Elisabetta Gramolini – Non è una corsa ma l’attesa cresce insieme alle speranze. A dicembre, secondo il premier Giuseppe Conte potrebbero arrivare le prime dosi del vaccino Oxford-Irbm Pomezia-Astrazeneca. L’annuncio ha risollevato la fiducia di molti. “È una buona notizia – afferma Francesco Vaia, epidemiologo e direttore sanitario dell’istituto Lazzaro Spallanzani di Roma – perché la battaglia contro il virus si può combattere o con l’immunità di gregge, per la quale siamo lontani, o con il vaccino. Per noi è importante che il vaccino sia efficace e sicuro”.
Certo è che non sarà possibile tornare alla normalità nel breve periodo. “Dobbiamo augurarci – commenta il professore – che ci siano tanti vaccini per coprire la popolazione mondiale. Questo è un inizio positivo ma avremo bisogno di milioni di dosi”. Anche lo Spallanzani sta lavorando ad un vaccino. Dal mese di agosto infatti è iniziata la fase 1 di sperimentazione. “I primi dati – dice Vaia – saranno valutati a fine ottobre e in base a questi orienteremo i tempi. Per noi non c’è nessuna gara. Il nostro auspicio è di ultimare le altre due fasi in primavera.
Soprattutto se il vaccino è sicuro ed efficace bisogna metterlo a disposizione di tutti, così come ha detto papa Francesco: per il bene comune”.
Per quanto riguarda la cura dei pazienti contagiati, solo pochi giorni fa, l’Organizzazione mondiale della sanità ha pubblicato i risultati su quattro farmaci finora usati (remdesivir, idrossiclorochina, interferone, lopinavir combinato a ritonavir) dichiarandoli poco efficaci. Va detto però che lo studio dell’Oms dovrà essere ancora sottoposto alla peer review (revisione fra pari) ma intanto la notizia ha destato più di una perplessità, visto che, specie il remdesivir, è stato utilizzato largamente. Pure allo Spallanzani, il farmaco era fra i protocolli di cura. “Apprendiamo con grande rispetto questa notizia dall’Oms – osserva Vaia -. Noi abbiamo avuto dei risultati positivi. Il percorso di questi farmaci è stato un po’ tortuoso. Queste notizie vanno approfondite dalla comunità scientifica”.
La situazione allo Spallanzani oggi è simile agli altri ospedali completamente dedicati ai pazienti Covid.
“Abbiamo quadruplicato la nostra disponibilità sia in ricovero ordinario sia in terapia intensiva. Ci sarà bisogno di dare uno sguardo al territorio. Il servizio sanitario nazionale deve potenziare i medici di famiglia per l’assistenza domiciliare. La sfida di domani è fare in modo che le cure siano portate a casa per evitare all’ospedale di riempirsi e non poter curare altre patologie.
Dobbiamo trovare un equilibrio, gli ospedali non possono curare solo il Covid.
Almeno nel Lazio ci si sta orientando nel fare ospedali dedicati inseriti in una rete di presidi per le altre patologie”. Novità che si è aggiunta nella giornata di oggi è l’evidenza derivata dai tanti test fatti nelle ultime settimane: “Lo Spallanzani ha verificato, analizzando i migliaia di test antigenici nei drive in, nelle scuole e all’aeroporto che sopra a un indice chiamato cut off uguale a 10 è inutile fare il tampone di conferma. Questo permetterà di diminuire l’affluenza ai drive in”.
E la ricetta per evitare un nuovo lockdown?
“Bisogna che i cittadini partecipino attivamente – risponde – e che il sistema Paese non punti solo sulla sanità ma che ci siano interventi anche su altri segmenti”. “La mia idea è di non chiudere nulla ma di aumentare la flessibilità. Non sono per gli esercizi muscolari – insiste -. Credo più nel convincimento. Se si dà la possibilità di andare nei negozi per un orario più lungo sarà più facile diluire l’affluenza”.
Anche per i trasporti il direttore sanitario dello Spallanzani ha un suggerimento:
“Perché non chiedere ai privati, come per esempio i bus turistici che in questo periodo sono per lo più fermi, di aiutare il trasporto pubblico, insieme all’esercito? Si aiuterebbe un comparto che ora ha carenze di mezzi per evitare il sovraffollamento”.
Fonte Agensir