Home occhio allo schermo Seaspiracy: il rapporto complesso e fragile, oggi malato, dell’uomo con la natura

Seaspiracy: il rapporto complesso e fragile, oggi malato, dell’uomo con la natura

Il documentario Netflix di Ali Tabrizi indaga sulle pratiche della pesca sostenibile e induce a più profonde riflessioni   

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Noemi Riccitelli Già da tempo Netflix concentra la sua produzione non soltanto su film e serie TV, ma anche su documentari, molti dei quali su tematiche di forte impatto.
Così, per citare i più noti e discussi, dopo The Social Dilemma, che spiega il funzionamento “terrificante” dell’algoritmo dei social-media, e Cowspiracy, che indaga invece la verità dietro gli allevamenti intensivi di carne, ecco Seaspiracy – Esiste la pesca sostenibile?
Quest’ultimo, disponibile sula stessa piattaforma dal 24 marzo e diretto dal giovane filmmaker inglese Ali Tabrizi, in 90 minuti documenta la tragica realtà della pesca industriale e il grave danno che sta causando all’intero ecosistema.

Ali Tabrizi si presenta come un appassionato del mondo marino sin da bambino e, per questo, da sempre impegnato nella salvaguardia dei mari e delle spiagge, specie con l’intensificarsi dell’inquinamento da plastiche e altri agenti nocivi degli ultimi anni.
Tra i più noti disastri del nostro tempo, che hanno inquinato e continuano a causare danno alle acque del Pianeta, ci sono la Great Pacific Garbage Patch (un enorme accumulo di rifiuti e plastiche nelle acque dell’Oceano Pacifico) e il versamento di petrolio causato dall’esplosione della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon.
Tuttavia, Tabrizi sottolinea che la maggior parte della plastica presente in acqua deriva dalle reti e dai materiali utilizzati per la solo apparente insospettabile pesca: così, racconta di voler essere andato oltre e aver scoperto di più su una delle più antiche attività umane.

Il viaggio del giovane regista si rivela particolarmente insidioso e foriero di tristi rivelazioni: delfini, balene e squali brutalmente uccisi perché rappresentano una minaccia per il pescato, esseri umani ridotti a schiavi sui pescherecci, sfruttati per lavorare senza sosta per stare al passo con i ritmi richiesti dal mercato.
Le indagini di Tabrizi fanno riferimento soprattutto al mercato asiatico, ma la pesca incontrollata (over-fishing) e spesso anche illegale, coperta da associazioni e governi stessi, è diffusa anche in Europa.
La tesi del regista, che si avvale anche di interviste a giornalisti, attivisti e la celebre oceanografa americana Sylvia Earle, è che la cosiddetta pesca sostenibile non può esistere e il relativo marchio di qualità che troviamo sulle confezioni di pesce nei supermercati non è affatto una garanzia, ma spesso è conferito alle industrie senza che ci sia un reale controllo sulle modalità di pesca e produzione. L’unica soluzione efficace, suggerita dai protagonisti del documentario a questo processo ingiusto e nocivo, è smettere di mangiare pesce.

Infatti, dopo aver guardato il documentario, che forse pecca di toni fin troppo sensazionalistici, lo spettatore si trova ad essere pervaso da sentimenti negativi: scoraggiamento, rabbia, indignazione, forse anche senso di colpa, per risolvere i quali si sarebbe davvero disposti a cambiare le proprie abitudini alimentari che purtroppo foraggiano il sistema malato e corrotto.
Tuttavia, se ridurre il consumo di pesce (così come di carne) è necessario per ridurre la richiesta di mercato, specie nei Paesi più sviluppati, le cui esigenze intaccano i bisogni di quei Paesi dove invece la pesca, quella “naturale”, rispettosa dei ritmi della natura, è la principale fonte di sussistenza, altri modi per vivere in simbiosi con l’ecosistema esistono.
Favorire una pesca che rispetti l’ecosistema marino, indispensabile anche per la vita stessa degli esseri umani, adottando provvedimenti legislativi seri, che non siano solo specchietti per le allodole, rispettare la dignità di ogni creatura vivente.
Il discriminante è l’uomo, che ha il privilegio, ma anche il dovere e la responsabilità di vivere in equilibrio con tutto ciò che lo circonda.
Documentari come questo possono far crescere la sensibilità e l’attenzione su temi cogenti, e infatti recentemente i fenomeni di sensibilizzazione in questo senso sono sempre più diffusi, ma bisogna sempre ricordare che non esistono verità assolute.

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