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After life: Ricky Gervais colpisce dritto al cuore con il suo humor tra riso e amarezza

La serie scritta e diretta per Netflix dal noto autore britannico è giunta alla terza e ultima stagione

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Noemi Riccitelli – Dissacrante, commovente, tenera, scorretta: After life, serie scritta e diretta per Netflix da Ricky Gervais, comico, sceneggiatore e regista britannico (autore della nota e acclamata serie TV The Office) colpisce lo spettatore nel senso letterale del termine.
Dà un pugno allo stomaco, ma poi subito dopo accarezza e consola con un’insospettabile dolcezza.
La serie, giunta alla terza e ultima stagione, per un totale di 18 episodi di circa 30 minuti ciascuno, disponibile su Netflix dal 14 gennaio, ha visto la luce nel 2019 e nel corso di tre anni ha conquistato pubblico e critica.

Tony Johnson (Ricky Gervais), giornalista, ha da poco perso la moglie Lisa (Kerry Godliman) a causa di un tumore.
L’episodio ha scosso fortemente l’uomo che, più volte, pensa di togliersi la vita; nel frattempo sviluppa un atteggiamento scontroso e volubile verso tutti coloro che gli sono intorno e cercano, a loro modo, di consolarlo.
Tuttavia, a poco a poco, Tony impara a smussare gli angoli più spigolosi della drammatica vicenda che lo ha coinvolto, scoprendo guizzi di speranza e positività nella vita di tutti i giorni.

La trama potrebbe far pensare ai drammatici e strappa lacrime cancer movie, ma After life non ha niente a che fare con film di questo genere.
Non c’è commiserazione, pietà, neanche quel, a volte banale, senso di speranza e serenità che certi film vogliono infondere: c’è la cruda realtà del lutto, in particolare, il dolore da affrontare quotidianamente, la vita da portare avanti nonostante la perdita di chi rendeva le giornate uniche e piene, normali, con la certa, oscura consapevolezza che niente sarà più come prima.
Questo sentimento di incompletezza, di insostenibile vuoto, che Tony cerca di riempire tra l’accudimento del suo cane Brandy, il lavoro al Tambury Gazette e le visite al padre Ray (David Bradley), rimane costante, persistente, anche se nel corso delle tre stagioni, Gervais fa compiere al suo personaggio una progressiva, lenta crescita personale: dallo sdegno e dal cinismo espressi in battute al vetriolo, ad una più quieta apertura verso la realtà circostante.

Una realtà variegata, quella in cui Tony vive, la città inventata di Tambury, nel Sud dell’Inghilterra, in cui si alternano personaggi a loro modo grotteschi, ma normali, genuini: il buono e insicuro Matt (Tom Basden), cognato di Tony, Lenny (Tony Way) fotografo della redazione, pigro e amante del cibo, Kath (Diane Morgan) buffa e impacciata collega di lavoro alla ricerca dell’amore, Daphne (Roisin Conaty) la dolce sex-worker dal cuore grande, Anne (Penelope Wilton) l’amica che Tony incontra ogni giorno al cimitero.

Il pregio del cast e l’originalità nella creazione di questi personaggi e, poi, nella scelta degli interpreti è la semplicità, l’aver dato spazio a caratteri assolutamente aderenti alla realtà: nessuno di essi è particolarmente bello o intelligente, il loro tratto identificativo è l’umanità.
After Life si distingue proprio per questo, la più sincera e vivida umanità, senza alcuna alterazione, ma in tutte le sue espressioni, anche quelle più scomode, di solito omesse.
La stessa interpretazione di Ricky Gervais nei panni di Tony non ha nulla di artificioso, è la struggente, disincantata, a volte comica disposizione di un uomo colpito nel profondo che cerca di sopravvivere e capire come proseguire il suo cammino, diventato tortuoso.

La serie, inoltre, nella finzione giornalistica del Tambury Gazette, tocca una serie di temi e dibattiti della società contemporanea, trattati con la pungente, ma acuta riflessione che caratterizza i monologhi di Gervais.

Nel complesso, After Life è una serie che può trovare difficoltà nell’essere pienamente apprezzata da molti, per la crudezza e l’onestà nella trattazione di alcuni temi, così come nell’eloquio non sempre corretto, ma è una visione sincera e, per questo, bella sulla vita.
E il titolo, evocativo di un oltre, di una spiritualità cui Tony si rifiuta categoricamente di credere, nel finale si dispiega in modo armonioso: è nell’essere tutti i giorni, nelle scelte che si compiono, nella disposizione verso gli altri che si intravede il dopo, l’oltre, il tutto di cui si fa parte.

 

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