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Coronavirus. È morto Luis Sepúlveda, lo scrittore del diritto alla vita

Lo scrittore cileno è scomparso a 71 anni a Oviedo. Da metà marzo l'autore della Gabbianella e il gatto lottava contro il Covid-19. Guardia di Allende, fu perseguitato dal regime di Pinochet

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È morto per coronavirus lo scrittore cileno Luis Sepulveda. L’autore della Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare e di Il vecchio che leggeva romanzi d’amore era ricoverato da fine febbraio in ospedale a Oviedo dopo aver contratto l’infezione.

Se c’è un segno che ha contraddistinto l’opera e le parole di Luis Sepulvelda è la sua fedeltà nella difesa dei diritti dell’uomo, nella capacità di credere che sia necessario essere consapevoli del proprio essere individuo, non isolato, ma responsabile di un vivere civile al quale la nostra socialità richiama. Ne è stato fortemente convinto e lo ha raccontato nella sua opera letteraria, così variegata, come scelta di generi, ma unificata proprio da questo valore che unisce i romanzi e le favole, raccontate non solo ai ragazzi, ma a tutti i suoi lettori, come forma “antica” e immediata per riportare l’attenzione su tutti quegli aspetti che portano un uomo a condividere il suo essere all’interno della collettività in modo consapevole. Diceva: «Siamo esseri umani e questa condizione è determinata dal nostro essere legati alla socialità, alla possibilità di riunirci, ad essere parte di una collettività chiamata famiglia umana. Oggi c’è una tendenza ad isolare l’individuo, a fare in modo che dimentichi la sua socialità, tuttavia io mi oppongo a questo e insisto nella necessità di essere sociali».

I suoi romanzi non solo raccontano questa possibilità dal punto di vista politico, ma la riportano anche sul piano di una sorta di codice etico che afferma l’individuo, garantendogli un diritto primario. È’ quello per il quale val la pena di operare, ogni giorno. Sepulveda ne era convinto in modo deciso: «La lotta contro i nemici dell’umanità si combatte in tutto il mondo, non richiede né eroi né messia, e inizia dalla difesa del più fondamentale dei diritti: il Diritto alla Vita».

La vita
Lo aveva imparato sulla propria pelle in gioventù, durante il golpe cileno. Era nato il 4 ottobre 1949, a Ovalle, anche se poi trascorre i primi anni di vita a Valparaiso, in compagnia del nonno paterno, un anarchico andaluso, e dello zio Pepe e con loro inizia ad amare la lettura di grandi scrittori (Emilio Salgari, Joseph Conrad ed Herman Melville) che segneranno le scelte future e anche la necessità di una scrittura errabonda, in grado di misurarsi con gli ampi spazi del Sudamerica e i grandi sogni dei molti compagni di viaggio che la strada gli ha offerto come visione, compagnia ed esemplarità di vita: «Viaggiando in lungo e in largo per il mondo ho incontrato magnifici sognatori, uomini e donne che credono con testardaggine nei sogni. Li mantengono, li coltivano, li condividono, li moltiplicano. Io umilmente, a modo mio, ho fatto lo stesso».

Scrive un primo libro di racconti a vent’anni che riceve il Premio Casa de las Americas, poi consegue un diploma di regista teatrale, lavora in una radio, entra a far parte del Partito Socialista e della guardia personale di Salvador Allende. Dopo il colpo di stato del 1973 e la dittatura del Generale Pinochet, Sepúlveda viene catturato, interrogato e torturato. Per sette mesi resta chiuso in una cella così stretta e bassa da non potersi neanche alzare in piedi. Dirà: «È difficile immaginare come una mente umana possa resistere e non svanire nella follia, in simili condizioni».

È necessario l’intervento di Amnesty International per essere scarcerato e avere la possibilità di commutare la condanna a morte in un esilio di otto anni. Tornerà a quella stagione nell’ultimo romanzo, La fine della storia (2016), protagonista Juan Belmonte, ex guerrigliero, fedele fino alla fine a Salvador Allende e al suo Sogno frantumato nel sangue, poi pronto a combattere per ogni libertà, che si ritrova a fare i conti con il proprio passato e, ormai sessantenne, dover lasciare la quiete dell’Isola di Chiloé e riprendere le armi perché «non si sfugge alla propria ombra. Non importa dove stiamo andando, l’ombra di ciò che abbiamo fatto e siamo stati ci perseguita con la tenacia di una maledizione».

Invece di andare in Svezia, dove aveva ricevuto asilo politico, al primo scalo, Sepùlveda scappa in Brasile, e poi in Paraguay e in Ecuador, dove conosce un mondo che avrebbe influenzato la sua letteratura e il suo destino di scrittore: per sette mesi vive nella foresta amazzonica con gli indios shuar, dai quali ha imparato una lingua nuova, ma soprattutto il valore del rispetto dei delicati equilibri della Madre Terra. Alla fine degli anni Settanta, dopo l’avventura in Nicaragua e una sosta in Ecuador, parte per l’Europa: destinazione Amburgo, dove diventa uno dei maggiori corrispondenti sulle imprese di Greenpeace.

Il successo arriva nel 1988, quando scrive Il vecchio che leggeva romanzi d’amore, best-seller in tutta Europa, seguito da Il mondo alla fine del mondo, un romanzo “ecologista” sulla distruzione del pianeta in nome del profitto dedicato alla terra che gli è rimasta nel cuore, la Patagonia, che è protagonista anche dei racconti di viaggio di “Patagonia Express”, che si chiude con l’incontro a Santiago del Cile, con lo scrittore che è stato il suo maestro, Francisco Coloane: «Mi aveva passato i suoi fantasmi, i sui personaggi, gli indio e gli emigranti di tutte le latitudini che abitano la Patagonia e la Terra del Fuoco, i suoi marinai e i suoi vagabondi del mare. Adesso sono tutti con me e mi permettono di dire a voce alta che vivere è un magnifico esercizio».

È quell’esercizio che anima tutti i suoi libri, che vivono di forza in virtù della capacità di trasformare la verità umana in una realtà romanzesca riconoscibile, dove la scrittura non è solo un dovere, ma una sorta di combattimento continuo, con se stesso, con il malessere del mondo, con i fantasmi della Storia, anche quando si stempera nella forma quieta e sapienziale della favola, l’altro modo che Sepulveda ha scelto per raccontarsi agli uomini, per raccontare loro quel “diritto alla vita” in cui ha sempre creduto.

Lo ha fatto anche con le sue “favole”, mettendo in scena la generosità e la solidarietà, oltre al bisogno di amore per la natura, nella “Gabbianella e il gatto”; sostenendo il valore della lentezza, nel nostro mondo lacerato dalla velocità a tutti i costi nella storia della lumaca e quello dell’amicizia nella Storia del gatto e del topo che diventò suo amico; ritornando a sottolineare la necessità della libertà e il valore di non negare a nessuno i diritti fondamentali, nella Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà, fino a celebrare la bellezza e la grandezza di un mare da lui tanto amato attraverso la voce di una balena bianca.

Fonte Avvenire

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