Home I Sentieri della Parola I domenica di Avvento. Commento al Vangelo. “La veglia del portiere”

I domenica di Avvento. Commento al Vangelo. “La veglia del portiere”

Andare a Messa è, per il cristiano, l'occasione unica per dire "il passato, il presente e il futuro della nostra fede: annunciare, celebrare, attendere operosamente!"

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Anno B – I di Avvento (Mc 13, 33-37)
A cura di don Andrea De Vico

“Vegliate: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati”

Con la prima domenica di Avvento comincia il nuovo Anno Liturgico, che non deve essere una sterile ripetizione di cose già fatte o già sentite, ma deve essere nuovo”, come la vita che cresce e si rinnova ogni stagione. A volte, a Messa c’è una sensazione di noia, fastidio, indifferenza, ripetitività. La partecipazione è sterile, scadente, qualcuno finisce per rinunciare: “se non mi sento, la Messa non vale”. Non è che questa mancanza di “sentimento” nasconda una ben più seria mancanza volontà”? Manca la voglia, o manca la fede? Sbagliata la Messa, o sono sbagliato io? Che cosa conta di più davanti al Signore, quello che “sento”, o quello che “voglio”?
Il “sentimento” è capriccioso. Vado in un posto a divertirmi sperando di incontrare chissà chi, e invece alla fine ne resto deluso. Vado a Messa col morale a terra, eppure proprio in quel momento il Signore mi fa trovare la Parola di cui ho bisogno. Certe persone vanno a Messa per motivi banali: “mi piace”, “ci sono abituato”, “mi hanno insegnato così” ,“è mio dovere”, in caso di matrimoni, ricorrenze o funerali. Per il resto non cambia niente, si torna a sonnecchiare.

“Vegliate, perché non sapete quando il padrone di casa verrà”. Perché questo pressante appello alla vigilanza? Marco sta rispondendo alla crisi in cui versa la comunità primitiva per l’apparente ritardo o mancato ritorno del Maestro. Aveva detto che sarebbe tornato: ma quando? Anche per noi è tempo di crisi, siamo sempre in crisi, e chi è che non sta in crisi? Le prove della vita, i fatti che succedono, le notizie che arrivano, il futuro incerto, ma al di sopra di tutto c’è una parola che suona come una tromba: “vegliate!”, “state attenti!” È così che si deve rispondere a una crisi che ci scuote, ci mette in movimento, ci fa pensare a noi stessi, ci rende più attenti. Se tutto andasse meravigliosamente bene, noi ci dimenticheremmo gli uni degli altri, ci ridurremmo a vivere in un mondo disinfettato, dorato e scannerizzato, in tutta solitudine e senza contatti reali.

Per San Paolo: “la notte è avanzata e il giorno è vicino” (Rm 13, 12), intendendo per “notte” questa vita, e “giorno” quella futura. Il tempo presente dura lo spazio di una notte: la vita che vi conduciamo è come un sogno. Le cose che accadono nel sogno sono irreali: uno può sognare di fare una festa e mangiare a sazietà, poi si sveglia e si accorge di stare a stomaco vuoto; può sognare di essere diventato ricco, poi si sveglia e si ritrova più disperato di prima. Allo stesso modo, quando arriveremo là, uno che nella vita si è abbuffato a spese degli altri, sarà mangiato da una fame tremenda, e chi strombazzava le sue conquiste, si accorgerà di non avere mai posseduto nulla.
Ci sono persone inquiete che hanno paura dei fantasmi, delle streghe, delle fatture, dei vampiri, tutte cose che si attaccano a quelli che dormono. Il vampiro, prima di succhiare il sangue, inietta un anestetico per dare al povero malcapitato una momentanea illusione di salute e sicurezza. Ma i fantasmi, una volta esposti alla luce del giorno, si dissolvono come nebbia al sole. I vampiri e le fatture non esistono come cose reali o scientificamente appurabili: sono espressioni di una coscienza assopita o disturbata nei rapporti con gli altri, sono personificazioni di responsabilità che i singoli vogliono nascondere a sé stessi per attribuirle ad altri. Il demonio esiste, ma non agisce nei sogni: agisce nei vizi (che è peggio). Il demonio esiste, ma non sta nelle paure: sta nei peccati (che è peggio). I santoni esistono, ma non hanno il potere di legare o di sciogliere: la loro forza sta nel credito che la gente attribuisce loro, e il corteo di spiriti che riescono a scatenare, fanno leva sui peccati, sulle distrazioni o sull’affievolimento di fede da parte della gente.

Sono dunque queste le cose che dobbiamo temere: quella sensazione di noia, fastidio, indifferenza, ripetitività, abitudine, passività. Tutte cose che “succhiano il sangue”, levano l’energia, smorzano lo slancio, ottundono la volontà. Persino la religione può diventare una droga, un anestetico dello spirito. La persona comincia a sonnecchiare sulle sue preghiere, illudendosi di compiere i suoi doveri senza calcolare la presenza gli altri, si distrae, si deresponsabilizza, non si interessa più a niente, viene a Messa con l’atteggiamento passivo e abitudinario di chi assiste a un evento ad occhi aperti senza capirne un gran che. Anche io che dico Messa devo stare attento a non finire in quella fumosa notte in cui tutte le vacche son nere, quella sorta di indifferenza dove una cosa vale l’altra, cioè niente. Ci sono preti che, alla faccia del buon senso e contro ogni regola stabilita, con la falsa e poco credibile scusante dell’“esigenza pastorale”, si mettono a “dir Messa” ad oltranza: tre, quattro, cinque, sei Messe, ma alla fine, con quale rispetto, con quali frutti di grazia? Perché assecondare le “esigenze” dei privati nelle comodità dei loro orari, o dei passanti che vogliono una Chiesa “comoda” a livello di piazza? Perché accompagnare eventi o ricorrenze familiari di gente che non mostra – e non ha intenzione di mostrare – un minimo di interesse per l’Anno Liturgico e il Mistero Pasquale? La Messa domenicale è la comunità – che è una” – che va incontro al Signore. La Messa quotidiana deve essere “una”, come uno è il pane quotidiano per il quale preghiamo: “dacci oggi”.

C’è un meraviglioso passaggio da riscoprire: “Annunciamo la tua morte, Signore / Proclamiamo la tua Resurrezione / Nell’attesa della tua venuta”. In un fiato, noi diciamo cosa siamo venuti a fare a Messa e perché ci diciamo seguaci di Cristo. In una sola frase esprimiamo il passato, il presente e il futuro della nostra fede: annunciare, celebrare, attendere operosamente!
In gergo tecnico, questa espressione si chiama “acclamazione anamnetica” o “anamnesi”, che anticipa sulle labbra del popolo quanto il celebrante sta per dire nel seguito della preghiera eucaristica. “Anamnesi” si può anche tradurre con “ricordo”, non però un banale ricordo psicologico, ma un “ri-cordo” vero, un riportare nel cuore, un rimettere tutto al centro del cuore! Oggi ricominciamo dunque a camminare insieme, di giorno in giorno, di domenica in domenica. Abbiamo tutto l’interesse a viverla intensamente, questa Liturgia, e con attenzione!

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