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La vivace economia del Lago Matese negli studi scientifici di Giovanni De Agostini

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Il Matese ci sta talmente a cuore che vogliamo raccontarvelo anche così.
Non si tratta di ricordi, ma di Storia: attingendo ai documenti – storici e scientifici – che parlano dei nostri monti, delle sue acque, della produzione industriale, della economia, della cultura religiosia locale lo riscopriremo attraverso la voce di chi, tra l’età moderna e contemporanea, ne ha osservato e vissuto il potenziale. Lo faremo non per nostalgico “ritorno” di memorie ma per stimolo a recuperare dal passato le motivazioni ad essere altrettanto grandi in questo presente, per acquisire la coscienza del rispetto verso un tempo appena trascorso e farci promotori, adesso, di altrettanta premura verso la nostra terra.
Ad occuparsene per Clarus, il professore Armando Pepe, già collaboratore della nostra testata e della Diocesi di Alife-Caiazzo; figura autorevole e di riferimento per quanto riguarda la ricerca storica locale.
Grazia Biasi, direttore responsabile

Armando Pepe
Nato il 28 dicembre 1973 a Piedimonte Matese. Laureato in Lettere classiche all’Università di Cassino e del Lazio meridionale, insegna nei Licei.
Si interessa prevalentemente di Storia del Territorio in età moderna e contemporanea.
È nel comitato di redazione di Ereticopedia. Collabora con Quaderni Eretici. È iscritto alla Sissco (Società per lo studio della Storia Contemporanea).
Ha scritto: “San Gregorio Matese dall’età liberale al fascismo (1912- 1926)”, “Il carteggio tra Giuseppe Toniolo e Don Giacomo Vitale”, “L’impianto idroelettrico del Matese”, “Antonio Gaetani di Laurenzana nella vita del suo tempo (1854- 1898)”, “La Cassa di Risparmio e Prestiti di San Gregorio d’Alife. Don Giacomo Vitale e la finanza etica nel Matese (1921- 1943)”, “Le relazioni ad Limina dei vescovi della Diocesi di Alife (1590- 1659)”, “Le origini del fascismo in Terra di Lavoro (1920- 1926)”.


Matese. Tra moderno e contemporaneo

Il Lago del Matese studiato da Giovanni De Agostini

di Armando Pepe

Economia lacustre nel Matese in età moderna
Oltre all’aspetto puramente morfologico è da considerare la presenza del Lago del Matese nei documenti d’epoca e nei volumi di storia e geografia, ove è descritto come uno specchio d’acqua circondato da valli e  distese di faggi, quasi metafora di un paesaggio arcadico, tipico della pittura barocca.

Veduta del Lago Matese in una cartolina d’epoca

Agli inizi dell’età moderna il Lago del Matese, sia pure all’interno di un consolidato sistema di usi civici, rientrava nei possedimenti della famiglia Gaetani d’Aragona, feudataria di Piedimonte, e rappresentava uno dei punti nevralgici di un vivace quadro economico, come è testimoniato dall’Inventarium Honorati Gaietani: “Have la Corte [feudale] uno laco dove se dice lo Matese, in lo quale è una peschera de tenche; lo quale se sole arrendare [appaltare] ducati cento lo anno, più et mino secondo so le stasuni; et lo presente anno [1491] è arrendato per ducati cento lurdi de incanto. Verum diceno li infrascripti cittadini che la università ce have certa consuetudine et uso, quale se reservano iuxta lo tenore de li loro capituli et consuetudine[1]. Negli Statuti di Piedimonte[2], limitatamente al Lago del Matese, è scritto: (art. 50, Qualiter aqua Mathesii sit minuenda ad usum piscariae). Affinché non vi sia un’inutile distruzione di tinche, si proibisce d’essiccare la peschiera del lago a meno di mezza canna; in caso contrario ci sia la pena di 1 augustale[3]; (art. 51, De non mittendo retis in lacum Mathesii ad ipsum probandum). Gli appaltatori della pesca nel lago non devono porvi reti, o perdono le condizioni d’appalto; tuttavia si eccettua il lacuscéllu[4]. Ad un privato che faccia questo s’irroghi la pena di 1 augustale; (art. 52, De piscantibus sine ruleo et biccario et qualiter sit maglia ruleorum). Nel lago si deve pescare col ruglio[5] e col biccario[6], che devono essere secondo l’esemplare permesso dalla Corte feudale. Altrimenti ci sia ½ augustale di pena; (art. 53, De vendentibus tinchas). Le tinche saranno vendute a Piedimonte dalla mattina a nona (nel primo pomeriggio); e solo dopo si venderanno dove si vuole, al prezzo di 3 grani al rotolo. Al contrario, è comminata una pena di 1 augustale”.

Limnologia in Italia durante la prima metà del Novecento
Si definisce limnologia la scienza che si occupa dei laghi, ma di essi si è scritto a lungo e per vari aspetti in opuscoli turistici e in molte pubblicazioni di diversa gamma e folte sono le schiere di ricercatori che, secondo la vivida osservazione di Manuel Vaquero Piñeiro, nel corso dei decenni “Hanno consentito l’accumularsi di un ricchissimo quanto variegato patrimonio di ricerche sul bosco, sull’energia, sui beni comuni, sui rifiuti, sulle bonifiche, sul paesaggio e, più in generale, sul territorio  e, non da ultimo, sulle acque ”. Pertanto, seguendo questa scia, bisogna convenire che i laghi rappresentano un’interessante chiave di lettura della progressiva trasformazione dell’ambiente. Nel volume XXII dell’Enciclopedia Italiana (1934) la voce sul Lago Matese è concisa,  con poche ed essenziali informazioni, ma pone chiaramente in evidenza che dal 1923 quella considerevole massa d’acqua venne utilizzata per produrre energia elettrica, mediante un’avveniristica opera d’ingegneria idraulica, finanziata dalla Società Meridionale d’Elettricità (SME) . Per tutta la prima metà del XX secolo, e segnatamente negli anni Trenta, ai tempi della stesura del progetto editoriale promosso da Giovanni Treccani,  la fama dell’impianto idroelettrico del Matese rimase integra, attirando studiosi da ogni parte d’Italia, compresi il grecista Goffredo Coppola, il geografo Vito Carmelo Colamonico e la zoologa (e limnologa) Rina Monti. I tre famosi docenti universitari che compilarono la voce sul Lago del Matese meritano necessariamente un cenno prosopografico. Goffredo Coppola , insigne filologo classico e papirologo nato a Guardia Sanframondi, fu rettore dell’Università degli studi di Bologna e presidente dell’istituto nazionale di cultura fascista. Fuggito al seguito di Mussolini, morì a Dongo nel 1945. Vito Carmelo Colamonico , accademico dei Lincei, insegnò geografia presso l’Università degli studi di Napoli, divenendo preside della facoltà di lettere. Rina Monti  insegnò a lungo anatomia comparata e zoologia nelle Università di Siena, Sassari, Pavia e Milano.

Giovanni De Agostini e il Lago del Matese
La fonte principale di cui si servirono per la redazione del lemma enciclopedico fu un articolo scientifico, dal titolo Il Lago del Matese, di Giovanni De Agostini[7] apparso nel Bollettino della Società Geografica Italiana (fascicolo III/1899): “Alle falde meridionali del Monte Miletto (m. 2050), la cima più elevata del gruppo del Matese, si estende a 1007 m. sul livello del mare il Lago Matese (lat. 41°,25/ long. 1°,57 Est dal meridiano di Roma). Essa occupa il fondo di una vasta conca detta Piano del Matese, il quale può considerarsi come il centro di tutto il gruppo e si estende dai piedi della serra Sprecavitelli a nord-ovest, alla Serra Macchia Strinata a sud-est, per una lunghezza di 10 km circa ed una larghezza di uno e mezzo; da ogni parte è circondato da alti monti e da valli ripide e scoscese; quella settentrionale (Monte Miletto) è la più brulla, le altre invece sono per vasti tratti ricoperte da folti boschi, specialmente di faggi. Il lago ha forma allungata in direzione da ponente a levante; lo specchio d’acqua è variabile secondo le stagioni; in quella estiva misura 4 km di lunghezza, m 900 di larghezza massima, m 560 di larghezza media, km 9 di perimetro e circa kmq 3 di superficie; sul finire dell’inverno, quando cioè il lago raggiunge la massima ampiezza, misura circa 5 km di lunghezza e 12 km di circuito. È alimentato dalle acque provenienti dalle alture circostanti e dalle sorgenti che sgorgano presso il lago; sono notevoli quelle che si trovano nei pressi della Cascina di Santa Maria  e di Capo di Campo a levante, e quella del Ritorto a ponente; quest’ultima però è solo temporanea rimanendo asciutta gran parte dell’estate. Il lago non ha emissario visibile; le sue acque si perdono parte in evaporazione, parte per infiltrazione, non essendo il fondo impermeabile che in parte; il resto si scarica in una voragine che si osserva ad Est Sud Est del lago, sotto il passo del Prete morto. Nella parte centrale e presso la riva settentrionale del lago sorge un isolotto detto Monterone: altri pure sono sparsi qua e là, ma questi non vengono allo scoperto che nella parte orientale del lago e solo nel cuor dell’estate; in tale stagione il Monterone resta soltanto bagnato nella parte meridionale ed occidentale, mentre nella settentrionale ed orientale rimane per qualche tempo all’asciutto, finché lo specchio d’acqua non ritorna ad elevarsi. Le variazioni di livello succedono due volte all’anno; mentre in inverno le acque occupano gran parte della depressione e misurano in tempo di massima piena fino a 5-6 kmq, nell’estate invece si riducono, come si è detto, a poco più della metà e la maggior parte del lago diventa come un pantano ricoperto quasi per intero da giuncheti, alghe ed altre piante lacustri. La sola parte che rimane libera da queste, è quella occidentale, che è la più profonda; nel mese di luglio passato riscontrai ivi la massima profondità in m 2.60, mentre nelle altre parti, assai difficili da esplorare a causa della fitta vegetazione, poteva ritenersi di appena 80-90 cm nella parte centrale e di circa mezzo metro in quella orientale. In autunno poi colle prime piogge le acque del lago cominciano ad elevarsi, coprendo a poco a poco le frequenti macchie di piante palustri; lo specchio d’acqua ricompare nella vasta superficie e cresce sino ad elevarsi di 2 m, talvolta anche di più, sul livello della massima magra. È in questa stagione che le acque del lago raggiungono la maggior estensione ed hanno la massima profondità, la quale varia da 5 a 6 m; dopo quest’epoca, ossia nel marzo-aprile, esse tornano a decrescere a poco a poco, fino all’agosto in cui si ha il periodo di massima magra; in tale epoca il punto più profondo del lago non va oltre i 2 m; devesi però notare che durante l’estate il lago non è alimentato che dalle sorgive che sgorgano nella parte orientale. Il lago del Matese è scavato in calcari semi-cristallini del cretaceo; il fondo costante del lago, quello che rimane nel periodo di massima magra, è costituito da uno strato argilloso impermeabile e le sponde, meno la meridionale che è calcarea, sono formate da detriti quaternari provenienti dalle montagne circostanti e da terra vegetale (humus). Il lago del Matese è senza dubbio lago carsico; lo dimostra la natura delle rocce in cui è scavata la conca, la mancanza di emissario superficiale, le oscillazioni di livello e la forma allungata che presenta: caratteri questi speciali ai laghi carsici di polje[8] . Sebbene l’acqua di questo lago non sia molto limpida, pure essa permette di distinguere chiaramente in ogni punto il fondo, il quale è quasi dovunque ricoperto da fitte erbe e piante palustri. Il colore dell’acqua è di un giallognolo-bruno, molto rassomigliante a quello del ranno. La temperatura dell’acqua da me misurata il giorno 27 luglio passato era di 22,5 C° sulla superficie, di 22 C° a 2 m di profondità e quella dell’aria di 22 C°.

Il lago del Matese gela ogni anno verso dicembre e forma una crosta di ghiaccio di notevole spessore; lo sgelo incomincia in marzo ed in certi inverni assai rigidi anche più tardi. Va segnalata questa conca, chiusa com’è da ogni parte da alti monti, per la grande umidità dell’aria che vi si stagna sopra; nella maggior parte dell’anno, specialmente d’estate e d’autunno e quando non soffia il vento, il lago è al mattino ricoperto d’un denso e spesso strato di nebbia, la quale non scompare che dopo un’ora o due dalla levata del sole. Ho potuto osservare io stesso questo fatto quando per la prima volta mi recai al lago del Matese, in una splendida mattinata dello scorso luglio; giunto al passo di Prete morto, primo punto dal quale si possa scorgere la conca del lago, mi si presentò allo sguardo tutto un piano di folta nebbia, mentre sopra di esso, nell’anfiteatro dei monti che lo circondano, trionfava il sole. Soltanto un’ora dopo, ossia verso le 9, la nebbia a poco a poco scomparve e mi si svelò il lago. I venti predominanti in questa conca sono il nord (borea), frequente nella stagione invernale, assai rigido e violento; il sud-est (scirocco) quasi sempre seguito da pioggia ed il nord-ovest (maestro) conosciuto dai pescatori e pastori del luogo col nome di vento romano dalla cui parte proviene; è regolare e spira sempre durante i giorni di tempo bello. La pesca in questo lago si fa solamente di tinche, le quali sono assai squisite ed abbondanti: se ne pescano in media da 10 a 20 kg al giorno. Mancano vere barche sul lago; ma i pescatori vi rimediano usando certi tronchi di faggio scavati, simili a piroghe, i quali misurano due metri circa di lunghezza, 0,60 di larghezza e 0,50 di profondità. Attualmente, per la mancanza di alberi di grosso fusto, hanno costruito una specie di sandali della medesima forma dei primi con tavole di abete, e ciò per la necessità di doverli guidare con un sol remo a causa dell’ingombro delle piante palustri, che per gran parte dell’anno ricoprono vasto tratto dello specchio d’acqua. Presso le rive sorgono qua e là alcuni casolari e capanne abitati durante la maggior parte dell’anno da pastori, vaccari, pescatori, i quali poi nei mesi più rigidi abbandonano la montagna e scendono nei sottostanti paesi di S. Gregorio, Castello d’Alife, Piedimonte oppure a Bojano, Vinchiaturo, Baranello, Campobasso, nell’altro versante. In questo Piano del Matese si ha sufficiente raccolto di segala, di fieno, di erbaggi e di patate; i vicini boschi poi, forniscono ottimo materiale per la fabbricazione del carbone, la cui industria è qui molto attiva. La parte del lago che per quasi metà dell’anno rimane asciutta, serve di pascolo a mandrie di bovini e di pecore che producono il latte pei fiorenti caseifici del Principe di Piedimonte. Il lago per metà appartiene alla famiglia dei conti Gaetani di Laurenzana, e per metà al Comune di Piedimonte d’Alife, il quale ne ha l’amministrazione totale. La strada più comoda per giungere al lago è quella che da Piedimonte (m 200) sale a Castello d’Alife (m 476), passa sotto S. Gregorio (m 750) e per il passo di Prete morto (m 1072) arriva al lago dopo un percorso di 11 km circa. E’ una strada mulattiera abbastanza comoda, che si può percorrere in circa 5 ore a piedi ed in 4 sulla cavalcatura”.

Bibliografia
[1] Da Inventarium Honorati Gaietani, L’inventario dei beni di Onorato II Gaetani d’Aragona (1491- 1493), Documenti dell’Archivio Caetani, L’Erma di Bretschneider, Roma 2006, trascrizione di Cesare Ramadori (1939), revisione critica, introduzione e aggiunte di Sylvie Pollastri, p. 186. Con la legge numero 130 del 2 agosto 1806, emanata dal re Giuseppe Bonaparte, il feudalesimo fu abolito e la proprietà del lago divisa tra la famiglia Gaetani di Laurenzana e i comuni di Piedimonte, Castello e San Gregorio.

[2]Gli Statuti di Piedimonte furono promulgati nel 1481. Cfr. Dante Marrocco, Gli Statuti di Piedimonte, Arti Grafiche Ariello, Napoli 1964

[3] Moneta.

[4] Uno stagno, ugualmente posto nella conca carsica del Lago Matese.

[5] Strumento da pesca, tipico del luogo.

[6] Strumento da pesca, tipico del luogo.

[7] Giovanni De Agostini (1863- 1941).  Nulla rimane purtroppo negli archivi della casa editrice De Agostini, come da risposta inviatami per e-mail il 3 gennaio 2017.

[8] In geografia fisica, nome (serbocroato “campo”) con cui si indicano bacini chiusi di notevoli dimensioni, con fondo pianeggiante, tipici delle regioni carsiche.

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