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Leggi razziali: violentata la cultura, la dignità e l’anima di un Paese. Testimonianze dal mondo della scuola italiana

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Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario
Primo Levi

Michela Visone – La politica antisemita in Italia ebbe l’avvio con la pubblicazione del Manifesto della razza il 14 luglio 1938. Nei mesi successivi il governo fascista proseguì la sua politica antisemita con l’emanazione di molti Regi decreti con i quali si colpirono tutti i settori civili, sociali ed economici del paese in cui gli ebrei potevano essere inseriti.

La scuola fascista era un grande punto di forza del regime perché grazie ad essa si educava ed inquadrava il popolo alla cultura di stato, pertanto, tra i primi provvedimenti, quelli del 5 settembre 1938, venne approvato dal Consiglio dei Ministri anche il R.D.L. n. 1390 contenente i «Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista». Con questo decreto venne disposto che le persone di razza ebraica non potevano essere ammesse all’ufficio di insegnante, né all’assistentato universitario, né all’abilitazione della libera docenza (art. 1); che non potevano essere iscritti alunni ebrei alle scuole di ogni ordine e grado (art. 2), ad eccezione degli studenti universitari già iscritti nei passati anni accademici (art. 5); che a datare dal 16 ottobre  tutto il personale di ruolo  di razza ebraica era sospeso dal servizio (art. 5), e alla stessa data gli ebrei cessavano di far parte delle Accademie e degli Istituti e Associazioni di scienze, lettere ed arti (art. 4); ed infine era considerato ebreo «colui che è nato da genitori entrambi di razza ebraica»[1].

Questo e altri disposti confluirono nel R.D.L. n. 1779 del 15 novembre 1938 «Integrazione e coordinamento in unico testo delle norme già emanate per la difesa della razza nella Scuola italiana», che portò a licenziamenti ed espulsioni degli ebrei da tutto il  mondo della scuola e dell’università: furono licenziati un centinaio tra maestri e direttori di scuole elementari,  279 tra presidi e professori di scuola media e 96 professori universitari, 133 aiuti e assistenti, più 200 liberi docenti; furono cacciati dalla scuola circa 2.500 bambini delle elementari, 4.000 adolescenti delle scuole del secondo ordine, 200 studenti universitari a cui fu però permesso di terminare gli studi [2].

Questo Regio decreto, a cui fecero seguito una serie di circolari attuative, puntava a cancellare la presenza ebraica anche dai libri di testo, infatti venne vietata l’ “adozione nelle scuole di libri di testo di autori di razza ebraica”, oppure venne cambiato il nome alle scuole intitolate a persone classificate di razza ebraica.

 Tra i tanti  racconti dei sopravvissuti ecco alcune testimonianze significative relative all’espulsione dalla scuola e alla privazione di continuare gli studi
Uno degli aspetti più cruenti fu proprio quello di far sentire i bambini invisibili. Io fui obbligata a lasciare quel banco, le mie compagne. E furono pochissime, furono tre che si ricordarono di me per tutta la vita. Però la classe non era fatta solo di tre. Le altre non si accorsero che il banco era vuoto e molti anni dopo, a guerra finita, rivedendole ormai signorinette com’ero diventata anch’io, mi chiesero: «Ma tu, Segre, dove sei andata a finire che non ti abbiamo più visto?». Avrei dovuto rispondere: ad Auschwitz. Ma non lo feci….Da lì, da quell’espulsione, è cominciata la lunga storia triste di una minoranza di cittadini italiani ebrei”. [3] Così Liliana Segre ci racconta nella sua ultima testimonianza.

Giulia Spizzichino ci racconta la mattina in cui venne allontanata dalla scuola, aveva 11 anni e frequentava l’avviamento commerciale da un paio di mesi:  «Ricordo bene come si svolsero le cose: io ero in classe, il preside arrivò e mi fece uscire in un corridoio dove, davanti a mia madre, spiegò che era arrivata una lettera del Partito Nazionale Fascista e per questo io dovevo lasciare la scuola. Il concetto era che non potevo più stare a contatto con le altre bambine. Di colpo mi sentii come affetta da un morbo contagioso. Quando mi dissero che dovevo lasciare la scuola, credo di non essere neppure rientrata in classe. Mi vergognavo, se l’ho fatto è stato solo per riprendere i miei oggetti scolastici, non ho avuto il tempo di salutare nessuno»[4].

Roberto Bassi, veneto, frequentava la terza elementare quando «Una mattina di ottobre salì in cattedra – la signora maestra – e ci fece un lungo discorso di cui compresi abbastanza poco: ci raccontò che esistevano razze diverse, alcune buone, altre meno; che l’Italia aveva conquistato l’impero, ma che forze oscure insidiavano il glorioso cammino del paese; che tra i nemici della patria ve ne erano alcuni in mezzo a noi, gli ebrei, che andavano isolati. Insistette due o tre volte sul concetto di nemici della patria, poi prese il registro chiamò il mio nome e disse: “Bassi esci dalla classe”. La bidella mi accompagnò in cortile, mi disse di aspettare la fine delle lezioni perché mi dovevano venire a prendere. Mi ritrovai nel grande cortile della Diaz solo e scoppiai a piangere…questo episodio segnò per me l’inizio delle leggi razziali»[5].

Furio Colombo aveva 7 anni nel 1938 e aveva iniziato la terza elementare a Torino, quando una mattina di novembre il Direttore didattico convocò tutti gli alunni in aula magna con il megafono che era in ogni aula, gli insegnanti, diversamente da tutte le altre volte, si sedettero tutti in prima e seconda fila, quando il Direttore disse che l’Ispettore della razza aveva qualcosa da comunicare:  «i  nomi che verranno letti saranno i nomi di bambini che dopo aver sentito il proprio nome devono raggiungere la porta in fondo all’aula, uscire e poi andare nella propria classe a prendere le proprie cose e a lasciare la scuola che avrebbero lasciato per sempre, perché sarebbero stati esclusi da tutte le scuole del regno… nessuno degli insegnanti si è voltato, nessuno degli insegnanti ha tentato un segno di saluto»[6].

 Il 23 settembre 1938,  con RDL n. 1630[7], vennero istituite “Sezioni speciali per fanciulli di razza ebraica” di scuola elementare presso le scuole pubbliche in cui il numero di essi raggiungeva il minimo di dieci. Le Comunità Israelitiche potevano aprire, con l’autorizzazione del Ministero dell’Educazione Nazionale, scuole elementari con effetti legali e mantenere quelle già esistenti. La legge prevedeva che gli alunni entrassero ed uscissero da un ingresso separato in orari differenti dagli altri , con i quali non dovevano mai venire a contatto; era preferibile che usassero servizi separati; e possibilmente si richiedeva che gli insegnanti fossero di razza  simile alla loro.

La creazione di classi speciali avvenne in ventitré scuole elementari d’Italia[8].  La scuola statale aveva rappresentato una tappa fondamentale per l’integrazione degli ebrei, dei propri figli e per il fatto di essere considerati cittadini italiani a tutti gli effetti. La creazione di queste classi speciali divenne un solco insuperabile, da un punto di vista educativo e didattico, tra i bambini ebrei e i loro compagni ariani.

Poche sono le notizie su queste classi speciali: si attesta una di esse presso la Scuola elementare “F. Di Donato” oggi Istituto Comprensivo “Via Guicciardini” di Roma in cui fu istituito un turno pomeridiano per gli alunni di razza ebraica. Un’altra classe presso la Scuola elementare della Direzione didattica di Mantova, i cui documenti oggi sono raccolti presso l’Archivio di Stato della città. Un’altra a Milano nella Scuola Elementare  di via della Spiga[9]. Un’altra classe a Genova, come ricordato da Renato Jona, che ha frequentato proprio quest’ultima e così ricorda: «Noi andavamo in via Vincenzo Ricci, in una scuola pubblica che però aveva una sezione per gli ebrei. Ricordo il primo giorno di scuola la stranezza del fatto che la nostra sezione è entrata dopo gli altri…era il 1942, avevo sei anni … la cosa mi ha lasciato molto stranito»[10].

Nell’anno scolastico 1938-1939, anche nella Scuola elementare Vanvitelli di Napoli, il 36° Circolo, venne istituita una sezione speciale [11]. Tullio Foa’, il 1938 aveva cinque anni e così ricorda «i bimbi erano in nove, mancava il decimo e all’ora il Direttore della Scuola Vanvitelli dell’epoca, il dott. Amedeo Burro, che fu la prima persona che ci volle aiutare, fece finta di leggere male la mia data di nascita e mi ammise nella classe speciale dei bimbi ebrei … quindi io sono andato a scuola a cinque anni… noi la ginnastica la facevamo in classe … non potevamo avere contatti con gli altri bimbi»[12] La prima lezione si tenne il giorno 16 novembre 1938, l’ultima il giorno 15 giugno 1939, gli esami vennero tenuti i giorni 20, 21 e 22 giugno, ma i candidati erano solo quattro, tutti promossi, gli altri risultavano assenti. Dalla rilevazione finale dell’insegnante, ultima pagina del giornale della classe, risulta che dei due uno solo frequentava nei primi due trimestri, mentre nel terzo trimestre non vi era più nessun frequentante; per gli iscritti alla classe quinta le cose furono diverse, su sei fanciulli, alla seconda settimana di gennaio risultano cinque frequentanti, a maggio quattro. Per l’anno scolastico 1939-1940, la classe speciale comprendeva tutte e cinque le classi, la prima lezione venne tenuta il giorno 17 ottobre 1939, l’ultima il 31 maggio 1940, gli alunni erano undici, così ripartiti: 1 classe prima; 4 classe seconda; 2 classe terza; 3 classe quarta; 1 classe quinta. Agli esami parteciparono tutti i fanciulli, promossi con pieni voti.  I bambini entravano ed uscivano da un portone secondario con mezz’ora di ritardo sull’orario d’ingresso e di anticipo sull’uscita degli altri alunni della scuola. Anche la merenda e l’accesso al bagno avvenivano in momenti diversi ed erano regolamentati da quello delle altre classi, così da non far incontrare i bambini ebrei con gli alunni italiani. Tra gli alunni della Scuola Vanvitelli vi erano i fratelli Hasson, che vennero deportati ad Auschwitz dove trovarono la morte.

Le  leggi antisemite prepararono il terreno alla Shoah. «La memoria è un vaccino prezioso…è un’orazione civile senza la quale si perde la direzione della Storia…» [13]. Primo Levi ci ha lasciato nella sua poesia un imperativo categorico: “Meditate che questo è stato: /Vi comando queste parole”, perché “se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre”.
Quindi è dovere di noi adulti educare alla memoria perché “ oggi più che mai, è necessario che i giovani sappiano, capiscano e comprendano: è l’unico modo per sperare che quell’indicibile orrore non si ripeta, è l’unico modo per farci uscire dall’oscurità” [14].

[1] Gazzetta Ufficiale n. 209, 13.9.1938.
[2] M. Sarfatti, 1938: le leggi contro gli ebrei, 1988.
[3] L. Segre, Ho scelto la vita, Corriere della sera, 2020, pp. 17 e 18.
[4] Giulia Spizzichino, “La farfalla impazzita”.
[5] M.T. Sega, Il banco vuoto. Scuola e leggi razziali, Venezia 1938-1945. Racconto di Roberto Bassi, 2018.
[6] Il primo giorno di non scuola – Un giorno nella storia – Rai Radio 3 – RaiPlay Radio
[7] Gazzetta Ufficiale n. 245, 25.10.1938.
[8] R. De Felice,  Gli ebrei italiani sotto il fascismo, 1961.
[9] E. Palumbo, La persecuzione degli ebrei nelle scuole di Milano (1938-1943) , «Annali di storia dell’educazione e delle istituzioni scolastiche», 18 (2011).
[10] Il primo giorno di non scuola – Un giorno nella storia – Rai Radio 3 – RaiPlay Radio
[11] ASE36°, Giornale della classe,  sezione speciale, classe IV e V,  anno scolastico 1938-1939; Giornale della sezione speciale, classe I-II-III-IV-V,  anno scolastico 1939-1940.
[12] Il primo giorno di non scuola – Un giorno nella storia – Rai Radio 3 – RaiPlay Radio
[13] A. De Bortoli, Prefazione a L. Segre, Ho scelto la vita, Corriere della sera, 2020, pp. 11 e 12.
[14] E. Springer, Il silenzio dei vivi, Marsilio editore.

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