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Santa Famiglia, commento al Vangelo. La gioia dell’obbedienza a Dio

Commento al Vangelo. Domenica della Santa Famiglia, anno B

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Di Padre Fabrizio Cristarella Orestano
Comunità Monastica di Ruviano

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Santa Famiglia, anno B
Gen 15,1-6; 21,1-3; Sal 104; Eb 8,11-12.17-19; Lc 2,22-40

Subito dopo il Natale la liturgia ci presenta in questa domenica la Santa Famiglia; una celebrazione che potrebbe facilmente cadere nel moralismo e nella melensa ripetizione di stereotipi e di esemplarità forzate…dico “forzate” perché in verità questa Famiglia non è per nulla simile alle nostre famiglie: qui c’è un  padre che non è padre (per lo meno secondo la carne) e che vive la sua paternità obbediente a un progetto tanto più grande di lui, c’è una madre vergine che ha la consapevolezza di un figlio che viene dall’alto, c’è un figlio che Figlio di Dio… In più, dobbiamo dire che il modello di famiglia dei tempi di Gesù non era il nostro che non è neanche il modello romano o medievale e neanche quello di qualche secolo successivo, il nostro modello è quello della famiglia borghese nato tra il XVII e il XVIII secolo e portato a compimento nel secolo XIX.

I testi biblici di questa domenica ci danno l’agio di leggere con maggiore profondità il mistero dell’Incarnazione e prendono le distanze da discorsi “familiaristici” oggi tanto “di moda” nella pastorale della Chiesa.

In realtà ciò che oggi va colto non è tanto una esemplarità impossibile, quanto un aspetto rivelativo che invece è di grande importanza. I Padri della Chiesa dicevano che il Cristo ha salvato tutto ciò che ha assunto, allora possiamo dire che mettendo la sua tenda in una famiglia ha santificato in modo nuovo la famiglia, l’ha resa possibile luogo di una piena santità…la vera umanità del Figlio di Dio mette radici nel primordiale nucleo dell’umanità che è la famiglia e santifica questa realtà con il suo quotidiano anche grigio e per niente straordinario…Luca sintetizza il lungo tempo di questo grigio ed ordinario quotidiano con poche parole: «Tornò a Nazaret e stava loro sottomesso»…essi ritornano a Nazareth (il quotidiano) e continua una sequenza di anni con uno stile di vita nel quale il Figlio impara l’obbedienza. Certo poi, oggi lo sappiamo, ci sono stati anche gli anni in cui Gesù è andato via da Nazareth per obbedire alla propria vita che lo portava a cercare la propria identità e vocazione…sono gli anni del deserto vissuti ancora in obbedienza al Battista di cui fu discepolo. Ma quelli furono ancora anni vissuti in obbedienza a quel Dio che conoscerà come il Padre suo.

L’Evangelo di oggi ci mostra la vita di Gesù come stretta tra due obbedienze: quella a Maria e Giuseppe e quella al Padre…un’obbedienza che ha già qui un sapore pasquale…infatti l’episodio di Gesù dodicenne al Tempio non vuole narrare alcuna straordinarietà del ragazzo: non è lui che dà lezione ai dottori, come superficialmente si dice e si ripete acriticamente, ma li «ascolta e li interroga»

e certo suscita stupore per la sua intelligenza ma non è un ragazzino saccente; piuttosto è un ragazzo che sta facendo un esercizio essenziale per la vita di un credente: ascoltare, interrogarsi…il racconto di Luca è poi narrazione ancora dell’itinerario di fede di Maria e Giuseppe che ancora devono ammettere che questo Dio è oltre le loro comprensioni e che devono ancora imparare che questo figlio (come ogni figlio!!) non può essere posseduto ed immesso su binari precostituiti…dinanzi alla parola del ragazzo Maria e Giuseppe entrano di nuovo nel silenzio (per Luca quella parola di rimprovero è l’ultima che pronuncia Maria in tutto il suo evangelo), un silenzio che diventa luogo di comprensione di un mistero che li sovrasta e che essi non ancora possono leggere.

Quale mistero?
Se per Luca è chiaro che è il mistero pasquale per noi deve essere chiaro che qui l’evangelista ci dà una lettura teologica e rivelativa di un semplice fatto storico che egli carica di una luce pasquale fortissima. E’ sufficiente, infatti, che leggiamo con intelligenza il passo di oggi per capire che questo Gesù che va a Gerusalemme, è smarrito per tre giorni ed al terzo viene ritrovato rivelando che «deve essere nelle cose del Padre suo» non è che una prefigurazione del Gesù adulto che nel racconto pasquale andrà a Gerusalemme, per tre giorni sarà perduto e al terzo giorno sarà ritrovato nell’ora della risurrezione, ora nella quale ci sarà la piena rivelazione della sua filialità e della universale paternità di Dio. Il Figlio di Maria qui intraprende un’obbedienza che lo porterà ad obbedire a quel Padre che pienamente si rivelerà lui al Giordano dicendogli la sua filialità («Tu sei il Figlio mio, l’amato!» Lc 3,22 e parr.) e anche il suo compiacimento per quella fontale obbedienza di mettersi dalla parte dei peccatori. E così di obbedienza in obbedienza vivrà quella vita umana, veramente umana, realizzata, piena di senso che sarà la sua vita…una vita che di per se stessa è un evangelo!

La Santa Scrittura, allora, oggi  ci suggerisce come la piena umanità si realizzi nell’obbedienza e non nell’essere assoluti, cioè senza alcun legame e signori di se stessi…la condizione dell’uomo è quella di una creatura che è chiamata ad avere il coraggio e la libertà di chinarsi obbediente a Dio. Gesù ha imparato a dimorare nelle cose del Padre suo ed ha tessuto una vita di relazioni in cui Dio ha avuto sempre l’ultima parola, una vita obbediente.

Questa domenica allora ci riconduce, come dicevo, ad una ulteriore contemplazione del mistero dell’Incarnazione per far sì che l’Incarnazione tocchi la nostra esistenza: la via principe per permettere a Dio di incarnarsi ancora. e questa volta nella nostra carne di uomini fatti discepoli di Gesù, è la via dell’obbedienza, obbedienza alla Parola ascoltata e custodita nel cuore perché prenda corpo, obbedienza a quella Parola incarnata che è Gesù, narratore di Dio Padre in tutto ciò che ha detto e fatto, a quel Gesù che ancora ci provoca nei nostri fratelli, nei loro volti, nelle loro storie, nelle loro grandezze e miserie, in quei fratelli cui dobbiamo un’ulteriore, quotidiana obbedienza.

E la famiglia?
Credo che la provocazione che essa oggi deve ricevere dalla Parola sia proprio in questa via dell’obbedienza, via maestra dell’Evangelo; obbedienza a Dio e sottomissione reciproca nell’amore. Così si realizza, a partire dalla culla di ogni uomo che è la famiglia, quell’armonia pienamente umana che il Dio incarnato è venuto ad insegnarci perché la viviamo «in questo mondo» (Tt 2,12). Così saremo uomini veri.

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