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Commento al Vangelo, II domenica di Quaresima. La via che indica Gesù è vita compromessa, non comodamente religiosa

Commento al Vangelo, II domenica di Quaresima - Anno C

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Di Padre Fabrizio Cristarella Orestano
Comunità Monastica di Ruviano (Clicca)

II domenica di Quaresima – Anno C
Gen 15,5-12.17-18; Sal 26; Fil 3,17-4,1; Lc 9,28b-36

La seconda tappa della quaresima, come ogni anno, ci fa sostare sul Tabor per contemplare il mistero della Trasfigurazione; dopo le tentazioni nel deserto, dopo la vittoria del nuovo Adamo che è Cristo Gesù, ecco il volto “altro” dell’uomo nuovo, un volto che è trasparenza della luce di Dio, un volto che narra Dio, un volto umanissimo, ma davvero “altro”, un’alterità però davvero «a caro prezzo» (1Cor 6,20).

Un volto “altro”! Luca, infatti, di cui oggi leggiamo il racconto della “trasfigurazione”, non usa questo termine, in greco metamórphosis, che giudica ambiguo per i destinatari di origine pagana del suo scritto che conoscevano metamorfosi di dei e ninfe; Luca dice che «l’aspetto del suo volto divenne altro e il vestito di lui bianco sfolgorante». Si badi bene, non un altro volto ma «un volto altro», un volto cioè che accoglie in pienezza e concretamente, visibilmente addirittura, l’alterità di Dio… il luogo di questa emersione dell’alterità di Dio sul volto di Gesù è la preghiera; per Luca tutto avviene mentre Gesù pregava. La preghiera è spazio in cui l’uomo accoglie l’alterità, la santità di Dio. Il volto è il luogo dell’identità e quell’identità ora, in Gesù, coincide, anche visibilmente, con l’alterità di Dio.

Il volto di Cristo è narrazione di Dio… ecco la trasfigurazione cosa vuole affermare…  

è quanto il IV Evangelo dirà, con il suo linguaggio diverso, già nel Prologo: «Dio nessuno l’ha mai visto, il Figlio Unigenito, che è rivolto verso il seno del Padre, lui lo ha narrato» (Gv 1,18). Il volto “altro” del Figlio era già emerso nel deserto, lo vedevamo la scorsa domenica, con i “no” netti che Gesù pronunzia ad ogni idolatria e a ogni diminutio della sua piena, vera, costosa umanità! Nel deserto Gesù, sospinto dallo Spirito, aveva digiunato, aveva fatto, cioè, spazio al Padre dentro di sé, il deserto luogo di intimità e di preghiera, aveva già fatto emergere il vero volto dell’uomo, nell’uomo Gesù! Lì Gesù aveva conosciuto l’emergere della tentazione idolatrica dal suo stesso cuore, senza poter riversare su nessuno la causa di questa prepotente emersione… e nel suo profondo combatte la «buona battaglia» (2Tm 4,7) fidandosi del Padre e della sua Parola.

Il tema della preghiera di Gesù in questo racconto lucano deve investire anche la nostra idea di preghiera:

la preghiera agisce davvero su chi prega, lavora sulla sua identità (il volto), la preghiera fa emergere il nostro profondo.

Il tutto nel racconto di Luca avviene nella “conversazione” di Gesù con Mosè ed Elia; la preghiera di Gesù è allora, come già nel deserto, ascolto della Parola contenuta nella Scrittura, un ascolto che è davvero, come dicevano i Padri, conversazione con Dio e con chi è vivente in Dio; preghiera che diviene viva esperienza della comunione dei santi. È straordinario l’accumulo di temi che questo testo può suggerire alla nostra riflessione!

Luca, in questo stesso capitolo del suo evangelo, narra come l’Evangelo del Regno cominci a correre per le strade degli uomini; il capitolo, infatti, si apre con Gesù che invia i discepoli a predicare l’Evangelo nei villaggi della Galilea. Questa predicazione suscita un’eco che ascoltiamo risuonare sulla bocca della gente la quale esprime le più svariate ipotesi sull’ identità di Gesù (cfr 9,7-8); l’eco della gente rimbalza sulle labbra vili e stupite di Erode Tetrarca che si chiede: «Chi è dunque costui?» (9,9). Segue poi, in un clima di profonda pace, nella preghiera (Luca è il solo degli evangelisti che ambienta questo episodio in un clima di preghiera) la domanda di Gesù ai suoi discepoli: «La gente chi dice che io sia?» e poi la domanda più compromettente: «E voi chi dite che io sia?» E Pietro risponde: «Il Cristo di Dio!» (9,18-22).

Ecco le possibili risposte che  l’uomo è capace di dare circa l’ identità di Gesù, quella per sentito dire della gente, quella superstiziosa di Erode, quella vera, ma parziale di Pietro…  nel passo evangelico odierno è però il Padre a dare finalmente la risposta definitiva: «Questi è il Figlio mio, l’Eletto. Ascoltatelo!».

Domenica scorsa dicevamo che c’è una lotta da compiere, oggi la voce stessa del Padre risuona per indicarcene la via: l’ascolto!

In fondo non è altro che l’antico comando dato a Israele: Sh’mà! «Ascolta!». Ma la voce del Padre chiede di volgere quell’ascolto ad una fonte precisa: Gesù! Straordinario! L’ascolto va teso verso di Lui, verso Gesù, verso il Figlio, l’Eletto. La sua identità ormai traspare dal suo volto

Pietro, Giovanni e Giacomo, compagni per Gesù, d’una ascesa faticosa al monte della preghiera, vedono il volto di Gesù diventare “altro” e le sue vesti sfolgorare; ci sono Mosè ed Elia e Luca è il solo evangelista a precisare di cosa discorrono con Gesù: del suo esodo, quello che avrebbe compiuto a Gerusalemme … è l’esodo doloroso che Gesù affronterà passando per le acque di morte, per l’abisso della sofferenza. Poco prima (9,21-24) Gesù aveva detto ai suoi discepoli una parola scandalosa sulla necessitas passionis, una parola accompagnata da uno sconcertante invito a stare con lui in quell’atto di amore e di offerta di sé: è necessario dimenticarsi per seguirlo e chi saprà perdere la vita la troverà e chi la vorrà preservare la perderà; ora sul Tabor il Padre chiede che si ascoltino proprio quelle sue parole scandalose, chiede ai discepoli di accettare quel Figlio Eletto che passa per lo scandalo della croce.

Solo lui è il suo Figlio; solo lui è da ascoltare; non si ingannino ascoltando altri con parole magari più allettanti, più facili, parole magari trionfalistiche e mondane!

Ecco la via per viver questa Quaresima e non farne ancora una volta un’occasione mancata, una tradizione religiosa: la lotta è possibile perché Cristo ha vinto, ma ha vinto a caro prezzo (1Cor 6,20), non si può ingaggiare quella lotta se non passando per quell’esodo doloroso. Altre vie non sono possibili.

Pietro, affascinato dalla luce del Tabor commette un errore gravissimo, un errore che si porterà dietro sino alla fine dell’Evangelo quando quello stesso errore lo precipiterà fino al rinnegamento del Cristo sofferente. L’errore di Pietro è di voler godere della luce della Pasqua senza passare per la passione; è il gran rischio di sfuggire la ruvidezza della croce. Luca ironicamente commenta che Pietro non sapeva quel che diceva; sì, Pietro è un incosciente, come spesso accade anche a noi, vorrebbe delle scorciatoie e in Matteo e Marco osa suggerirle anche a Gesù che lo apostrofa con il terribile nome di Satana. Scorciatoie a portata di mano: l’illusione che la vita sia la conquista dello star bene e basta… ad ogni costo; anche a prezzo dell’oblio di quanti sono nel dolore e nella morte: meglio dimenticarli, ci sporcano le illusioni… è un rischio che anche oggi corriamo immersi come siamo nelle contraddizione di questa nostra storia… ci sono uomini e donne che piangono per una guerra assurda e iniqua, ci sono uomini e donne che cercano salvezza sui nostri lidi e che tanti vorrebbero respingere senza pietà… ci sono guerre nascoste e ignote che non interessano ai potenti della terra e di cui non hanno e danno neanche notizie… un mare di dolore e di ingiustizia che si rischia di voler obliare, rimuovere… Il rischio, in fondo, è quello che dice Paolo nel passo della Lettera ai cristiani di Filippi che oggi si proclama: «comportarsi da nemici della Croce di Cristo!».

L’Evangelo invece ci indica la via di Gesù, una via che è tutt’altro; è la via della compromissione senza mezze misure per un esodo che riguarda tutti gli uomini e in cui non esistono guerre giuste…

Gesù ci rivela il volto altro di un Dio che davvero si compromette, che all’uomo si offre tutto e senza riserve: Abramo, protagonista del racconto di Genesi che è la prima lettura di questa domenica, sperimenta infatti un Dio che si impegna personalmente al sacrificio, che passa lui solo tra gli animali squartati impegnandosi appunto a versare il sangue. I due contraenti, in questo tipo antichissimo di alleanza, passavano assieme tra le bestie squartate per proclamare che ogni infedeltà al patto li avrebbe condotti a quella stessa fine cruenta; ad Abramo, però, non viene chiesto di passare tra quel sangue, solo il Signore lo farà facendosi così carico di tutte le infedeltà all’alleanza.

L’ombra della Croce si allunga da quella notte di Abramo fino alla luce del Tabor; ormai è l’ora di seguire il Signore in un esodo che egli è pronto ad inaugurare con il suo sangue e che bisogna accogliere con il coraggio di perdere la propria vita per conquistarla davvero.

La via sicura? Ascoltarlo rifiutando le squallide scorciatoie che il tremendo buon senso del mondo è sempre pronto a suggerirci.

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