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Afghanistan. Le vite sospese di chi non è riuscito a partire. LA TESTIMONIANZA

Il racconto è quello di una persona che ha scelto di rimanere anonima: le Ong hanno smesso di lavorare; le Università hanno chiuso e numerosi altri collaboratori dei Governi occidentali che speravano di essere salvati sono stati lasciati in Afghanistan

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Foto Ansa/SIR

Gigliola Alfaro – Vite sospese. Sono quelle di chi ha cercato di lasciare l’Afghanistan prima del 31 agosto e non ci è riuscito. Quando la situazione nel Paese si aggravava, si restava aggrappati a una speranza: andare via. Ora anche quella è stata spazzata via.
E rimane la paura, tanta. Come un grido di dolore, che resta soffocato, perché è pericoloso anche farlo sentire. E mentre il Paese si trova ad affrontare una crisi gravissima sotto molti aspetti, si fa flebile il sogno di tornare alla normalità o di riuscire, in un modo o nell’altro, ad andare via. Direttamente dall’Afghanistan, il Sir (Servizio di Informazione religiosa della CEI) ha raccolto una testimonianza (che resta anonima) su richiesta della persona che ha deciso di narrare la sua esperienza e la sua paura.

Com’è la situazione adesso nel Paese?
Le persone hanno paura, perché non conoscono il futuro, sono preoccupate specialmente per quello dei bambini e in particolar modo delle figlie.
In Afghanistan, infatti, è difficile garantire la sicurezza, senza la polizia, l’esercito e il governo. Al momento solo i talebani hanno le armi. I prezzi dei prodotti alimentari sono molto alti. Circa 18 milioni di persone vivono senza cibo e dovranno affrontare le conseguenze della malnutrizione. Gli operatori umanitari delle Ong hanno interrotto il loro lavoro, che è molto apprezzato dalla nostra gente, e le persone istruite sono andate via dal nostro Paese. Anche le Università sono chiuse. Tutti i confini sono sbarrati e le possibilità di lasciare il Paese sono limitate. In più, c’è anche la paura di attacchi da parte del Daesh. La gente sogna di tornare alla normalità, alla vita di prima, ma al momento sembra impossibile.

Foto Ansa/SIR

Anche lei voleva andare via?
Ho chiesto molte volte un aiuto per andare via, insieme con la mia famiglia. Ad un certo punto finalmente mi hanno detto di avermi inserito in una lista di coloro che sarebbero stati portati in Italia, dovevo solo aspettare. Il 24 agosto ho ricevuto la chiamata da un numero italiano con l’indicazione di andare all’aeroporto, senza nessun documento dell’Ambasciata o del governo. Il 25 agosto alle prime luci dell’alba ci siamo mossi per essere prestissimo davanti al gate Ab. Quando siamo arrivati migliaia di persone erano vicino al gate, che era controllato dall’esercito americano. Nessun italiano era visibile, tra l’esercito americano e la gente c’era un canale di acqua sporca largo 3 metri. Ma la priorità era evacuare americani e inglesi.Io ho provato a passare ma nessuno mi ha dato ascolto. Era difficile superare il canale senza il permesso dell’esercito americano.

Cosa ha fatto, allora?
Ho provato inutilmente a telefonare al numero italiano da cui avevo ricevuto la chiamata e ho anche mandato un messaggio su quello di emergenza che mi avevano fornito, ma senza ricevere mai una risposta. Dopo aver aspettato alcune ore, sono tornato a casa. Ho tentato di nuovo di andare in aeroporto il 26 agosto, stavolta di sera. C’era la stessa folla, ma sono riuscito a parlare con un americano: gli ho spiegato che ero nella lista delle persone destinate in Italia, ma non mi ha permesso di andare nel posto dove c’erano gli italiani, perché non avevo con me una mail o una lettera ufficiale. Ho fatto molte telefonate e inviato molti messaggi ai numeri che avevo, ma nessuno mi ha mai risposto. Alle 22 l’esercito americano ha chiuso l’accesso del gate. Siamo rimasti fino alle 5,30 del giorno successivo senza nessuna risposta. Intanto, nel pomeriggio del 26 è avvenuta l’esplosione all’aeroporto, il Signore ci ha salvati perché noi eravamo ancora sulla strada e non eravamo arrivati là. Poi sono stato informato di essere in attesa di essere chiamato, ma la sera del 27 agosto ho saputo la notizia che c’era stato l’ultimo volo per coloro che rientravano in Italia. Hanno lasciato le persone senza informazioni. Altri Paesi hanno organizzato bus dopo l’esplosione in aeroporto e in sicurezza hanno prelevato le persone che erano nella lista direttamente dalle loro case.

E adesso?
Sto cercando di uscire dall’Afghanistan e sto aspettando notizie da parte del governo italiano perché è sua responsabilità dare una mano e portare via le persone che aspettano qui in condizioni terribili. La missione non è stata un successo per tutti. Il governo italiano, infatti, decidendo di terminare prima le operazioni di rientro da Kabul, il 27 agosto, ha lasciato nel Paese tutti coloro che, come me, erano nella lista e che ora si trovano in una situazione difficile. Personalmente, non conosco altri che avrebbero dovuto raggiungere l’Italia, ma persone che sono rimaste in Afghanistan mentre sarebbero dovute andare in Germania, Spagna, Gran Bretagna e Stati Uniti.
Finché tutte le persone che sono a rischio resteranno in Afghanistan la missione non si può definire completata.

Di cosa ha più paura?
A tutte le persone istruite, a coloro che hanno lavorato con gli stranieri, a quelli che hanno provato a uscire dal Paese ma non ci sono riusciti, forse i talebani chiederanno perché lo hanno fatto.
È una questione terribile.

Foto Ansa/SIR

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