! L’offerta comporta sempre un “sacrificio”, difatti si sa che per crescere i figli ci vogliono i sacrifici. Dire offerta e dire sacrificio è lo stesso: c’è sempre un ammanco, un’assenza, un dolore, una perdita che poi si traduce in guadagno, per dare più vita alla vita. Senza sacrifici la vita non diventa vita, ma c’è anche da dire che un sacrificio fine a sé stesso è inutile, sadico, rappresenta l’orgoglio di chi vuol raggiungere la perfezione con mezzi propri.

Potrebbe non piacere alla teologia femminista, ma se la femminilità e la mascolinità esistono e sono complementari (l’uno completa l’altro), e se la maternità divina di Maria è un vero sacerdozio, vuol dire che la donna non ha bisogno di indossare i paramenti maschili per salire all’altare, così come l’uomo non è predisposto a rimanere “incinto” e partorire un figlio. Molti non lo hanno capito perché riducono il sacerdozio ad un banale “fare”: quello che fa l’uno lo potrebbe fare anche l’altro, così raggiungiamo la parità dei sessi, il massimo della democrazia!

In realtà, se vogliamo fare un vero discorso a favore delle donne, dovremmo spostare l’ago dal “ruolo” al “riconoscimento”, “fare” come Maria: lei si stupisce di tutte le cose che le accadono, le medita nel cuore, coltiva il senso degli eventi, custodisce parole che destano stupore. La libertà trova spazio solo nella vita interiore, tant’è vero che ci sono persone “libere” anche quando subiscono un regime vessatorio. L’interiorità è quello spazio in cui la persona ha la possibilità di discernere, scegliere, elaborare il senso degli eventi. Sono attività che unificano il tempo e trasformano la vita quotidiana in benedizione divina, e anche questo fa parte del sacerdozio della famiglia!

 

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