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La vera musica? Quella che fa pensare e sa darti i brividi. Sally Cangiano alla vigilia di Sanremo racconta il potere delle parole d’amore

Il chitarrista e cantautore matesino intervistato da Clarus esamina un aspetto del panorama musicale italiano, quello pervaso da parole e motivetti leggeri, violenti, quanto incisivi nella vita delle persone

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Alla vigilia del Festival di Sanremo, mentre continuano le polemiche sulla partecipazione di cantanti noti per una storia musicale dai testi violenti e sessisti, abbiamo chiesto un parere a Sally Cangiano, chitarrista e cantautore originario di Piedimonte Matese, sul potere delle parole d’amore in musica. Una lunga riflessione dedicata alla pesantezza o leggerezza di taluni testi che entrano regolarmente nella vita di questa Italia che conserva tuttavia un ricchissimo patrimonio di musica e parole di alto spessore poetico. Sally Cangiano, con oltre trent’anni di esperienza musicale, dopo la pubblicazione dell’album “Quanta strada” (2024) porta nei teatri il tour “Solo project” in cui abbracciando la sua chitarra riesce a comporre musica e suonare più strumenti in tempo reale. Un creativo con la passione incondizionata per le relazioni e il pensiero fisso di condividere l’esperienza emozionale che la musica suscita in lui.

Il potere di una parola d’amore in chi l’ascolta…
La parola d’amore è fantastica per il potere evocativo ed emozionale che sa suscitare in chi l’ascolta. Chi la ascolta non saprà mai la qualità dell’amore di chi la pronuncia ma conosce benissimo la qualità dell’amore che porta in se stesso e l’esperienza d’amore che vive.

Fin dal primo annuncio dei cantanti scelti per Sanremo è sorta la polemica intorno a quei nomi noti per i loro testi violenti e omofobi, spesso concentrati nel genere Trap, ma non solo. Alla luce di quello che hai espresso, quale considerazione sull’uso di parole che istigano all’odio, al disprezzo, all’umiliazione…?
Anche in questo caso, tutto viene dal di dentro, da un malessere interiore che paradossalmente trova la forza e la spinta per raggiungere chiunque. Ecco perché il problema non è Sanremo, ma il percorso che i protagonisti di questi messaggi hanno compiuto fino ad oggi arrivando ad importanti traguardi commerciali, avendo già ricevuto l’apprezzamento del loro pubblico e il supporto delle case discografiche.
Perché scandalizzarsi di un problema di cui già si conosce l’entità? Abbiamo trascorso un’estate con bambini di cinque o sei anni a cantare ‘Sesso e Samba’ lasciando che acquisissero il vocabolario sbagliato e siamo stati a guardare; abbiamo lasciato che diventassero messaggi quei tormentoni fondati su leggerezza e anche volgarità… Dunque la partecipazione a Sanremo di alcuni discussi personaggi del panorama musicale italiano non cambia l’andamento schizofrenico di questa società e di questo Paese.

Perché schizofrenico?
Perché stiamo assistendo da un lato, ad ogni azione possibile per il rispetto dei generi, della donna in particolare; stiamo investendo nella società e nella scuola su percorsi che sensibilizzino ai valori dell’accoglienza, all’uso della gentilezza, alla non violenza…; mentre sull’altra corsia lasciamo che corrano parole di violenza e volgarità e tutti i non valori di cui vorremmo liberarci e che in modo spavaldo si insinuano nel comune linguaggio, fino a diventare stili. La musica ha il potere di incidere sulla vita, di parlare al cuore; a qualunque cuore anche quello che cova incertezze, rabbia, e che fomenta vendetta… Abbiamo assistito a forme di censura su parole, formule, costumi divenuti parte della cultura del nostro Paese, mentre i tormentoni pregni di ogni banalità percorrono la loro strada fino al successo sperato racchiudendo un pericoloso concetto omofobo.

Recentemente si è fatta notare l’iniziativa di un gruppo di pediatri che per rispondere a questi fenomeni di violenza verbale attraverso la musica, ha rilanciato in rete le più belle frasi di Battiato, Baglioni, Nannini…  Che bella eredità poetica tra le nostre mani!  Come farne buon uso…? Come tenere viva questa ricchezza?
Penso che il problema risieda nella memoria; non c’è cultura della memoria…
Mi spiego meglio: offrire questi testi poetici a chi non è stato abituato a recepirli o non è stato abituato a quel tipo di emozione, è correre il rischio di non essere compresi in profondità, di alzare un muro con una generazione (quella più giovane) che parla ormai un altro linguaggio, si nutre di altri generi… La poesia diventa anacronistica se data in pasto a persone a cui non sono state dati gli elementi per coltivare la memoria. La mia esperienza nelle scuole però mi conferma che i ragazzi sono predisposti all’ascolto e all’accoglienza; necessitano solo di trovare l’intesa con il loro interlocutore adulto, il docente che dovrebbe educarne ed orientare il percorso… Il loro primo approccio con una canzone di alto spessore poetico è di spaesamento, come di un elemento marziano giunto da chissà dove; poi l’apertura e la domanda sul ‘dove’ fossero state nascoste simili belle parole… e ne rimangono entusiasti, esterrefatti.

Torna dunque il ruolo educativo degli adulti…
Sì, e soprattutto lo stile con cui gli adulti “restano” con i più giovani. Coltivare il valore del tempo trascorso insieme, e non quello del tempo solo per fare lezione. Ritornare ad essere maestri e compagni di viaggio suscitando un rapporto di intimo confronto intellettuale, l’unico che apre al bello, alla poesia e alla rivelazione di sé da entrambe le parti. Questa è la poesia che fa bene al mondo… Il rischio è che anche la figura dell’adulto assuma le sembianze del prodotto “usa e getta” destinato a fornire nozioni e a sparire.

La tua musica, le tue parole anch’esse straordinarie poesie d’amore. Da dove nascono quelle parole e quelle espressioni e cosa racchiudono?
Dietro un testo c’è prima di tutto una narrazione; un racconto pensato di episodi e sentimenti vissuti; dietro una parola si nasconde una tridimensionalità fatta di sensazioni, emozioni, esperienze vissute, dolori e felicità che bisogna saper mettere insieme per suscitare emozioni in chi ti ascolta. È questa la difficoltà ma anche la bellezza straordinaria di un testo che mi piace definire un film a cui la musica fa da colonna sonora. Mi chiedi del mio disco ma il discorso vale per centinaia di lavori che oggi appaiono anacronistici perché inducono a pensare; la tendenza del momento invece propende alla leggerezza, alla spensieratezza e non alla narrazione sentimentale come cura, come sollecitazione, come accompagnamento anche spirituale…

A questo proposito c’è un verso del patrimonio musicale italiano che senti particolarmente tuo per il suo valore sentimentale?
Si tratta di “Sempre e per sempre” di Francesco De Gregori; è la mia canzone intima, mai suonata in pubblico… Le parole “Pioggia e sole abbaiano e mordono” descrivono il passare delle stagioni, del tempo, ma nonostante tutto lasciano il tempo che trovano perché “sempre e per sempre dalla stessa parte mi troverai”: è bello pensare che nella propria intimità, nel proprio cuore si rimane se stessi… Se sei un bambino dentro lo sarai per sempre.

Quando canti, le tue o canzoni di altri, che percezione ricevi dal pubblico?
La mia felicità si concretizza quando riesco a cogliere nel viso di chi mi ascolta lo stupore, quella espressione che racchiude insieme gioia e dolore, il bello e il brutto. In quel caso so di aver toccato il cuore…

Sei anche un esperto di musicoterapia… In tal senso la musica ti ha messo in contatto con persone segnate da particolari disagi sociali. Che esperienza è stata?
Ho lavorato sia con tossicodipendenti sia con persone affette da disturbi psichici. Il miracolo che sa generare la musica è quello di conferire un ruolo alle persone e quindi una dignità a chiunque ne è toccato. In un’orchestra, come quelle che abbiamo allestito, ognuno di loro si è sentito indispensabile, necessario al lavoro collettivo, coinvolto in un progetto con la consapevolezza che l’eventuale assenza avrebbe creato un vuoto. È il potere della musica: essa chiede partecipazione e coinvolgimento per essere completa; se togli all’orchestra un elemento, o all’arrangiamento uno strumento, quella mancanza si noterà… Così è stato anche per la mia esperienza: far comprendere il valore curativo di musica e parole.

Cosa chiederesti al pubblico – giovane e adulto – fruitore di musica? Quale invito…?
L’appello è quello di essere disponibili ad accogliere dalla musica tutto ciò che essa può donare; non solo il sollievo, non solo la spensieratezza; prendiamoci anche la musica che fa pensare, quella che fa venire i brividi… la musica che ci mette in contatto con la parte di noi che più odiamo.  Rendete la musica come uno specchio: specchiatevi in essa non solo quando sarete pettinati e truccati, ma guardatevi anche al mattino presto perché voi siete anche quello, non sempre perfetti.

Da Clarus del 6 maggio 2024
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