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La concessione del privilegio a Leone, abate di San Vincenzo al Volturno

La miniatura, conservata presso la Biblioteca Vaticana, raffigura l'imperatore Ugo e suo figlio Lotario II nell'atto di consegna del privilegio a San Vincenzo di Saragozza, in quanto titolare del monastero del Volturno, rappresentato dall'abate Leone

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La rubrica Medio Volturno tra Moderno e Contemporaneo questa settimana è dedicata all’analisi di un interessante “particolare” proveniente dall’abbazia di San Vincenzo al Volturno (provincia di Isernia) e conservato presso la Biblioteca Vaticana, a firma di Franco Valente. Si tratta della miniatura appartenente al Chronicon Vulturnense raffigurante Re Ugo e suo figlio Lotario II che consegnano a San Vincenzo di Saragozza, titolare del monastero, rappresentato dall’abate Leone, il privilegio indicante i luoghi della concessione.

La concessione del privilegio a Leone, abate di San Vincenzo al Volturno

di Franco Valente

Descrizione della miniatura
Una delle più belle miniature del Chronicon Vulturnense rappresenta Re Ugo e suo figlio Lotario II che consegnano a San Vincenzo di Saragozza, in quanto titolare del monastero del Volturno, un privilegio nel quale sono elencati i luoghi interessati dalla concessione.
Il santo è fisicamente rappresentato dall’abate Leone che è assistito da un monaco della comunità. La scena è rappresentata nel cosiddetto Codice Vaticano che, proveniente da San Vincenzo al Volturno, è conservato presso la Biblioteca Vaticana con la sigla “CV 99”.
Il codice è stato trascritto più volte e perciò conosciamo perfettamente il contenuto.
Anche il testo che è stato commentato e regestato da Vincenzo Federici (“CRONICON VULTURNENSE del Monaco Giovanni”, Roma 1925): “Documento n. 99. 20 luglio 941. In Campania, “justa Oppidum Romànie”.
Ugo e Lotario, a richiesta di Leone preposto del Monastero di S. Vincenzo al Volturno, confermano al suddetto monastero i precedenti diplomi di Desiderio, Carlo, Lodovico, e Lotario, e i possedimenti di San Vincenzo in quel di Balva, i monasteri di San Pietro in Trita, S. Angelo di Barregio in Apruzio, la cella di Arola, S. Maria in Due Basiliche (sul Sangro). Nel Beneventano il monastero di Pietro sul Sabbato; di San Sossio in Libu¬ria col bosco Pantano, S. Salvatore in Alife, di S. Gior¬gio di Salerno, di S. Maria in Api¬nianici con le singole appartenenze”.

Il luogo della concessione
Il Federici non pone alcuna attenzione al luogo in cui risulta verbalizzata la concessione: “justa Oppidum Romànie”. Diversamente dall’attenzione che acutamente Domenico Caiazza pone nel suo ultimo saggio sulle Vie Francigene (D. CAIAZZA, LE VIE FRANCIGENE D’ITALIA, 2019): “Né questa è l’unica menzione della presenza carolingia nella piana di Pietramelara – Vairano visto che un documento vulturnense del 20 luglio 941 risulta sottoscritto da Hugo et Lotharius divina providente clemencia reges …in Campania iuxta oppidum Romanie, paleonimo che è la puntuale resa in latino del nome del paese di Roccaromana, in provincia di Caserta, a sua volta derivante con molta probabilità da una più antica postazione difensiva bizantina. Dunque truppe carolinge si accamparono a Roccaromana e che una località Valle Franca è in tenimento di Maiorano di Monte in frazione di Dragoni”.
Caiazza con la sua intuizione apre uno scenario nuovo sulla origine dell’insediamento del quale si è già occupata Alessia Frisetti in un saggio del 2012 nel quale sono state illustrate le risultanze dello scavo archeologico: Baronia de Rocca Romana. Il sito fortificato di Monte Maggiore e l’incastellamento nella Media Valle del Volturno: “Sebbene le indagini archeologiche abbiano portato alla luce soltanto i contesti di frequentazione più tardi del sito, l’ipotesi di una torre quadrangolare precedente quella attualmente visibile, induce ad alcune considerazioni preliminari. L’originario impianto, seppur non ricostruibile nel dettaglio, poiché inglobato nella torre circolare, permette di ipotizzare che il periodo di realizzazione del mastio sia da collocare quanto meno nell’ambito dei secoli centrali del medioevo, ossia tra la fine dell’XI e il XII secolo, quando tra l’altro compaiono le prime attestazioni del sito nelle fonti scritte documentarie.
Sostanzialmente confermate le analisi archeologiche in un convegno di Firenze del 2019:
Alessia Frisetti, Marianna Cuomo, Nicodemo Abate. Archeologia ed analisi dei contesti fortificati in Campania: il caso del Castello di Roccaromana. Firenze 2019.

Le origini della fortezza di Rocca Romana
Domenico Caiazza ipotizza un’origine bizantina dell’insediamento. Probabilmente le risultanze archeologiche dovrebbero far sospettare una origine longobarda della rocca collegabili a un particolare momento dell’evoluzione del sistema di controllo e difesa del territorio. Gli studi si erano arenati sull’ipotesi che la notizia più antica di Rocca Romana provenisse da un documento del 1101 in cui appare Adamo de Roccaromana, (Chronicon Sanctae Sophiae (cod. Vat. Lat 4939). La citazione inequivocabile del Chronicon, invece, non solo attesta che nel 941 l’”Oppidum” di Rocca Romana era in perfette condizioni strutturali, comunque tali da ospitare Ugo e Lotario insieme all’abate Leone e i suoi monaci, ma che avesse anche una funzione militare di particolare importanza.
Per capire tale funzione possiamo prendere come esempio Castel Romano di Isernia che con il suo nome e grazie ad alcune sopravvivenze documentarie permette di riconoscere in quel luogo una postazione di Arimanni.

Gli Arimanni
Nella struttura militare e amministrativa longobarda venivano chiamati “arimanni” quei soldati che erano accasermati in forma stabile in zone particolarmente importanti dal punto di vista strategico. Il nome, d’altra parte, è di chiara origine germanica e vuol dire “uomo dell’esercito”. In compenso della loro attività militare ricevevano in concessione terre che in parte erano destinate alla coltivazione necessaria per il loro sostentamento e in parte erano tenute incolte per pascolo o bosco. Tali terre, pur se potevano essere ereditate, non potevano essere alienate determinando di fatto la formazione di famiglie di guerrieri che rimanevano tali anche nelle generazioni successive. I Longobardi ripresero tale sistema dai Romani e dai Bizantini che lo utilizzavano soprattutto per le guarnigioni militari destinate alla difesa dei confini che ugualmente venivano ricompensate con la concessione di terre da coltivare o da tenere a pascolo. Le guarnigioni di Arimanni erano diffuse per tutta la penisola italiana e, in molti casi, la loro stanzialità fu uno degli elementi generatori dell’assetto comunale. Avevano peraltro un elevato potere anche nei giudizi perché potevano intervenire anche per proporre le sentenze.
A capo degli Arimanni, che erano comunque uomini liberi, era lo “sculdascio”, un funzionario regio che aveva anche il potere locale di giudicare.

Una testimonianza indiretta della presenza di guarnigioni arimanne nel territorio è dato proprio dal toponimo di Armagnum (La Romana frazione di Isernia) che ancora sopravviveva nel catalogo dei baroni normanni: Robbertus de Rocca tenet de Berardo de Calvellis significavit Abdenago Roccam Berardi, et Saxum, et Armagnum et Vallem Lampuli in servitio et Imbutellum quod totum sicut ipse dixit est feudum iij militum et cum augmento obtulit milites vj et servientes vj.
Ancora troviamo il riferimento al toponimo dell’originaria guarnigione nell’elenco delle chiese soggette alle decime nella diocesi di Isernia nell’anno 1309: In Castro Armani. Archipresbiter pro ecclesiis eiusdem loci que valent tar. XII ½ solvit tar 1 gr. V. (P. SELLA (a cura di), Rationes Decimarum Italiae – Aprutium-Molisium, Città del Vaticano 1926, p.354).

L’origine longobarda di Rocca Romana
Dunque, esistono ragionevoli motivi per ritenere che anche la fortezza di Rocca Romana avesse una origine longobarda e che il suo nome attuale sia la corruzione di una originaria Rocca degli Arimanni. D’altra parte non poteva essere diversamente se in quel luogo nel 941 potettero essere ospitati personaggi come re Ugo e suo figlio Lotario II, di così particolare importanza.
Sui contenuti dell’atto si è sviluppato un dibattito che ormai dura da oltre un secolo e non è nostro compito dirimere i termini della questione.
Noi ci fermiamo alla considerazione che riguarda esclusivamente la localizzazione dell’”Oppidum Romànie”. Credo non esistano dubbi nel riconoscerlo in Rocca Romana dalle parti di Alife

Fonte archivistica, bibliografia e links

Domenico Caiazza, Le vie francigene d’Italia, 2019.

Convegno di Firenze del 2019: Alessia Frisetti, Marianna Cuomo, Nicodemo Abate. Archeologia ed analisi dei contesti fortificati in Campania: il caso del Castello di Roccaromana. Firenze 2019.

In Castro Armani. Archipresbiter pro ecclesiis eiusdem loci que valent tar. XII ½ solvit tar 1 gr. V. (P. SELLA (a cura di), Rationes Decimarum Italiae – Aprutium-Molisium, Città del Vaticano 1926, p.354).

https://www.francovalente.it/2015/08/21/castel-romano-di-isernia-e-unimportante-rocca-sannitica-e-una-postazione-longobarda-altrettanto-importante-certamente-non-e-aquilonia.

 

 

 

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