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La fede non è un marchio. Commento al Vangelo della donna cananea di domenica 20 agosto

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A cura di don Andrea De Vico
Anno A – XX  per Annum (Mt 15, 21-28)§

Una donna cananea, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore! Mia figlia è tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola.

Questa donna cananea discende da un popolo che abitava la Palestina prima del burrascoso ingresso degli ebrei. Una pagana, dunque, e i pagani venivano spregiativamente chiamati “cani” dagli ebrei credenti. L’atteggiamento di Gesù sembra dar credito al pregiudizio religioso. La donna si mette a gridare per sua figlia, ma ecco la prima doccia fredda: nessuna attenzione da parte di Gesù. Strano, per uno che fino ad allora aveva fatto tanto bene.

Ma quella continua a insistere. Tanto è lo strepito, che anche gli apostoli se la vorrebbero togliere di torno: “Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando”. Al che Gesù oppone un secondo netto rifiuto, non alla donna direttamente – notiamo bene – ma agli apostoli: “Non sono stato mandato che alle pecore perdute della casa d’Israele”. Effettivamente Gesù ha predicato in Israele, con qualche raro sconfinamento in territorio straniero. Come per dire: “Non ho niente a che vedere con questa donna”. Di fronte a un atteggiamento del genere, noi ce ne saremmo andati via, scandalizzati e offesi.

La cananea no, non si offende, non è permalosa, ma torna all’attacco e gli si prostra innanzi, costringendolo a fermarsi: “Signore, aiutami!” Per tutta risposta, riceve un appunto che avrebbe davvero esasperato chiunque: “Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini”. Era come dichiarare formalmente irricevibile la domanda formulata da una pagana, e lo fa nei termini sprezzanti del pregiudizio. E quella, senza scomporsi, lo ammette: “E’ vero, Signore, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”. Come dire: “Non voglio il pane destinato a Israele, non voglio trattamenti di favore, mi basta solo una briciola …”

A questo punto Gesù getta la spugna e si abbandona a una manifestazione di entusiasmo: “Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri!” Qualcosa di simile è accaduto anche nell’episodio del centurione romano: “In verità vi dico: in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande!” (Mt 8, 10) Gesù cerca espressamente la fede nelle persone, e la trova dove meno se l’aspetta, tra i pagani! Non è una cosa straordinaria? Nel caso della cananea, Gesù sembra giocare al rialzo, nel frapporre tra lui e lei un ostacolo sempre maggiore, come in una gara di salto in alto. Si direbbe che nella nostra fede avviene lo stesso: ad ogni difficoltà che superiamo, il Signore alza l’asticella, aumenta l’esigenza, ci chiede un atto di fede ancora più difficile.

Se Gesù avesse ascoltato la donna alla prima richiesta, lei avrebbe guadagnato la guarigione, ma non la fede. Facendo il difficile, la donna ha finito per credere nella persona di Gesù fino a strappargli quel grido finale di entusiasmo, e a rompere un potente pregiudizio. Rispondendo a una pedagogia divina, la donna diventa una vera credente “senza etichette” (pagana? ebrea? cristiana? musulmana?…)

La fede non è un marchio, come il vino non è l’etichetta. La fede è un incontro personale, e questo è vero per ogni uomo, indipendentemente da una formale appartenenza religiosa o culturale. Non vi sono più frontiere o privilegi, la grazia irrompe ovunque!

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