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Il Matese rivoluzionario nei film di Scola e negli scritti di Pascoli

Errico Malatesta, Carlo Cafiero, Pietro Cesare Ceccarelli e Napoleone Papini: a Letino per proclamare la libertà dalla monarchia di Vittorio Emanuele II. IL ruolo di sostenitore della rivoluzione internazionalista di Giovanni Pascoli e il fervore degli eventi recepito dall'arte cinematografica

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Matese. Tra moderno e contemporaneo

Errico Malatesta

Il moto internazionalista del Matese e il ruolo di Giovanni Pascoli

 di Bruno Tomasiello

Le sceneggiature di  Ettore Scola e Vasco Pratolini
«La Repubblica di Letino» è il titolo della sceneggiatura scritta da Ettore Scola e Amerigo Alberani, ispirata al tentativo insurrezionale del Matese, considerato dagli storici l’atto di nascita del Socialismo italiano. Prima ancora, Vasco Pratolini e Fernando Birri avevano iniziato a stendere la trama del loro «Mal d’America» partendo dalla casa di San Lupo, nel beneventano, dove si riunirono e partirono i rivoluzionari della leggendaria insurrezione socialista. Purtroppo entrambe le sceneggiature sono rimaste tali, poiché  i film non sono mai stati realizzati.

In San Lupo
Nell’aprile del 1877, sulle montagne del Matese, tra le province di Benevento e Caserta, un gruppo di internazionalisti tra cui Errico Malatesta, Carlo Cafiero, Pietro Cesare Ceccarelli e Napoleone Papini, fedeli alla dottrina della «Propaganda del fatto», in nome della Rivoluzione sociale, dichiararono decaduto il Re e il Governo. L’azione rivoluzionaria era stata decisa l’anno precedente, durante il III Congresso dell’Internazionale Socialista, svoltosi a Firenze e a Tosi (FI). Tale assise, fedele alle idee di  Michail Bakunin e in contrapposizione a quelle di Karl Marx, aveva scelto il Mezzogiorno d’Italia per una nuova azione rivoluzionaria. Il luogo prescelto fu il paese di San Lupo, nel beneventano. La data di inizio dell’azione rivoluzionaria, in un primo tempo fissata per il 5 maggio, fu precipitosamente anticipata di un mese. Raccolti i fondi, le armi e il materiale necessario, nel mese di marzo 1877, Errico Malatesta prese in fitto un’abitazione a San Lupo con il pretesto di dovervi far soggiornare una signora inglese, affetta da tisi, cui i medici avevano prescritto aria di montagna.

Carlo Cafiero

La mattina del 3 aprile 1877, Carlo Cafiero, fingendo di essere inglese, accompagnato da una giovanissima ragazza e da Errico Malatesta, arrivò a San Lupo per una rapida ricognizione, visitò la Taverna Jacobelli e, dopo una breve passeggiata a cavallo nei boschi, di sera rientrò a Napoli. Nei giorni seguenti, altri internazionalisti, alla spicciolata, giunsero a San Lupo. La questura di Napoli- perfettamente a conoscenza dei fatti grazie alla delazione di un abitante di San Lupo, che gli internazionalisti avevano precedentemente contattato e sul quale facevano affidamento in quanto conoscitore dei luoghi – informò il prefetto di Benevento affinché la mattina del 5 aprile si procedesse all’irruzione nella Taverna Jacobelli e all’arresto dei congiurati. Non ritenendo opportuno il momento, poiché convinto, non a torto, che altri internazionalisti stessero per raggiungere San Lupo, il prefetto non intervenne ma fece disporre un servizio di vigilanza armata intorno la taverna. La sera del 5 aprile la situazione improvvisamente precipitò. I carabinieri di guardia, vedendo dei segnali luminosi provenire dalla taverna, provarono ad avvicinarsi ma subito si imbatterono in due gruppi di internazionalisti. Ne scaturì un conflitto a fuoco nel quale due, dei quattro carabinieri presenti, furono feriti. Uno morirà successivamente per le ferite riportate. Convinti di essere stati scoperti, temendo l’arrivo di altre forze più consistenti, gli internazionalisti immediatamente presero la via dei monti. Non conoscendo bene i luoghi, facendo affidamento su guide improvvisate, i rivoltosi vagarono un paio di giorni per il Matese e infine scelsero Letino come nuova sede dell’azione rivoluzionaria.

A Letino e a Gallo
Domenica 8 aprile 1877 la banda degli internazionalisti entrò a Letino. Spiegata al vento la bandiera rossa e nera, gli insorti si diressero verso la piazza principale del paese dove, in municipio, era convocato il consiglio comunale. Entrati nella sala del consiglio, dichiararono decaduto il re Vittorio Emanuele II, distruggendone il ritratto, poi proclamarono la Rivoluzione sociale. Nel trambusto gettarono dalla finestra le carte dell’archivio dello stato civile e del catasto, facendone un falò. Si fecero consegnare i fucili della disciolta guardia nazionale e li distribuirono al popolo.

Al segretario comunale che, scrupolosamente voleva tenere le carte a posto, fu rilasciata la seguente dichiarazione a firma di Malatesta, Cafiero e Ceccarelli «Noi qui sottoscritti dichiariamo aver occupato il Municipio di Letino armata mano in nome della Rivoluzione sociale, oggi 8 aprile 1877». Dopo un breve discorso di Malatesta, seguito da un inaspettato e favorevole intervento del parroco del paese, gli insorti, distrutti i contatori dei mulini per la tassa sul macinato, si diressero a Gallo, dove si ripeterono più o meno le medesime scene. Nei giorni successivi gli insorti provarono a coinvolgere altri comuni della zona ma li trovarono presidiati dalle forze dell’ordine. Il Governo aveva intanto allertato dodicimila uomini tra carabinieri ed esercito. La sera dell’11 aprile, dopo aver provato a valicare in Molise, affaticati da una lunga marcia nella neve e sempre battuti dal vento e dalla pioggia, i ventisei rivoluzionari furono arrestati – senza opporre alcuna resistenza- in una masseria nei dintorni di Letino.

 

In prigione a Santa Maria Capua Vetere
Risparmiati dalla fucilazione grazie all’intervento di Silvia Pisacane (la figlia di Carlo, il patriota morto nella spedizione di Sapri) che convinse il ministro degli interni Giovanni Nicotera a farli giudicare da un tribunale ordinario, gli internazionalisti furono rinchiusi nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Durante la detenzione Carlo Cafiero – primo in Italia –  tradusse, compendiò e pubblicò il primo libro del Capitale di Marx, ricevendo dall’autore i complimenti per la chiarezza e la sinteticità dell’esposizione. Dopo un primo rinvio a giudizio, agli inizi del 1878, in seguito all’amnistia emanata dal nuovo re Umberto I°, i reati politici contestati agli insorti furono cancellati e gli imputati rinviati a giudizio soltanto per il ferimento e la morte del carabiniere.

Il processo a Benevento
L’accusa, quindi, fu modificata da reato politico a reato comune e gli insorti furono rinviati a giudizio davanti alla Corte d’Assise di Benevento con l’infamante accusa di aver agito per «libidine di sangue». Il processo, celebrato nel mese di agosto 1878 e molto seguito dalla stampa, rappresentò per gli imputati un’ottima opportunità per pubblicizzare l’ideologia anarchica e far conoscere all’opinione pubblica le idee del nascente socialismo. A fine processo gli imputati furono dichiarati non colpevoli e immediatamente rimessi in libertà. Fra una folla festante, accompagnati da circa duemila persone, gli internazionalisti della «Banda del Matese», dopo sedici mesi di carcerazione preventiva, finalmente liberi, lasciarono in corteo prima l’aula del tribunale per recarsi a festeggiare in un’osteria di Benevento. «Un processo di questi per Provincia e il Governo si sarebbe ucciso con le proprie mani», fu questo il commento finale di un giornalista del «Corriere del Mattino» di Napoli.

Il ruolo di Giovanni Pascoli
Le ultime ricerche in campo letterario, evidenziando il ruolo svolto nelle vicende della Prima Internazionale, lasciano presumere che anche il poeta Giovanni Pascoli abbia partecipato, sia pure indirettamente, a questi fatti condividendone i fini e collaborando con i diversi affiliati. Parlare del socialismo del giovane Pascoli non è facile in quanto l’immagine che a noi è arrivata è quella trasmessa dalla sorella Maria, come «poeta della famiglia e tenace ricostruttore del nido familiare». Durante gli anni universitari, invece, Pascoli fu un fervente affiliato dell’Internazionale dei Lavoratori, divenendone nel 1876 segretario della federazione bolognese. Fu anche arrestato per aver partecipato ad una manifestazione anarchica. Fu amico e compagno di studi di Andrea Costa, entrambi discepoli di Giosuè Carducci, che con la propria testimonianza contribuì  a far assolvere Costa e i suoi compagni per il conato insurrezionale di Bologna del 1874, raccontato da Riccardo Bacchelli nel romanzo «Il diavolo al Pontelungo». Il giovane Pascoli partecipò attivamente alla vita della federazione bolognese dell’Internazionale scrivendo e pubblicando articoli su riviste, organizzando e promuovendo incontri e manifestazioni pubbliche. In particolare, agli inizi del 1877, qualche mese prima dei fatti del Matese, Pascoli e Costa pubblicarono nel giornale «Il Martello» un attacco durissimo contro il ministro Giovanni Nicotera accusandolo di viltà «mentitore sfacciato, calunniatore per sistema, ignorante e borioso». Quando Andrea Costa, in seguito al fallito moto del Matese –  del quale, insieme a Cafiero e Malatesta, fu ideatore e organizzatore – per sfuggire all’arresto fu costretto a riparare all’estero, Pascoli ne organizzò la fuga ospitandolo nella sua casa di Bologna, la sera prima della partenza per la Svizzera.

Bibliografia
Francesco Lisanti, Storia degli anarchici milanesi (1892-1925), Milano, La vita felice 2016.

Pier Carlo Masini,  Storia degli anarchici italiani. Da Bakunin a Malatesta (1862-1892),  Milano, Rizzoli 1971.

Giovanni Pascoli, Poesie e prose scelte, a cura di Cesare Garboli, Milano, Arnoldo Mondadori 2002.

Fernando Salsano,  Quintino Sella ministro delle finanze. Le politiche per lo sviluppo e i costi dell’unità d’Italia, Bologna, Il mulino 2013.

Bruno Tomasiello, La banda del Matese, 1876-1878. I documenti, le testimonianze, la stampa dell’epoca, Casalvelino Scalo (SA), Galzerano 2009.

 

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