L’Avvento porta nelle nostre chiese il nuovo Messale romano.
Con il Decreto del Vescovo Mons. Orazio Francesco Piazza, amministratore apostolico, entra ufficialmente in uso la terza edizione del libro liturgico che raccoglie i formulari, le preghiere per la celebrazione e i riti…
La Diocesi di Alife-Caiazzo, come tante in Italia, adotterà l’uso del Messale a partire dal 29 novembre, I domenica di Avvento (scarica il Decreto).
Da questa mattina sono iniziate le distribuzioni del volume a tutte le parrocchie diocesano; nel frattempo l’Ufficio liturgico provvederà a curare momenti di conoscenza e approfondimenti riservati agli operatori pastorali e a diffondere tra i fedeli i testi delle preghiere “rinnovate”.
Approvato da Papa Francesco il 16 maggio 2019 e poi presentato ufficialmente alla Chiesa italiana dal Card. Gualtiero Bassetti l’8 settembre 2019, il suo utilizzo diventerà ufficiale dal 2 aprile 2021, domenica di Pasqua.
Sono diverse le novità che riguardano la trascrizione del Messale romano, ma poche sono quelle che toccano più da vicino i fedeli e la preghiera corale: il Confesso a Dio, il Gloria e il Padre nostro.
La novità e la ricchiezza di questo momento ecclesiale non è nella semplice modifica dei testi e del linguaggio ma nello studio e nella ricerca che accompagnano questo lavoro e soprattutto nell’occasione che offre questa “rilettura” per avvicinare il popolo di Dio ai contenuti e al valore di un testo che è fondamento delle nostre celebrazioni e dei segni che le accompagnano.
Perchè un Messale
Il Messale non è “il libro del prete”, spiega Monsignor Claudio Maniago, vescovo di Castellaneta, in Puglia, dal 2015 presidente della Commissione episcopale per la liturgia della Cei e dal 2016 membro della Congregazione vaticana per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, figura di riferimento in questa riforma.
“In realtà esso contiene la norma per la celebrazione di tutta l’assemblea. È l’applicazione della visione, bella e importante, che scaturisce dall’ecclesiologia del Concilio Vaticano II: la responsabilità è propria del ministro, ma il prete non appartiene a una classe separata, svolge un servizio alla comunità. Chi presiede la celebrazione deve guidare la comunità, all’interno di un’armonia di registri comunicativi che permette a tutti di fare nella liturgia l’esperienza dell’incontro col Signore”.
Una riforma, quella che riguarda il Messale, avviata 18 anni fa con Giovanni Paolo II e passata per il pontificato di Benedetto XVI e Francesco: ogni pontefice ha seguito scrupolosamente le novità che venivano apportate in termini di traduzione o relativamente all’inserimenti di nuove preghiere (scelta quest’ultima che ha fatto la Conferenza Episcopale italiana ma non le altre Chiese europee): il lavoro si inserisce nel profondo solco di rinnovamento liturgico portato dal Concilio Vaticano II: parole, formule, espressioni non cambiano il rito della Messa ma ne rinnovano il linguaggio.
“La gente si accorgerà dell’uso di questo Messale perché sentirà preghiere rinnovate nel linguaggio, e anche alcune preghiere nuove” ha dichiarato ancora mons. Maniago. “C’è stata la scelta, invece, di variare il meno possibile le parole che pronuncia l’assemblea, per evitare disagio e smarrimento…”.