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L’intelligenza delle Scritture, commento al Vangelo di domenica 15 aprile

Ciò che manca alla comunità cristiana di oggi è la capacità di "abbandonarsi" totalmente alla verità trasmessa dalle Scritture

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A cura di don Andrea De Vico
Anno B – III Domenica di Pasqua (Lc 24, 35-48)

“Allora aprì loro la mente all’intelligenza delle Scritture e disse: Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare il terzo giorno”

La prima lettura introduce il tema dell’ignoranza: “Ora, fratelli, io so che voi avete agito per ignoranza. Ma Dio ha così compiuto ciò che aveva preannunciato per bocca di tutti i profeti, che cioè il suo Cristo doveva soffrire” (Atti 3, 17-18). Sulla croce Cristo dice: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno!” (Lc 23, 34). Anche discepoli di Emmaus ricevono un vigoroso rimprovero: “Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria? E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui” (Lc 24, 25-27).
Il Vangelo mostra Gesù che viene tra i discepoli portando la pace, ma essi provano alterni sentimenti di certezza e dubbio, gioia e incredulità. Stanno davanti al risorto, lo toccano, lo vedono mangiare, ma non hanno ancora capito, non sono ancora giunti alla fede! Cos’è che manca, cos’è che “ignorano” ancora, dubitando pur davanti all’evidenza? Lo dice Gesù stesso: il fatto che lui doveva patire e poi risorgere, “così sta scritto!” Nei Vangeli si incontrano altre espressioni dello stesso tipo: “quando venne la pienezza dei tempi …” “questo si è manifestato perché si adempisse la Scrittura …” “tutto è compiuto …” Che  cosa significa? Che c’è un “destino” o un “decreto divino” per ogni cosa che esiste sotto il sole?
Quando nel passaggio dalla preistoria alla storia gli uomini inventarono la scrittura per tenere la conta dei loro traffici, anche gli accadimenti temporali dovettero rivestirsi di un senso di fissità, di necessità: sembrò che le cose dovessero succedere perché “così sta scritto” da qualche parte. L’invenzione della scrittura è stata una svolta decisiva nel cammino dell’umanità, neanche l’avvento della stampa o dell’informatica ha avuto pari importanza. Con la scrittura, il senso del sacro si è spostato dall’ordine dei fenomeni naturali ai testi scritti. Le antiche scritture delle culture più diverse furono dette “sacre” per il fatto di veicolare un fondamento divino alla base di una società. Ancora oggi, quando vogliamo essere sicuri della verità di un asserto, noi ci chiediamo: “dove sta scritto?” È così che dobbiamo intendere la Bibbia? È così che Gesù ha “adempiuto” la Scrittura, come se fosse una serie di azioni già prefissate, decretate, codificate?Guardiamo il Battesimo al Giordano: in quel frangente non è Gesù che viene santificato dalle acque, ma sono le acque ad essere santificate da lui. Allo stesso modo, non è che Gesù sia venuto al mondo per compiere un “destino” o una cosa stabilita chissà quando per “decreto divino”, ma nel senso che Lui si è calato nella storia del suo popolo, ha “compiuto, completato, finalizzato” quel che mancava! Le cose incompiute sono frustranti e mortificano la ragion d’essere, come uno studio non finito all’università, o un’opera pubblica che non entra in funzione per mancanza di collaudo.
Oggi, nonostante la disponibilità dei testi antichi e l’immensa mole dei commenti introduttivi, è facile constatare fino a che punto il sacramento dell’ignoranza sia più diffuso del sacramento dell’Eucarestia. Come cristiani e battezzati noi diciamo di credere in Gesù e ci riuniamo la domenica, ma quanto alla fede in lui, ci troviamo nella stessa posizione titubante degli apostoli nel Cenacolo, manca una cosa di capitale importanza. In Europa, se c’è un popolo di ignoranti in fatto di religione, siamo proprio noi, i cattolici italiani. Abbiamo il papa, i vescovi e i preti così vicini a noi come nessun altro popolo, eppure dimostriamo di essere più ignoranti degli altri, perché?
In Italia, nel 1995, si contava un esercito di 150.000 maghi e operatori dell’occulto di fronte a 50.000 preti; gli italiani (laureati e di cultura media) spesero 1500 miliardi di lire in magie, incantesimi, oroscopi e fatture, mentre diedero alla Chiesa cattolica 600 miliardi tramite l’8×1000; 12/15 milioni di italiani andarono dai maghi e indovini per essere guariti da malattie, per essere rassicurati sul loro futuro, per conquistare un amore difficile. Nel nostro popolo c’è una pigrizia che lascia alle sacre gerarchie la fatica di pensare e di credere, al punto da delegare ad altri l’atto di fede. Con questa premessa, il cattolico italiano medio confonde il papa con Dio, la politica con il papa, la religione con la politica e la superstizione con la religione. Anche noi preti non è che brilliamo tanto nella conoscenza delle cose di Dio: ci muoviamo in un limbo di approssimazioni rozze, grossolane, o ci mettiamo a fare i professori, gli psicologi, i musicisti, gli operatori sociali.
Ecco quello che manca alla comunità cristiana di oggi: toccare il Corpo delle Scritture, aprire la mente alle Scritture, perché la Scrittura ha un Corpo! Ecco il discorso che non ci piace sentire o non ci piace capire, rispetto al quale veniamo trovati nella più grande “ignoranza”: la necessità di patire per poi risorgere, imparando a cogliere nelle criticità di ogni giorno i germi di una vita nuova! Non c’è niente di “sacro” o di “intoccabile” in tutto questo: è un lavoro da fare tutti i giorni. Invece di limitarci a toccare e baciare le statue come i devoti del Venerdì Santo, che ogni anno si dispongono al lutto ma non alla resurrezione, dovremmo imparare piuttosto a toccare e baciare “il Corpo delle Scritture”: che stia nelle nostre case al posto d’onore, sempre aperto, di modo che si offra a noi con una pagina da meditare e incarnare ogni giorno. Non dimentichiamo San Girolamo: “L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo!” Ecco il compimento di quel che manca!   

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