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Sanremo 2020. Grazie Paolo!

Io sono Paolo è il brano, del giovane sardo ammalato di Sla, interpretato dal rapper Kumalibre. Commozione all'Ariston e da casa per i milioni di telespettatori che hanno seguito in diretta il Festival della Canzione italiana

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Paolo Palumbo voleva partecipare a Sanremo Giovani ma è stato scartato, nonostante l’eliminazione Amadeus decide di invitarlo al Festival di Sanremo perché la sua canzone, il suo coraggio, la sua storia e la sua voglia di vivere vanno oltre la competizione.
È servizio pubblico, è insegnamento in prima serata, su RaiUno, davanti a circa  9,7 milioni di telespettatori che si aspettano di ridere, distrarsi, ma non questo.
Quanto tempo sprechiamo e sentire qualcuno che ci sbatte in faccia questa verità lascia senza parole, senza fiato. Solo tante lacrime silenziose, per tutte le volte in cui ci lamentiamo e dovremmo solo dire grazie per la salute, per gli amici, perché possiamo camminare, bere un sorso d’acqua, tenere in mano una padella, per tutte quelle cose che ci sembrano scontate ma che non lo sono, per niente.

Paolo è un giovane sardo di 22 anni, malato di Sla da quando ne aveva soli 18.
Ha scoperto di averla quando si è accorto che non riusciva a tenere in mano una casseruola, mentre inseguiva il suo sogno: diventare uno chef.
Io sono Paolo è il titolo del brano che al teatro Ariston è stato interpretato dal rapper Kumalibre.
Al termine dell’esibizione Paolo commuove l’Ariston raccontando la sua storia attraverso l’uso di un comunicatore vocale che interpreta i movimenti oculari del giovane traducendoli in parole.

Ci parla di sogni Paolo, ci parla di coraggio, della vita e di quanto sia meravigliosa anche se lui è prigioniero del suo stesso corpo.
Il discorso fa tirare il fiato, è un’apnea, un nodo alla gola che si scioglie solo quando il nostro volto è rigato da lacrime silenziose.
Impossibile non piangere, impossibile non scordare tutto il resto, non essere rapiti dalle sue parole.
“Chiudete gli occhi: provate a immaginare che la vostra quotidianità, anche nei gesti più piccoli, venga improvvisamente stravolta. Immaginate che il corpo che per anni vi ha sostenuti non risponda più ai vostri comandi, e che non possiate più provare il piacere di dissetarvi con un sorso d’acqua, di canticchiare la vostra canzone preferita, o di fare un bel respiro profondo”
Sul palco con lui c’è il fratello Rosario, che da quando hanno avuto la diagnosi non lo lascia mai, diventando “le sue braccia, le sue gambe”. Racconta di una famiglia meravigliosa, unita ed è grazie a loro se ha fatto di questo enorme ostacolo una forza.
“Perciò, la mia non è la storia di un ragazzo sfortunato, ma quella di un ragazzo che non si è arreso davanti alle difficoltà e ha imparato a farne un punto d’appoggio su cui costruire qualcosa di nuovo”.

Paolo conclude la sua canzone con una dimostrazione di fede “Credo e recito il Rosario ed è proprio lui a tenere lontano il mio sicario”.
Di tutta questa emozione, resta il coraggio, la voglia di vivere l’esempio e gli interrogativi che ci frullano in mente, che ricordiamo prima di dormire:
“Vi faccio una domanda: avete usato il vostro tempo nel migliore dei modi? Avete detto tutti i “Ti voglio bene” che volevate? Avete cercato di fare il lavoro che sognavate di fare per svegliarvi col sorriso?”
Ecco, facciamolo ogni giorno. Grazie Paolo.
#iostoconPaolo

Il discorso integrale pronunciato al termine dell’esecuzione del brano

“Buonasera a tutti, lasciate che mi presenti, mi chiamo Paolo Palumbo, ho 22 anni. Sono nato in Sardegna e da 4 anni combatto contro la Sclerosi Laterale Amiotrofica, conosciuta come SLA. Ringrazio lo staff di Sanremo e Amadeus per avermi dato l’opportunità di essere qui stasera e di portare il mio messaggio usando questa voce un po’ particolare. 

Chiudete gli occhi: provate a immaginare che la vostra quotidianità, anche nei gesti più piccoli, venga improvvisamente stravolta. Immaginate che il corpo che per anni vi ha sostenuti non risponda più ai vostri comandi, e che non possiate più provare il piacere di dissetarvi con un sorso d’acqua, di canticchiare la vostra canzone preferita, o di fare un bel respiro profondo. 

In Italia, siamo oltre 6000 ad aver provato queste sensazioni e ad aver fatto degli accertamenti che ci hanno catapultato in un mondo ignoto. Sapete chi è la persona che mi sta vicino? Si chiama Rosario, e non è solo mio fratello. È anche il vero eroe di questa storia. Pensate che al momento della diagnosi lui ha lasciato tutto per prendersi cura di me, diventando le mie gambe e le mie braccia. Grazie a lui le mie incertezze sono scomparse. 

Certo, ogni tanto mi fa arrabbiare e lo rimprovero, ma mi basta la dolcezza con cui lui mi parla a far tornare tutto come prima. Rosario e la mia splendida famiglia mi hanno insegnato cosa significa la parola sacrificio, dedicandomi la loro vita senza chiedermi nulla in cambio, se non di rimanere qui con loro.

Grazie al loro amore ho scoperto una forza interiore che non sapevo di avere e che vorrei trasmettervi, perché sono convinto che ce l’abbiamo tutti, anche se non ce ne rendiamo conto. È stato grazie a questa forza che la SLA non è riuscita a impedirmi di diventare uno chef e di realizzare tutto quello che avevo in mente. 

Perciò, la mia non è la storia di un ragazzo sfortunato, ma quella di un ragazzo che non si è arreso davanti alle difficoltà e ha imparato a farne un punto d’appoggio su cui costruire qualcosa di nuovo. Quando vi dicono che i vostri sogni non si possono realizzare, continuate dritti per la vostra strada e seguendo il cuore, perché i limiti sono solo dentro di noi. La vita non è una passeggiata e dovremmo fronteggiare le sfide che ci mette davanti con tutto l’entusiasmo possibile. 

Poco più di un mese fa ho affrontato un momento difficile, una crisi respiratoria. Se non fosse stato per la bravura dei medici e il sostegno di tutti quelli che sono accanto a me, oggi non ci sarei. Quando mi sono risvegliato dalla rianimazione ho riflettuto sulla fortuna di essere vivi. 

Vi faccio una domanda: avete usato il vostro tempo nel migliore dei modi? Avete detto tutti i “Ti voglio bene” che volevate? Avete cercato di fare il lavoro che sognavate di fare per svegliarvi col sorriso? 

In questi ultimi anni ho imparato che il tempo che abbiamo a disposizione è poco e prezioso e dovremmo viverlo intensamente, riempiendolo di amore e di altruismo. Date al mondo il lato migliore di voi e vedrete che le cose andranno meglio, perché se abbiamo bisogno di un cambiamento è soprattutto nella mente, dove stagnano le disabilità più pericolose come la mancanza di empatia e tolleranza. 

Malattie come la mia ci rendono uguali, colpiscono senza giudicare le nostre storie, la nostra bontà, il nostro ceto sociale o i nostri progetti. Perciò, nel vostro piccolo, fate quanto più potete per aiutare il prossimo. Non buttate via la vostra vita, e quando di fronte a un problema crederete di non farcela, ascoltate e riascoltate la mia canzone, fatela sentire a chi amate e pensate a me e a tutti quei guerrieri che ogni minuto lottano per vivere. Grazie a tutti

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