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Commento al Vangelo III domenica di Pasqua. Gesù, il Risorto, è con noi: il racconto dei discepoli di Emmaus

Commento al Vangelo della III domenica di Pasqua - Anno A

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di Padre Gianpiero Tavolaro
Comunità Monastica di Ruviano (Clicca)

III Domenica di Pasqua – Anno A
At 2, 14a.22-33; Sal 15; 1Pt 1,17-21; Lc 24 13-35

Michelangelo Merisi da Caravaggio: “Cena in Emmaus” (1601-1602), National Gallery – Londra

La Risurrezione è un evangelo, una buona notizia, anzi: è la buona notizia, che, mentre si presenta come promessa di futuro dinanzi al dramma del nostro morire e vittoria non arrogante dell’amore sull’odio, assicura la presenza di Cristo Gesù al di là del tempo e anche al di là delle nostre percezioni e consapevolezze. Ciò è quanto intende suggerire il racconto dei due discepoli di Emmaus: Gesù, il Crocefisso Risorto, è con noi, cammina per le strade del mondo, facendosi accanto ai passi stanchi, sfiduciati e tante volte disperati e insensati dell’uomo, ben al di là di ciò che l’uomo può e sa immaginare o attendere.

Il Risorto cerca l’uomo nei suoi passi perduti, viene a visitarlo proprio lì dove l’uomo non lo attenderebbe. Il Risorto raggiunge l’uomo nelle sue sere che non attendono luce e lo fa senza temere quegli occhi incapaci di riconoscerlo. La fede pasquale è fede in una presenza, che va al di là delle proprie percezioni e del proprio sentire: credere nella Risurrezione significa sapere che Gesù è per sempre, dovunque e in ogni oggi e condizione il Dio-con-noi. La via per Emmaus è allora paradigma di tutte le vie senza vita che possono diventare vie di vita senza tramonto, se ci si lascia aprire gli occhi da Lui sulla sua presenza e se si è disposti ad accogliere sempre di nuovo quanto, in quella presenza, egli consegna all’uomo per aiutarlo a non smarrirsi ancora: la Parola, il Pane spezzato, i fratelli a cui non si può rinunciare, come avevano creduto di poter fare i due fuggiaschi.

Sono queste le realtà che Cristo consegna ancora agli uomini nell’ora in cui si fa accanto ai loro passi: sono queste le realtà che rendono suoi discepoli. Gesù consegna ai due la Parola che apre i loro cuori e li infiamma («Non ardeva forse in noi il nostro cuore… quando ci spiegava le Scritture?»), spezza per loro il Pane che sarà la sua presenza nonostante la sua “assenza” («Ma egli sparì dalla loro vista») e li riconduce a Gerusalemme, perché ritrovino la Chiesa, il “luogo” nel quale si può vivere veramente da discepoli, perché solo lì è possibile ricevere la conferma della propria esperienza di incontro, sottraendola a ogni rischio di spiritualismo intimistico e solitario («Trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!”»).

È così che il Signore risponde alla preghiera dei due di Emmaus, quella preghiera che, rimbalzata sulle labbra di generazioni e generazioni di cristiani, ha trasformato l’amarezza di quei due discepoli disillusi in sapore di dolcezza da cui tutti gli “innamorati” di Cristo Gesù si sentono sedotti: «Resta con noi, perché si fa sera ed il giorno è ormai al tramonto». La preghiera dei due diviene la condizione perché si possa fare esperienza della potenza della resurrezione: ma essa scaturisce da cuori che si sono lasciati lavorare e afferrare dalla Parola… da cuori che hanno saputo, nonostante tutto, ascoltare ancora. Anche nel buio delle proprie incapacità e incomprensioni di senso, allora, la preghiera permette di entrare in una consolazione che si nutre di una sola certezza: Gesù resta!

Scrive Luca: «Egli entrò per rimanere con loro». Emmaus diviene, così, un luogo dell’anima: un luogo, cioè, che riguarda l’anima, l’intimo di ogni uomo, chiamato a diventare discepolo di Cristo. Emmaus è luogo dell’anima perché qui ogni uomo – che prima o poi si trova incamminato su strade fatte di tramonti e di speranze declinate al passato – può imparare a non credere alla notte, pure quando incombe; può fare esperienza di una presenza che lo cerca e lo raggiunge mediante una parola che fa ardere il cuore; può attingere una forza “altra” grazie alla quale ritornare, per incontrare ancora i fratelli; può incontrare quel pane spezzato che è lasciato perché plasmi e modelli in ciascuno l’uomo nuovo nato a Pasqua.

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