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“Giovanni è il suo nome”, commento al Vangelo di domenica 24 giugno

La nascita di Giovanni trasforma il mutismo di Zaccaria in "esuberanza profetica" e la sterilità di Elisabetta in "fecondità"

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A cura di don Andrea De Vico
Anno B – per Annum (San Giovanni Battista, Messa del Giorno: Lc 1, 57-66. 80)

Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: ‘Giovanni è il suo nome’. Tutti furono meravigliati. All’istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio”.

Zaccaria muto per mancanza di fede, Elisabetta sterile per destino avverso. La nascita di Giovanni annuncia l’arrivo del tempo messianico: il mutismo diventa esuberanza profetica, e la sterilità si muta in fecondità. Il Vangelo dà a Giovanni il soprannome di “Battista”, poiché inaugura un nuovo rito di abluzione e un nuovo modo di rapportarsi a Dio. Dopo di lui, il battezzando non si immerge più nell’acqua da solo, ma la riceve da un altro. Con il battesimo “passivo”, Giovanni dimostra che l’uomo non può purificarsi da solo, ma che la grazia viene data da Dio. Tutto è dono suo. Nella storia della futura Chiesa, infatti, i sacramenti non sono “agiti”, ma “ricevuti”.
Giovanni è il più grande dei profeti perché ha additato l’oggetto stesso della Profezia: il Messia, il Cristo. Luca racconta la sua nascita alla maniera delle grandi vocazioni degli antichi profeti. Egli è posto posto come un confine fra due Testamenti, tra l’Antico e il Nuovo. Gesù stesso divide la storia in un “prima di Giovanni” e un dopo di lui: “… la Legge e i Profeti fino a Giovanni” (Lc 16, 16). Per quanto riguarda l’Antico, Giovanni nasce da due vecchi. Per quanto riguarda il Nuovo, viene proclamato da una giovane madre, già nel grembo della madre. Ha ricevuto … la nomina prima ancora di venire alla luce!
Il mutismo colpevole di Zaccaria è simbolo della profezia prima di Cristo, non ben definita, ancora oscura. La profezia diventa chiara nel momento in cui sta per arrivare il preannunziato. Ma cos’è una profezia? Il testo sacro del Deuteronomio, codice legislativo che raccoglie materiale fissato intorno alla metà del VI secolo a. C, riporta queste parole: “Il Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me. A lui darete ascolto … se qualcuno non ascolterà le parole che egli dirà a mio nome, io gliene domanderò conto” (Dt. 18, 15-20).
La funzione del profeta non consiste nell’annunciare il futuro, raccontando alla gente che cosa succederà l’anno prossimo o il pronostico di una campagna commerciale. Chi fa questo è un falso profeta, uno stupido impostore, un Nostradamus da strapazzo. I grandi profeti dell’AT non giocano a indovinare un futuro di prosperità, anzi, al contrario, denunciano il lusso, gridano all’ingiustizia, rimproverano il popolo per essersi allontanato da Dio. Lo fanno con la stessa foga di un rivoluzionario o un agitatore da centro sociale.
Anche oggi ci sono persone dotate di “spirito profetico”. Guardano alla società e dicono: “questo sistema non va”; guardano alla Chiesa e dicono: “questa Chiesa è corrotta”; guardano alla storia e dicono: “questa storia è sbagliata”. Il vero profeta denuncia le incoerenze in atto, a suo rischio e pericolo. I veri profeti, tra i quali possiamo anche annoverare scrittori, giornalisti e magistrati, non hanno mai avuto vita facile, si sono sempre schierato contro i prepotenti e la stessa pubblica opinione. Un profeta che parla così finisce sempre male, viene perseguitato e ucciso, come Geremia, come Giovanni Battista, come Stefano.
Sembrava mutismo, ma fu uno squillo di tromba. Sembrava sterilità, ma fu una parola generativa.

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