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Identikit dei discepoli con la “febbre dell’annunzio”. Commento al vangelo di domenica 26 gennaio

Commento al vangelo nella III domenica del tempo ordinario

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Di Padre Fabrizio Cristarella Orestano
Comunità Monastica di Ruviano

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III domenica del tempo ordinario
Is 8, 23 – 9,2; Sal 26: 1Cor 1, 10-13.17; Mt 4, 12-23

L’Evangelo di questa domenica inizia da due annotazioni, una cronologica ed una geografica ma che non vanno colte solo come preoccupazioni spazio temporali … Matteo le sottolinea per affermare già dal principio la “sorte” di Gesù è che anche Lui verrà arrestato e patirà e che la salvezza prende vie impreviste ed imprevedibili. Se la vicenda del Battista diviene in qualche modo profezia dell’esito della vita di Gesù (che però, a differenza del Battista, non morirà come un martire ma come un delinquente rigettato da tutti e sul legno dei maledetti!), l’apparizione del Messia nella Galilea delle genti e non nella terra “nobile” di Giuda, nella Città santa di Gerusalemme, è una “sorpresa” ed è anche una dichiarazione degli intenti di Dio che, con l’incarnazione del Figlio, viene a sconfessare le nostre vie religiose che sempre, ben nettamente vorrebbero segnare i confini tra sacro e profano … invece, nella terra contaminata dai pagani, in quella Galilea da cui “non sorge profeta” (cfr Gv 7,52) inizia a brillare la luce attesa della salvezza. Dinanzi a questo inatteso, però, Matteo afferma che già i profeti avevano annunziato questo “novum” e così cita il testo del Libro di Isaia in cui un oracolo, che oggi è la prima lettura, preconizza la terra di Zabulon e di Neftali (in pratica la Galilea) come la prima che vedrà la luce della salvezza. Nel Figlio fatto carne che viene nel mondo, e viene a proclamare il Regno. si rivela un messianismo che non ha confini particolaristici e Matteo questo l’aveva già affermato con lucida chiarezza nell’episodio dei Magi (cfr Mt 2,1ss).

Ecco che la parola del Messia inizia a risuonare per le strade del mondo; le parole di Gesù sono le stesse di quelle del Battista (cfr 3,2). Questo ci dice che la predicazione di Gesù è in stretta continuità con quella di Giovanni, suo maestro; ma cambia l’annunziatore, in qualche modo, cambia anche l’annunzio. Se l’annunzio prima era dato dal Precursore l’accento doveva esser posto sulla conversione ma se ora la Parola la proclama Colui che è il compimento l’accento va posto sul Regno che è venuto!
Gesù non spiega cosa sia questo Regno che è venuto; tutto l’Evangelo ci aiuterà ad accostarci a questo Regno che Gesù è venuto a portare; ce ne darà tante immagini ma mai nessuna definizione e questo ci deve far riflettere! Al Regno ci saranno sempre e solo degli accostamenti perché esso si realizza qui nel regnare di Dio ma si compirà solo nell’ “oltre”! Qui del Regno che viene ci è data una scena che ci esemplifica come la luce del Messia si irradia e di come il regnare di Dio, attraverso Gesù, in Gesù, si fa prossimo all’uomo nella sua concretezza quotidiana.

Ecco qui, infatti, degli uomini che vedono quella luce che finalmente e inaspettatamente brilla nel territorio di Zabulon e di Neftali e ne sono afferrati permettendo a Dio di iniziare a regnare sulle loro vite, nelle loro vite ed attraverso le loro vite. Uomini che sono nel loro quotidiano, nel loro ordinario: nessuna cornice “sacra” per questa chiamata … unica cornice  la loro vita dura; lì il Regno li raggiunge! La chiamata dei primi quattro discepoli, per Matteo, è farci vedere concretamente e la conversione e il venire del Regno.

Gesù passa lungo il mare di Galilea (in realtà semplicemente il Lago di Genezareth come lo chiamerà il meno provinciale Luca!) e si imbatte in due fratelli che pare che incontri per la prima volta (Giovanni, nel suo Evangelo, ci narra di un incontro di Gesù coi questi uomini già nel deserto di Giuda; cfr Gv 1, 36-42) e li chiama dietro (“opiso”) a sé; è un’espressione che, già nell’Antico Testamento è usata per chiamare discepoli alla sequela(cfr 2Re 6,19); Gesù chiama in un rapporto con Lui; un rapporto che ora inizia e che non tollera né rinvii, né lentezze. C’è un subito (“euthéos”) che riguarda sia Pietro ed Andrea che Giovanni e Giacomo … se facciamo un confronto con la chiamata di Eliseo da parte di Elia (1Re 19, 19-21) si nota che ad Eliseo vengono concessi dei “riti” di commiato; qui no! L’irrompere del Regno nella storia dà alla storia stessa un’accelerazione che non deve essere in alcun modo frenata. C’è un’urgenza che ora scocca! Guai a chi differisce o rallenta il cammino di questo Regno.

Davanti a questo Regno veniente si fa chiara per Matteo, proprio in questo racconto, chi sia il discepolo: in primo luogo è uno che ha posto al centro Gesù. È Lui che si segue. Non la sua dottrina, né un suo bel progetto di vita. Il discepolo è uno che deve fare vita con Lui che è il maestro; un discepolo che, dunque, non diverrà mai a sua volta maestro. Lo statuto del discepolo di Gesù comprende il rimanere per sempre discepolo.

Il discepolo, poi, ci dice Matteo, è uno chiamato a dei tagli; il discepolo di Gesù è uno che deve dire dei “no”, è uno che deve assolutamente girare pagina; ci sono cose e persone da lasciare; non a caso il racconto ci mostra due coppie di fratelli e la narrazione delle due chiamate è quasi a calco ma c’è una differenza: Pietro ed Andrea lasciano le reti, Giovanni e Giacomo lasciano la barca ed il padre; insomma, non solo il mestiere ma anche la famiglia. Se il mestiere rappresenta un’identità sociale, il padre rappresenta le radici ma, rappresentando la famiglia, rappresenta qualcosa che ormai il discepolo deve riconoscere altrove, in un altrove che è la comunità dei discepoli.

E qui ci siamo già imbattuti in un terzo elemento che caratterizza l’identità del discepolo: la comunità. Il discepolo non è un solitario alla sequela di Gesù, è uno che lì trova degli altri che ugualmente seguono quel Maestro. È da Gesù che sceglie che nasce la comunità. Poiché Gesù ci ha scelti ci fa comunità. Il discepolo è questo.

Il discepolo, poi, continua a dirci Matteo in questo racconto apparentemente così semplice, è uno che si mette in cammino. La sequela del discepolo di Gesù non ci conduce o colloca in uno stato ma ci fa degli uomini “della via” (cfr At 9,2), ci mette in cammino. Il discepolo, l’uomo del Regno è uno sempre per via. È affetto da una “santa inquietudine”!

Un ultimo tratto che questo testo dà al discepolo è quello del missionario. La chiamata alla sequela è missione, è invio! Il discepolo, proprio perché è uno in stretta relazione con Gesù, (dietro di me!) è in corsa verso il mondo (Vi farò pescatori di uomini!). Insomma Gesù non prende i suoi e li mette al riparo dal mondo, quasi in uno spazio separato, privilegiato, protetto, esente. No! Li mette in cammino per le strade del mondo, per le strade degli uomini ad annunziare il Regno! Il discepolo ha la “febbre dell’annunzio”!

Più avanti Gesù dirà che per seguirlo bisogna assumere la croce (cfr Mt 16, 24) in una solidarietà profondissima con il mondo ed i suoi dolori tanto da rinunziare a se stessi fino alla morte dell’uomo vecchio.

Il Regno è portato da uomini così. Non c’è nessuno sconto da questa identità per chi vuole essere discepolo di Gesù e quindi “luogo” in cui il Regno si dispiega.
Il Regno …con tutti i suoi confini senza confini!

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