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Il bisogno di vedere il “volto di Dio”. Commento al Vangelo di domenica 21 maggio

Commento al Vangelo, Anno A - VI Domenica di Pasqua (Gv 14, 15-21)

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A cura di don Andrea De Vico
Anno A – VI Domenica di Pasqua (Gv 14, 15-21) 

“Non vi lascerò orfani, verrò da voi… Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui”

“Orfano” si dice di chi è rimasto solo, privo di un genitore, o di una guida, di un sostegno, di un affidamento… Chi subisce una perdita simile, per un po’ di tempo dovrà imparare a relazionarsi con un nuovo ospite, dolce e traumatico: la solitudine. Per fortuna, chi lascia questo mondo facendo bene la sua parte, lascia sempre qualcosa di significativo dietro di sé: un testamento, una parola, una testimonianza che ha il potere di dare un senso nuovo al cammino che resta da fare. Così fa Gesù la vigilia della passione, ma nel suo lascito c’è più di quanto non avessimo potuto sperare: la vita interiore del discepolo viene attirata all’interno della stessa vita divina!

Che Dio ci sia o non ci sia, che si stia interessando o meno della nostra sorte, è un arduo problema, ma tutti i discorsi che facciamo su di Lui sono confusi, ambigui, approssimativi. La nostra mente tende a farsi un’idea troppo simile a sé. Nel momento in cui tentiamo di rappresentare Dio, per adorarlo o criticarlo, lo riduciamo sempre alla nostra statura. È così che nascono gli idoli. Anche i concetti che ci facciamo di Lui sono degli “idoli mentali” che somigliano molto alle statuette di pietra e di gesso! Anche la preghiera può diventare una forma di idolatria, come quella del fariseo che mette sé stesso al centro dell’universo e si fa il selfie, inchinandosi davanti alla sua immagine di perfezione! Questo si spiega per il bisogno che abbiamo di “vedere il volto” di Dio: ogni volta che ci proviamo, ci mettiamo noi stessi e rasentiamo l’idolatria. Che fare?

È qui che Gesù ci viene in aiuto. Nel suo “discorso d’addio” egli parla del Padre usando non dei concetti astratti, ma delle metafore, dei termini di relazione. Parla delle “molte dimore” che sono nella casa del Padre, di un “posto” che lui sta andando a prepararci, della “missione” dello Spirito, della “certezza” che non saremo mai stati lasciati soli. L’amore che circola tra Padre e Figlio, chiamato “Spirito Santo”, viene partecipato al discepolo fedele! La “fedeltà” del discepolo attira la “manifestazione” di Gesù. Ecco il “volto” di Dio: “chi ha visto me, ha visto il Padre!” Attenzione però agli estremismi spiritualistici. Ci sono movimenti e persone che agli inizi, con autenticità, esaltano l’azione dello Spirito Santo, ma quando il gioco si fa duro, finiscono per sfociare nella superbia spirituale, negli interessi carnali e nell’utopia dissolvente. Certi personaggi carismatici, avendo attirato folle di gente attorno a sé, finiscono per spogliarle ed abusarne, sotto molti punti di vista. Dice bene Pascal: “L’uomo non è né angelo né bestia; disgrazia vuole che chi vuol fare l’angelo, finisce per fare la bestia” (Pensieri, n. 572).

Anche San Bernardo avverte: “Lo Spirito che è entrato in me più di una volta, non mi ha mai dato alcun segno della sua irruzione, né mediante la voce, né mediante un’immagine visibile, né mediante un qualsiasi altro approccio sensibile. Nessun movimento da parte sua mi ha segnalato la sua venuta, nessuna sensazione mi ha mai avvertito che egli si è insinuato nei miei recessi interiori. Mi sono accorto della sua presenza da certi movimenti del mio cuore: la fuga dai vizi e la repressione delle mie voglie carnali mi hanno mostrato la potenza della sua virtù” (Sermone sul Cantico dei Cantici, 74,6).

Quando il discepolo è sulla via del Maestro, non ha bisogno di immagini dipinte, di statue in cartapesta o di concetti astratti: gli basta lo Spirito! Anche un lutto che scava il vuoto viene colmato di una presenza nuova!

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