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Mediterraneo frontiera di pace, si comincia. A Bari fino a domenica per riportare l’umanità al centro

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È iniziato ieri l’incontro che si concluderà domenica con la messa del Papa. I Vescovi dei paesi del Mediterraneo allo stesso tavolo per recuperare l’identità e l’alterità delle genti che lo abitano, che lo attraversano…

(da Bari) “Non possiamo limitarci alla denuncia dei crimini e delle ingiustizie, che non dobbiamo peraltro negligere. Abbiamo il dovere di indicare come la strada nella quale il Mediterraneo è immesso sia connessa con il piano divino di salvezza in Cristo, quanto se ne allontani e dove Dio vuole che indirizziamo i nostri passi per rimanere fedeli a lui, Signore della storia”. Con queste parole, mons. Antonino Raspanti, vescovo di Acireale e vice presidente della Cei, detta “l’agenda” dei lavori che si sono aperti ieri pomeriggio a Bari e che per quattro giorni – prima dell’arrivo di Papa Francesco domenica – vedranno impegnati sui temi della pace, del dialogo e della giustizia 58 vescovi delegati di 20 Paesi del Mediterraneo.

Nel prendere la parola nella cornice del Castello Svevo sul lungomare di Bari, mons. Raspanti ha ricordato il grido del siriano padre Jacques Mourad: “I popoli del Mediterraneo non ne possono più di sofferenze, sangue, violenze, conflitti, distruzioni. Così mi viene dal cuore la richiesta di pregare perché da Bari arrivi questa luce per tutto il Mediterraneo”. In questi giorni i vescovi si confronteranno sui problemi che affliggono la Regione e i popoli del Mare Nostrum: le migrazioni, la povertà, le violenze, la mancanza di istruzione o di cure sanitarie, lo sfruttamento di nazioni, la crisi dell’istituto familiare. Ma, ha aggiunto il vescovo Raspanti, “la storia ci insegna che per la felicità delle persone è basilare più che risolvere le singole criticità, offrire orizzonti di speranza, un sogno da nutrire, un ideale al quale appartenere e di cui essere insieme costruttori”.

 

A Bari sono presenti vescovi che arrivano dalla  costa sud e nord del Mediterraneo. Sono le voci dei popoli che abitano in Marocco, Libia, Algeria, Siria, Iraq, Egitto ma anche Francia, Balcani e Spagna. Saranno giorni di ascolto e confronto, riflessione e preghiera. C’è un tratto – ha detto mons. Raspanti – che caratterizza il Mediterraneo: la presenza “in uno spazio geografico relativamente piccolo” di “una marcata accentuazione delle identità/alterità delle genti che vi abitano”.
“Dinamica – ha osservato Raspanti – che non è rimasta al riparo da degenerazioni, come lotte, odio, contrapposizioni”. Non si tratta di mettere “in secondo piano quello che ci divide e puntare su ciò che ci accomuna, correndo i rischi di appiattire le identità e deprezzare i tesori dei popoli”. Si tratta piuttosto di sottolineare come tensioni e abbracci “non hanno mai cancellato il senso di appartenenza reciproca che i popoli del Mediterraneo avvertono in sé”. E ha concluso: “Ciò implica che in questo bacino possa esser richiesto un maggior coraggio al processo del perdono e della riconciliazione, alla corresponsabilità e alla fraternità? Il suono delle parole ‘Dov’è Abele, tuo fratello?’ diventa qui tuono assordante?”.

 

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