In un’intervista a La Civiltà Cattolica il Cardinale designato, Mario Grech, originario di La Cala (Malta) e segretario generale del Sinodo dei vescovi, spiega che durante il lockdown è emerso “un certo clericalismo, anche via social”. Grech fa riferimento alle “tante iniziative pastorali, incentrate attorno alla figura del presbitero” e veicolate da media e social la scorsa primavera… La lettura di mons. Grech provoca a scelte diverse da adottare per “agganciarsi con il mistero”, che siano da stimolo al “dialogo fraterno”, di spazio alla famiglia, tenendo conto dei modi in cui la Chiesa si è espressa nei mesi di chiusura generalizzata. Il rischio di nuove misure restrittive per il contenimento del Covid19, potrebbe nuovamente (e in parte già sta accadendo) chiamare in causa nuovamente l’utilizzo degli strumenti social per incontrare i fedeli: guardarsi bene dal rischio di non inciampare nei limiti che il Cardinale segnala, ma dopo la ‘prova’ del precedente lockdown dare fondo alle energie e una creatività veramente rinnovata, efficace e coinvolgente per tutti.
«Sarà un suicidio se, dopo la pandemia, torneremo agli stessi modelli pastorali che abbiamo praticato fino a ora». Il nuovo segretario del Sinodo dei vescovi, il maltese Mario Grech, cardinale al Concistoro del prossimo 28 novembre, denuncia il fatto che durante il lockdown, quando le messe in presenza erano sospese per motivi sanitari, «è emerso un certo clericalismo, anche via social», quasi che la temporanea mancanza della liturgia e dei sacramenti potesse compromettere «la fedeltà del discepolo a Gesù», e indica, invece, due piste da seguire per il prossimo futuro: il metodo della «sinodalità», concetto da non potersi interpretare senza una connessa «fratellanza», e la necessità di restituire alla famiglia, domus ecclesiae, «una dimensione sacrale e cultuale».
«Durante la pandemia è emerso un certo clericalismo, anche via social. Abbiamo assistito
a un grado di esibizionismo e pietismo che sa più di magia che di espressione di fede matura», afferma il Cardinale designato in un’intervista apparsa sul fascicolo 4087 della Civiltà Cattolica. «Tante iniziative pastorali in questo periodo sono state incentrate attorno alla figura del presbitero da solo» e «nella situazione che impediva la celebrazione dei sacramenti non abbiamo colto che c’erano altri modi attraverso i quali abbiamo potuto fare esperienza di Dio». Ma «la fedeltà del discepolo a Gesù – spiega il presule maltese – non può essere compromessa dalla temporanea mancanza della liturgia e dei sacramenti». L’ex vescovo di Gozo spiega: «Trovo curioso che molti si siano lamentati del fatto di non poter ricevere la comunione e celebrare i funerali in chiesa, ma che non altrettanti si siano preoccupati di come riconciliarsi con Dio e con il prossimo, di come ascoltare e celebrare la Parola di Dio e di come vivere il servizio. Circa la Parola, poi, dobbiamo auspicare che questa crisi, i cui effetti ci accompagneranno a lungo, possa essere un momento opportuno per noi, come Chiesa, per riportare il Vangelo al centro della nostra vita e del nostro ministero. Molti sono ancora “analfabeti del Vangelo”».
Il segretario del Sinodo pone un interrogativo sul filo della provocazione: «Quei medici e infermieri che rischiavano la vita per rimanere vicino ai malati non hanno trasformato i reparti ospedalieri in altre “cattedrali”?». La Chiesa «appare troppo clericale, e il ministero è controllato dai chierici» e «anche i laici spesso si fanno condizionare da uno schema di forte clericalismo», denuncia Grech, secondo il quale «c’è da preoccuparsi quando fuori del contesto eucaristico o cultuale uno si sente smarrito perché non conosce altri modi di agganciarsi con il mistero. Questo non soltanto indica che esiste un certo analfabetismo spirituale, ma è una prova dell’inadeguatezza dell’attuale prassi pastorale. Con molta probabilità nel passato recente la nostra attività pastorale ha cercato di iniziare ai sacramenti e non di iniziare – attraverso i sacramenti – alla vita cristiana». Mario Grech non ammorbidisce il tono di allarme: «Sarà un suicidio se, dopo la pandemia, torneremo agli stessi modelli pastorali che abbiamo praticato fino a ora». Per questo, «dobbiamo riflettere per interrogarci circa la ricchezza dei ministeri laicali nella Chiesa, capire se e come si sono espressi».
A intervistare Mario Grech è il direttore della Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, straordinariamente affiancato, in questo caso, da Simone Sereni, segretario di direzione e redazione del quindicinale dei gesuiti. Una sezione dell’intervista è dedicata alla famiglia «piccola Chiesa domestica»: è anche questo il motivo per il quale, si legge in introduzione dell’intervista, la conversazione è stata realizzata insieme da un sacerdote e da un laico che è marito e padre. E, dunque, a partire dalla pandemia, si può dire che la casa sia tornata a essere Chiesa, anche in senso liturgico? «A me è parso chiarissimo», risponde il Cardinale designato. «E chi, durante questo periodo nel quale la famiglia non ha avuto l’opportunità di partecipare all’Eucaristia, non ha colto l’occasione per aiutare le famiglie a sviluppare il loro potenziale proprio, ha perso un’occasione d’oro». La Chiesa grande comunità «è costituita da piccole Chiese che si riuniscono nelle case. Se la Chiesa domestica viene a mancare, la Chiesa non può sussistere. Se non c’è Chiesa domestica, la Chiesa non ha futuro!».
Il clericalismo riemerge anche in questo contesto: si tratta di «una delle perversioni della vita presbiterale e della Chiesa, nonostante il Concilio Vaticano II abbia recuperato la nozione di famiglia come “Chiesa domestica” e abbia sviluppato l’insegnamento sul sacerdozio comune», spiega Mario Grech. «Non è la famiglia a essere sussidiaria della Chiesa, ma è la Chiesa a dover essere sussidiaria della famiglia. In quanto la famiglia è struttura basilare e permanente della Chiesa, a essa, domus ecclesiae, dovrebbe essere restituita una dimensione sacrale e cultuale».
Il presule maltese è stato nominato il 2 ottobre 2019 da Papa Francesco pro-segretario generale del Sinodo dei Vescovi, e per questo ha partecipato al Sinodo per l’Amazzonia. Lo scorso 16 settembre è succeduto al cardinale Lorenzo Baldisseri come segretario a pieno titolo. E nell’intervista a Civiltà cattolica mette a fuoco un collegamento: «Penso che sinodalità e fratellanza siano due termini che si richiamano l’un l’altro», afferma. «Una caratteristica essenziale del processo sinodale nella Chiesa è il dialogo fraterno. Nel suo discorso all’inizio del Sinodo sui giovani, papa Francesco ha detto: “Il Sinodo deve essere un esercizio di dialogo anzitutto tra quanti vi partecipano”. E il primo frutto di questo dialogo è che ciascuno si apra alla novità, a modificare la propria opinione, a gioire per quanto ha ascoltato dagli altri. Inoltre, all’inizio dell’Assemblea speciale del Sinodo per la regione panamazonica, il Santo Padre ha fatto un richiamo alla “mistica della fraternità”, e ha sottolineato l’importanza di un’atmosfera fraterna tra i padri sinodali, “custodendo la fraternità che deve esistere qui dentro”. Questa cultura di “dialogo fraterno” aiuterebbe tutte le assemblee – politiche, economiche, scientifiche – a trasformarsi in luoghi di incontro e non di scontro. In un’epoca come la nostra, nella quale assistiamo a un’eccessiva rivendicazione di sovranità degli Stati e a un ritorno al classismo, i soggetti sociali potrebbero rivalutare questo approccio “sinodale”, che faciliterebbe un cammino di avvicinamento e una visione cooperativa».
Fonte La Stampa