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Mercoledì delle Ceneri, il Vescovo in Cattedrale “L’uomo, frutto di terra buona, non di cenere”

Dopo aver ricevuto l'imposizione delle Ceneri, il Vescovo ha "segnato" i fedeli. Con il Pastore in Cattedrale, il parroco don Cesare Tescione, don Alfonso De Balsi e don Massimiliano Iadarola

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“Quaresima è camminare verso la bellezza, verso la scoperta di essere amati e chiamati ad essere uomini vivi e risorti”. Con queste parole Mons. Valentino Di Cerbo ha aperto la celebrazione delle Ceneri in Cattedrale ieri sera in una chiesa gremita di fedeli, tra cui numerosi bambini accompagnati da catechiste e famiglie.

Ricordati che sei polvere… l’antica formula con cui il sacerdote imponeva le ceneri sul capo dei fedeli, oggi sostituita dall’espressione Convertiti e credi al Vangelo, è un ritorno alle origini, alla essenza vera di ciascuno “la terra con cui Dio plasma l’uomo, e soffiando nelle sue narici gli dona la sua stessa vita…” Un inno alla vita, quello pronunciato dal Vescovo in apertura di Quaresima, un inno che celebra la “bontà della terra da cui siamo stati fatti e da cui dobbiamo rifiorire ogni giorno con opere di amore, di misericordia, di carità (…); Essere terra che dà buoni frutti, che alimenta vita e speranza nel mondo, tra gli uomini” il messaggio di Mons. Di Cerbo.

Un riferimento, in terra alifana, alla generosità dei terreni di questa spianata, che amandoli e curandoli, non hanno mai tradito i suoi abitanti, donando loro abbondanza, sapori, fiducia nelle stagioni e nel futuro. Con questo stile il Vescovo ha invitato a guardare la Quaresima e il tempo di penitenza, non come espiazione di peccati, ma come tempo di revisione della propria vita, di rigenerazione, per essere a Pasqua, cristiani che ritornano ad essere belli, della stessa bellezza di Cristo risorto dopo la morte.

“La cenere imposta nostro capo è terra senza vita, terra bruciata, in segno dei limiti e del male che ci tocca impedendoci di generare fioriture di bene e di amore quando distruggiamo ciò che Dio ha posto tra le nostre mani, quando feriamo le relazioni con i fratelli e il nostro rapporto con Gesù”. L’invito costante ad essere terra che ancora custodisce linfa e la fa venir fuori attraverso i gesti, la quotidianità santa di ciascun uomo.

“Non siamo carcasse da mandare a morire, ma custodi di vita anche nel dolore”, un riferimento ai recenti fatti di cronaca dopo la scelta di dj Fabo di essere accompagnato alla morte, più che un caso mediatico, un problema di coscienze rimbalzato nelle case di tutti, a cui il Vescovo ha risposto con l’esperienza vissuta in Visita pastorale, nell’incontro con tante storie di dolore, dolcemente adagiate in un letto, dove familiari e amici hanno dimostrato la speranza, la fiducia, la vicinanza, la gioia di assistere e da parte dei sofferenti la serena accettazione della malattia riconoscendosi ancora un dono, ancora qualcuno, ancora una dignità di fronte al mondo e ai propri cari.

“La liturgia oggi ci fa ascoltare delle parole “ritornate a me con tutto il cuore”, in esse dobbiamo sentire il grido di dolore di un Dio che ci ricorda chi eravamo: terra buona, fonte di bellezza e di gioia… Tornate al sogno che ho su ciascuno di voi, questo ci chiede. E nel Vangelo la richiesta più radicale, che scuote il nostro stile opaco di essere cristiani ‘quando digiunate, non diventate malinconici (…) quando tu digiuni, profùmati la testa e làvati il volto’: chiede di non essere preso in giro il Signore, ma che compiamo lo sforzo di essere figli sinceri che tornano alla pasqua della loro vita, con la gioia di aver inciampato, camminato, di essere risorti accompagnati per mano dal Padre”.
Figli felici di compiere il bene, di amare; figli felici questo Vangelo.

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