Sergio Perugini – Con il Leone d’oro al film francese “L’événement” di Audrey Diwan, sabato 11 settembre, si è chiusa la78ª edizione della Mostra del Cinema della Biennale di Venezia (2021), un’edizione che si consegna alla storia del cinema come solida e segnata da grande vivacità di sguardi. Il direttore artistico Alberto Barbera ha confermato le attese della conferenza stampa iniziale, mettendo in campo un poker di titoli destinati al successo in sala e a entrare nel circuito dei grandi premi internazionali. A uscire vincitore da Venezia78 è soprattutto Paolo Sorrentino con il suo “È stata la mano di Dio”, che conquista il Gran premio della giuria e il premio Mastroianni per miglior attore esordiente, Filippo Scotti. A ben vedere, insieme a Sorrentino, c’è la vittoria del cinema italiano tutto, che nella competizione ufficiale si è distinto con una grande varietà e qualità di suggestioni.
I Leoni di peso. Alla sua seconda regia la francese Audrey Diwan ha colpito la giuria internazionale presieduta dal premio Oscar sudcoreano Bong Joon-ho (“Parasite”, 2019), e che vedeva tra i giurati la regista rivelazione Chloé Zhao (“Nomadland”, Leone d’oro 2020) e l’italiano Saverio Costanzo (il suo ultimo lavoro è “L’amica geniale”).
“L’événement”, tratto dal romanzo di Annie Ernaux, è un dramma dalla tensione crescente che racconta lo smarrimento di una giovane studentessa nella Francia di inizio anni ’60, che scopertasi incinta cerca con grande ansia di capire come affrontare la situazione. Non trovando possibilità di dialogo e confronto con nessuno – né con i medici, né con le amiche e neppure con i genitori –, la giovane esplora i sentieri dell’illegalità per abortire. Il film della Diwan si muove con una regia dura, incisiva e asciutta, mostrando con mestiere la solitudine e la vertigine di disperazione in cui piomba la protagonista. Il tema è e resta problematico, insidioso e inevitabilmente divisivo.
Il Leone d’oro però che forse tutti si aspettavano era per il film “È stata la mano di Dio” di Paolo Sorrentino, cui è andato il secondo premio più importante, il Leone d’argento. Il regista napoletano, premio Oscar per “La grande bellezza” (2014), ha sorpreso e colpito per quest’opera così diversa dai precedenti, marcata da poesia, toni brillanti e insieme dolenti, che affonda le radici negli strati più intimi dell’autore. Sorrentino racconta il suo cammino di formazione, la sua famiglia d’origine e la bruciante scomparsa dei genitori da adolescente; un dolore e uno spaesamento cui risponde però indirizzandosi al cinema, che lo salva.
Ricevendo il Leone d’argento Sorrentino ha dichiarato: “Dal film mancano due scene, due sogni. Una nello specifico mi ha riportato a quando morirono i miei genitori: al tempo la preside autorizzò solo quattro compagni di classe a intervenire al funerale; oggi qui, a Venezia, con me c’è tutta la classe. Ci siete voi”. Commozione e applausi a pioggia nel Palazzo del Cinema della Biennale.
L’Italia sale poi sul podio di Venezia78 con un altro autore, Michelangelo Frammartino, che con il suo documentario “Il buco” ricorda l’incredibile impresa di un gruppo di speleologi nella Calabria al tempo del boom economico. Il film ha sorpreso la giuria, al punto da fargli tributare un premio speciale.
E ancora, tra i Leoni di peso della Mostra c’è quello per la miglior regia andato alla neozelandese Jane Campion con “The Power of the Dog”, un ritorno al western attraverso una forte carica critica nei confronti del machismo. Un film non perfetto, ma di grande intensità e mestiere. “The Power of the Dog” è prodotto da Netflix, come del resto anche il film di Sorrentino, ed entrambi si candidano a entrare nella giostra dei grandi premi hollywoodiani. Per ora la vittoria è soprattutto di Netflix, che incassa due scommesse produttive vinte.
I Leoni incerti o mancati. Se è condivisibile la scelta della giuria di assegnare la Coppa Volpi come miglior attrice a Penélope Cruz per il film “Madres Paralelas” di Pedro Almodóvar – l’attrice spagnola era al Lido anche con “Competencia Oficial”, altra performance di livello! –, lascia invece abbastanza perplessi la Coppa Volpi a John Arcilia per il film filippino “On The Job 2: The Missing 8”. Sia chiaro, non perché non sia un bravo interprete, ma il premio sembra un po’ “ruffiano”, per poter accontentare il cinema asiatico evitando una Mostra sbilanciata solo a Occidente. A ben vedere, però, in gara c’erano delle prove maiuscole che sono state ignorate, in testa: Benedict Cumberbatch (“The Power of the Dog”), Toni Servillo (soprattutto per “Qui rido io”), Oscar Isaac (“The Card Counter”) o il duo Antonio Banderas e Oscar Martinez (“Competencia oficial”).
Altro grande assente dal palmares veneziano è il film francese “Un autre monde” di Stéphane Brizé, con uno straordinario Vincent Lindon (altra giusta Coppa Volpi). Il film, ultimo atto della trilogia del regista sul mondo del lavoro oggi, regala un dolente e vibrante ritratto di un manager che sul punto di perdere tutto ha uno scatto morale e si sottrae al ricatto dell’azienda, che lo obbliga a licenziare dipendenti. L’uomo sceglie di preservare la sua dignità e umanità, spendendosi per riannodare i fili sfibrati con la sua famiglia. Per la sua attualità e per lo stile in sottrazione, di grande intensità, “Un autre monde” ha ottenuto il premio cattolico internazionale Signis, il più antico dei premi collaterali alla Mostra dal 1948.
In evidenza, la ricerca del perdono. Passando in rassegna i 21 titoli del Concorso, oltre ai temi ricorrenti della donna, della maternità, del recupero della memoria comune o di una corretta informazione, non si può non cogliere una nitida linea tematica di grande rilevanza: la sofferta e a tratti disperata ricerca di riscatto, il bisogno di abbandonarsi al perdono. Anzitutto nello statunitense “The Card Counter” di Paul Schrader, che tratteggia il profilo di un ex militare reo di torture in prigioni di guerra come Guantanamo, che cerca di salvare un giovane ventenne dal cadere nei suoi stessi rovinosi errori, un tentativo che rivela anche il suo bisogno di espiazione. Ancora, il russo “Captain Volkonogov Escaped” di Natasha Merkulova e Aleksey Chupov, opera ambientata nel 1938 che compone una sorta di Via Crucis dove un militare, anche lui macchiatosi di torture ai danni di innocenti per obbedienza ai suoi superiori, va chiedendo perdono alle famiglie delle vittime per poter accarezzare la speranza della salvezza, del Paradiso.
E ancora, sul tema del riscatto, è da ricordare il citato “Un autre monde”, davvero una bella pagina di cinema di impegno civile che si allinea sul fronte presidiato da Ken Loach o dai fratelli Dardenne: il coraggio di un cinquantenne di scandagliare i propri sbagli e provare a cambiare passo nella vita, anche a costo di rimetterci la sicurezza economica. Catartico.
Il commento di Massimo Giraldi, giurato al Lido. Puntuali negli undici giorni della 78ª Mostra del Cinema sono stati i commenti di Massimo Giraldi, presidente della Commissione film della CEI e giurato Signis al Lido. A lui abbiamo chiesto un bilancio del Festival: “Non si può non cogliere da Venezia78 una proposta di grande qualità e grande varietà. Ne esce un ritratto di un cinema vigile, vitale e trascinante. Tra le numerose proposte, una menzione speciale spetta proprio al cinema italiano: affermazione non per campanilismo, ma per onestà intellettuale. I cinque film in gara selezionati da Barbera mostrano un cinema nazionale in piena salute, espressione di una ritrovata ricerca stilistica e tematica. Tra i cinque, due le proposte felicemente spiazzanti: lo sguardo poetico senza tempo di Frammartino con “Il buco”, che testimonia che un cinema di difficile mercato, senza dialoghi, si può ancora fare; e poi “Freaks Out” di Gabriele Mainetti che evidenzia che il cinema italiano può anche percorrere il terreno dei racconti spettacolari. Osare si può e si deve. E noi allora guardiamo già alle proposte che ci consegnerà Venezia79, dal 31 agosto al 10 settembre 2022”.