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Valle Agricola, tra storia ed attualità

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Matese tra moderno e contemporaneo

di Luigi Cimino

Geografia e Storia di Valle

Parlare del proprio paese in forma moderna è un po’ come scrivere della propria vita senza il peso degli anni, liberando la narrazione da orpelli che la rendono impacciata, usando uno stile attuale e, però, descrivendolo veridicamente e presentandolo modernamente.

Comincerò con la descrizione geografica di Valle Agricola, come se dovessi farne la carta d’identità, e, perciò, per me che ci sono nato e non solo, mi è piacevole decantarne i dati essenziali. Vi dirò che Valle Agricola sorge a m.691 s.l.m., al centro di un’ampia vallata di 24 Kmq., circondata da una chiostra di monti che la contengono, da nord a sud e da ovest ad est, con le loro cime che vanno dai 1406 m. di Monte Cappello, ai 1575 m. di Monte Janara, ai 1083 m. di Monte San Silvestro, degradanti ad ovest verso una zona collinare o sub collinare che, poi, è il lato che apre verso sconfinati orizzonti, anche marini, e la via attraverso cui il clima marittimo si fa sentire per attutire i freddi inverni e per portare con i venti di libeccio le piogge che servono per l’agricoltura anche alpestre.

La zona pedemontana della Vallata, sub-collinare pianeggiante, che si estende da ovest ad est, ne determina la parte coltivabile, anche se, nei secoli, le varie colture si sono inerpicate  fino sulle balze delle montagne con il sistema dei terrazzamenti a pietre, ricavando piccoli “fazzoletti” coltivabili con sacrificio e spesso senza frutto.

Due figure, due elementi naturali significativi si innestano in questo contesto orografico a sottolinearne le componenti di centralità e direzione: un terrazzo naturale, in posizione baricentrica rispetto alla valle, il cui rilievo preciso dei margini ne segna un forte carattere di centro, e il fiume (Torrente Ravone e Rave Secca), asse orientato verso l’unica apertura, sfogo naturale verso la piana.

Ai piedi del versante esposto a Sud, “ incastonata alle pendici ( una volta brulle e pietrose), un tempo lussureggianti di rigogliosi querceti, oggi sostituiti dall’impianto sempre verde della pineta del Monte Cappello, imprigionata da una chiostra di monti erti e selvaggi che le tolgono ogni visuale, sorge Valle Agricola”, laddove le pendenze diminuiscono e si stacca la terrazza naturale, ponendosi l’insediamento parallelo alla direzione del territorio e seguendo l’asse naturale del fiume o torrente Ravone.[1]

Ma, tale insediamento risale al Medioevo allorché si introdussero i primi elementi d’una cultura urbana stabile insieme alla presenza di ordini monastici, come i Cistercensi che vi ebbero tre grancie, il rinomato Convento di S. Nicandro ed i Templari con la domus templare di frà Giacomo di Capua con annessa chiesa di S. Maria, anno 1373 [2].

Sanniti, Medioevo ed eremiti

Inoltre nel primo Medioevo  tutto il territorio che oggi compone il Comune di Valle Agricola era denominato “Eremonio” o “Valle dell’Eremonio”  a significare che “i nostri sobborghi, contrariamente  a quello che si è ritenuto finora, abbiano inciso notevolmente nelle vicende storiche e particolarmente del monachesimo, tanto da individuare una intera zona con nomi significativi come “Eremonio” e fino al punto da far pensare che l’intera valle dell’odierna Valle Agricola, fino al 1089 fosse identificata  da una parte con “… fine serra de monte qui dicitur Eremonio”  o con “Eremonio mons” e dall’altra parte con i termini “ Valle dell’Eremonio” e “Valle di San Nicandro”.[3]

A ricordo del Medioevo rimangono il castro e la Torre dei Pandone con via La Terra e la Porta San Giovanni, la Chiesa di Santa Croce e la Chiesa di S. Sebastiano M., tutti monumenti che meritano di essere meglio  conservati,  valorizzati culturalmente e turisticamente, soprattutto il “castrum” che è determinato dalla parziale presenza delle mura che si affacciano di tanto in tanto tra le costruzioni che le hanno inglobate ed i percorsi militari di guardia con torre di avvistamento anch’esse di fatto occupate dalle abitazioni e la Chiesa di Santa Croce che conserva una pala d’altare ed  un affresco del Pantocrator (da recuperare) sia per l’importanza storica (del XV sec), che per il valore urbanistico (v’è riprodotto il centro medievale com’era in quel tempo, il paesaggio di Valle così come visto dall’autore dell’affresco nel 1400 ove si nota la lingua di roccia su cui sorge il paese, la torre dei Pandone centrale così come oggi, con le piccole aperture ricavate nella muratura circolare perimetrale e nella consistenza strutturale dell’epoca senza merli), od anche per il valore sacro (il Pantocrator, la presenza di una Madonna Addolorata, una figura del monaco pellegrino, forse domenicano per il sole con la scritta Charitas, di un altro pellegrino con veste marrone e mantello celeste, con bastone, ma con sullo sfondo colonne di un tempio, forse un eremita alla ricerca della “via, verità e vita e di  S. Gennaro, vescovo protettore di Napoli, con le due ampolle contenenti il suo sangue, sorrette dalla mano).

C’è tanto ancora da scoprire in questa Valle degli eremiti, c’è ancora da comprendere cosa la storia racchiuda effettivamente nelle valli solitarie di quel che furono i possedimenti del Monastero di S. Maria in Cingla prima e di Montecassino poi, c’è da penetrare ancora la discreta presenza di eremiti, di uomini di cultura e di preghiera, di persone che, con il loro diuturno lavoro, hanno creato l’habitat odierno e che hanno protetto la genuinità dei luoghi ed il tesoro che conservano.

Né si può non accennare almeno alla presenza sannita sul Monte S. Silvestro ed alle aree di necropoli che risultano disseminate in tutto l’altopiano del Matese e nell’ampia Valle di cui ci occupiamo. Tombe furono  scoperte a Valle Agricola alla fine dell’800 (in località Cese, Querce, Grotte) e nel 1926 (località Camposiello e Campo – Fontana S. Nicandro) .

Il sito sannita del Monte S. Silvestro, si presenta, poi,  come un sito di sommità delimitato e protetto a sud da pareti ripidissime che offrono una difesa naturale ed a nord, da un muro megalitico oggi in quasi completa rovina e riconoscibile solo per qualche breve tratto. Le mura sostenevano un terrapieno tuttora percorribile e che per circa 170 metri cinge tutto il versante nord: sul terrazzo e nella zona immediatamente  a monte dello stesso si rinviene la terracotta.

Fra Monte San Silvestro e Roccavecchia di Pratella si trova Colle dell’Antica, o meglio, come suggerisce D. Caiazza, ”colle che sta avanti”, e conferma che in epoca sannita, sicuramente questo abitato faceva riferimento alla  più grossa, Roccavecchia di Pratella.

L’antica frequentazione della zona è indiscussamente documentata certamente dalla toponomastica su riportata, ma anche dalla  frequentazione  nei primi secoli del cristianesimo e nel primo Medioevo, vuoi per la presenza del rinomato monastero benedettino di S. Nicandro, [4] dipendente direttamente dall’Abbazia di Montecassino, ma anche dalla presenza nel territorio, come sopra ricordato, di ben tre grange, di cui una cistercense  e particolarmente per i contratti di affitto e di enfiteusi intercorsi tra l’Abbazia di S. Maria della Ferrara (in tenimento di Vairano Patenora) ed alcuni cittadini di Valle di Prata [5], tanto che ancora oggi rimane il toponimo di Starza Ferrara.[6]

D’altra parte  la zona è stata storicamente e sicuramente frequentata anche in epoca longobarda se si tien conto della etimologia di alcuni toponimi come “Pozzo Fara”, piccola frazione di Valle Agricola sul confine tra Prata Sannita e Valle Agricola, immediatamente sottostante il Monte San Silvestro.[7]

Né può tacersi della probabile presenza nel 313 d.C. dell’eremita San Silvestro I (leggenda popolare di San Silvestro, oralmente trasmessa nel tenimento di Valle Agricola e riferita, invece, da Dante Alighieri, nella Divina Commedia, al Monte Soratte in Sabina)[8].

Il secolo XXI, l’emigrazione e qualche diritto negato

Alla storia di Valle Agricola è ancorata anche la vita degli abitanti che, fino agli anni 50 del secolo scorso e prima ancora della emigrazione massiccia verso la Svizzera ed i paesi europei, conservavano costumi, canti e tradizioni che venivano tramandati oralmente e che raccontavano una vita collegata alla prevalente attività dei valligiani, l’agricoltura e la pastorizia, ed alla vita bucolica ed ecologica, in definitiva ai giorni della raccolta, della vendemmia ed alle feste religiose.

Si potrebbe dire che i valligiani continuavano ancora ad essere sottomessi alla chiesa ed all’autorità comunale, ma l’eccessiva povertà della terra della vallata e della montagna, aveva anche creato un alone ingiustificato sul popolo che veniva considerato fuori legge, mai sottomesso alle leggi dello stato, ribelle soprattutto al pagamento delle tasse. Nel 1933, durante l’epoca fascista, Mussolini dovette firmare un decreto di tolleranza per le tasse arrendendosi alle giuste proteste degli abitanti di Valle Agricola che mal vedevano l’imposizione di balzelli, tributi e tasse a carico di povera gente. Poi nel 1958 in piena Repubblica, ancora una volta lo Stato dovette vedersela con i “rivoluzionari Valligiani”, particolarmente con le donne, che si ammutinarono contro i balzelli e distrussero, incendiandole in piazza, le cartelle esattoriali che erano state notificate alle varie famiglie. Non c’era reddito e perciò non dovevano pagare le tasse: in fondo applicavano già allora il principio costituzionale della progressività delle imposte. Non si potevano prelevare soldi dalle tasche di gente che, pur lavorando, non produceva utili tassabili.

Poi l’emigrazione massiccia, che ha assottigliato già da allora le presenze nella popolazione residente, ha, però, con le rimesse, aiutato coloro che erano rimasti a migliorare  un poco il tenore di vita ed ancor più, negli anni dal 1975 in poi, con l’avviamento al lavoro di ben 260 BAIF alla dipendenza della costituita Comunità Montana del Matese. Fu così che vi fu il boom edilizio e si pensò ad uno sviluppo turistico ed alla costruzione della strada Valle Agricola-Starzaferrara-Camporotondo-Lago Matese, parte in tenimento di Valle Agricola e parte (già costruita) in quello di S. Gregorio Matese. I dissensi tra i due Comuni sulla costruzione di detta strada, prima, ed i vincoli del Parco Regionale del Matese, poi, oltre ad una certa sorte di indifferenza delle amministrazioni comunali e della stessa Comunità Montana hanno prodotto ormai l’abbandono di detto progetto che, nonostante negli anni 1977-1980 vedeva realizzati ben 8 chilometri di strada dalla parte di Valle Agricola e fino al confine con San Gregorio Matese, non soltanto non è stata collegata e terminata, ma è ormai in uno stato di inesorabile abbandono del tutto inconcepibile.

Stessa sorte hanno subito i Baif della Comunità Montana che, per risapute motivazioni politiche nei rapporti tra l’Ente e la Regione Campania, si sono ridotti ad un esiguo numero  in attività. Così né il turismo s’è sviluppato, né l’attività agro-silvo-pastorale è stata incrementata ed il paese langue in un’economia chiusa, che si impoverisce sempre di più, senza purtroppo nessuna possibilità di sviluppo della già povera economia del paese.

Naturalmente con gli anni la popolazione, per l’emigrazione fatale, s’è sempre più assottigliata tanto da scendere da oltre 1.500 residenti nel 1980 a poco più di 800 attuali. E con il Covid-19 e le morti degli anziani che sono rimasti, il depauperamento generale non si arresterà.

Eppure i Valligiani sono attivi, intelligenti, volenterosi, capaci di grandi azioni, industriosi, operativi.

Ma sono rimasti con l’unica strada provinciale n.83 che li collega alla pianura dopo una serie di curve (n.150), rimaste strette, con carreggiata mai allargata, con pericoli continui, con frane che di tanto in tanto la restringono ad un viottolo e che per risistemarla l’ente Provincia impiega mesi ed anni. Se poi si dovesse interrompere per qualsiasi motivo, come talvolta è successo, bisognerà fare la navetta da una parte all’altra del tratto interrotto.

Non si è mai capito perché Valle Agricola è l’unico paese del Matese che, trovandosi in un’enclave bellissima e fascinosa, non può raggiungere, però, paesi, in linea d’aria vicinissimi, ma per il sistema viario antiquato che persiste, deve impiegare più di un’ora per raggiungere Letino, Gallo Matese, o San Gregorio M., ancora di più per raggiungere il Lago Matese, Bocca della Selva ed altri siti matesini, mentre, con quella strada interrotta e mai finita, si potrebbero più che dimezzare i termini di percorrenza per tali località.
E continuano a considerarlo centro del Matese!

Tanto quel che conta è la comunicazione a biscotto tra i Comuni del Matese.

Che fa che, al centro di questo biscotto c’è un paese irraggiungibile o quasi, che perde in presenze, che vede morire la sua popolazione e che non può usufruire dei servizi comunitari o assistenziali per la mancanza di una strada comoda e facilmente percorribile?

Furono antesignani i Valligiani quando nel 1979 al Referendum per Valle Matesina votarono contro per rimanere con  il nome  Valle Agricola, il vecchio nome assunto nel 1863. Con un particolare che oggi neppure l’agricoltura esiste più e la pastorizia langue perché le montagne sono sempre più irraggiungibili, anche per non aver terminato una strada (quella per il Lago Matese) che serviva per il turismo, ma anche e soprattutto per l’agricoltura.

Bibliografia
[1] Cfr. Luigi Cimino- Valle Agricola,paese mio. Pag. 13
[2] Cfr. Luigi Cimino- Valle Agricola: Il Vicus sannitico- Il castrum medioevale- La Torre dei Pandone,  pagg.13 e segg.
[3] Luigi Cimino-Monte Eremonio, la valle omonima e quella di s. Nicandro, praticamente l’attuale valle agricola, luoghi di cultura e fede e Le chiese d’Italia dalla loro origine sino ai nostri giorni, di Giuseppe Cappelletti, 1864, pag.92;
[4] Villani R.U.La Terra dei Sanniti Pentri e Luigi Cimino in Valle Agricola,Paese mio  e    D.Loffreda,Abbatia Sanctae Mariae de Ferrara in Agro Vairano-Loffredo Editore, 1999;
[5] D. Loffreda, Abbatia Sanctae Mariae de Ferrara in Agro Vairano-Loffredo Editore,1999,pagg.35,36 e 79;
[6] – Da: Toponomastica rurale antica di Valle Agricola, Luigi Cimino, 2008 in Annuario ASMV. Infine, nel medioevo, va ricordata la presenza dei Benedettini a Valle Agricola sia con il convento di S. Nicandro che con la presenza di almeno tre grancie con particolare riguardo ad un insediamento di Templari. Il termine grancia, grangia, granza, granziera, ganzaria, grasceta, grance e derivati ha il significato di fattoria o insediamento rurale di conventi, ordini religiosi e ordini monastico – militari; usato dai benedettini e cistercensi nelle loro zone di bonifica e sfruttamento rurale ed in seguito usato dai Templari, data la stretta relazione tra i due ordini;
[7] ) La pastorizia dovè originare il nome Prata dal latino prata = prati, testimoniato già nell’VIII secolo, cioè in epoca lomgobarda allorquando la zona fu interessata da un intenso ripopolamento spinto fin sopra Valle Agricola. Qui si stanziarono longobardi di cui è testimonianza nel toponimo Fara (anche oggi Pozzo Fara), che in origine designava una stirps, una frazione gentilizia e poi passò a significare un piccolo nucleo d’insediamento demografico e fondiario “. Da Il territorio tra Matese e Volturno”, pag.46;
[8] Cfr. Luigi Cimino- Valle Agricola, paese mio-Leggenda di S. Silvestro.

 

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