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Papa Francesco. Cinque anni di te, cinque anni di “segni” indelebili

Dopo cinque anni di Pontificato, Papa Francesco continua a stupire, grazie alle sue abilità comunicative, mimiche e gestuali, che lo avvicinano alla gente in modo singolare

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Cinque anni fa come cristiani abbiamo avuto un grande dono da Dio: un Pontefice che con la sua caparbia bontà intellettuale, dal primo giorno, sta contribuendo con coraggio a modificare il corso della storia della Chiesa. A colpi di comunicazione efficace irrobustisce la dottrina, paradossalmente smantellando anche alcune preconcezioni che hanno posto Madre Chiesa in ritardo rispetto alle accelerazioni del mondo. Eh sì, bisogna accettare che il mondo di oggi non è quello di 30 anni fa, facciamocene una ragione, anche il Papa se ne è convinto soprattutto nell’Amoris Laetitia, favolosa iperbole psicologica nelle relazioni intrafamiliari. Roba da far scuotere le attenzioni dei più esperti nel settore della comunicazione, materiale di studio per psicologi e fonte di ispirazione per psicoanalisti che della Parola fanno il centro nevralgico della cura della persona. E proprio sulla Parola, o meglio, nella gestualità che accompagna il linguaggio che il Pontefice avvalora e dà un senso a ciò che vuole trasmettere.
Ricordo fin dall’inizio del suo Pontificato, già dai primi e indimenticabili “buonasera” o “buon pranzo” rivolti ai fedeli, i media di tutto il mondo hanno esaltato la su abilità comunicativa. Pochissimi, però, si sono soffermati su un aspetto della sua indiscutibile capacità di raggiungere i cuori e le anime: l’utilizzo delle mani. A ciascuno di noi sarà rimasto impresso almeno un gesto del Papa collegato a un concetto o a una situazione, dai suoi intrattenimenti aerei con i giornalisti nelle traversate transoceaniche, agli incontri con i fedeli nella Sala Nervi, dal balcone del suo studio su Piazza San Pietro, passando con la sua ford focus in giro per le strade di Roma e di alcune città italiane. Uno come noi, un uomo che colma le distanze, una persone che fa del Vangelo il suo unico percorso e desidera condividerlo con gli altri, con i suoi fratelli e le sue sorelle.

Papa Francesco è un professore di linguaggio del corpo. È come se avesse studiato da sempre i meccanismi dell’espressione attraverso la mimica e la gestualità. È una sua dote innata, potrebbe benissimo insegnare. Perfino l’ex presidente americano Obama  – che nostalgia! – particolarmente bravo nell’usare il corpo per comunicare, rispetto a Francesco risultava meno spontaneo, più costruito. A dispetto di Trump che è un semplice cowboy rivestito.
Perché è così importante il linguaggio del corpo? Perché con le parole si trasmettono le sole informazioni, ma se vuoi manifestare un’emozione o stabilire un contatto, serve altro. Francesco sa che se vuole stabilire un rapporto diretto con la gente; se vuole far capire prima e meglio i suoi concetti, è fondamentale aiutarsi con la gestualità, la propensione al contatto fisico e l’imitazione dei gesti altrui. Cose che gli riescono perfettamente. Le mani in particolare rappresentano un’arma comunicativa formidabile: se il volto esprime emozioni, le estremità servono soprattutto a sottolineare e dare consistenza a un discorso attivando in chi le guarda più circuiti cerebrali nello stesso tempo. I messaggi sostenuti, comunicati in questo modo, sono più forti.

Il Papa mostra di avere un’innata capacità di trasmettere qualcosa attraverso le mani: le usa per insegnare, rendere più chiari certi concetti, perfino porre se stesso come esempio. Così che le persone, guardandolo, possano dire: “Se lo fa il Papa, è giusto e lo faccio anch’io“. D’altronde, le mani sono quegli “strumenti” adoperati dalle madri per accogliere i figli alla nascita e per soccorrerli nel momento del bisogno. E Madre Chiesa non può permettersi di lasciar gridare di dolore i propri figli.
Chiaramente c’è molto di “latino” in quest’uomo venuto ”dalla fine del mondo”. Ciò spiega anche la chiave del suo enorme successo tra le popolazioni sudamericane o mediterranee. Certo, questo stesso aspetto può far storcere il naso ai fedeli più tradizionalisti, che preferirebbe un Papa più istituzionale nei modi e nei toni. Senza capire, per che proprio questa sua caratteristica può aiutarlo a conquistare molti più cuori e anime. Purtroppo uscendo dai canoni, Papa Francesco fa paura ai fedeli più bigotti ed ai presbiteri più accidiosi che lo vorrebbero magari chiuso nelle sue stanze a ripetere e a rimettere in scena il magistero della Chiesa senza anima, senza passione, per mero scrupolo o riproposizione di ruolo. Fortunatamente non è così! Ringraziando Dio, la sua misericordia, la sua attenzione per i più deboli, la sua profondità riflessiva è più forte del linciaggio mediatico che a volte sui social si scatena nei suoi confronti da parte di frange di superbi e/o scalmanati nostalgici della Chiesa chiusa con le barricate alzate. Per Grazia di Dio, in un momento in cui la Chiesa stava per crollare, ecco ritornare il sogno di Papa Innocenzo III sul “poverello d’Assisi”. Questo episodio appartiene alla serie della Legenda maior (III,10) di san Francesco: «Come il papa vedeva la basilica lateranense esser già prossima alla rovina; la quale era sostenuta da un poverello – si intende il beato Francesco -, mettendole sotto il proprio dosso perché non cadesse». Ed allora rinnoviamo gli auguri al nostro Francesco, all’attuale e vivo tra noi Francesco per il suo primo quinquennio, con la speranza che nei prossimi cinque anni possa continuare ad insegnare nel vero senso della parola, lasciare un segno nel cuore di tutti gli uomini di buona volontà senza distinzione di razza, etnia, religione e stato sociale, abbattendo i muri, creando ponti relazionali, generando frutti e non fermarsi ad una noiosa contemplazione del Creato.

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