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Commento al Vangelo domenica 16 febbraio. Beati i poveri. Guai a voi, ricchi!

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di Padre Gianpiero Tavolaro
Comunità Monastica di Ruviano (Clicca)

Sesta domenica del Tempo ordinario – Anno C
Ger 17,5-8; Sal 1; 1Cor 15,12.16-20; Lc 6, 17.20-26

Jorge Cocco Santangelo (1936): “Le Beatitudini”

In Gesù Dio si è fatto vicino agli uomini e tra gli uomini ha fatto una scelta, quella dei poveri, degli ultimi, di quelli, cioè, che non possono essere pieni che del loro bisogno di altro! Luca mostra, sin dall’inizio del suo evangelo, questa attenzione di Dio ai poveri: povera è Maria, alla quale l’angelo Gabriele annuncia di essere stata scelta da Dio perché concepisca e dia alla luce il Figlio di Dio (cf. 1,26-38); poveri sono i pastori che a Betlemme ricevono l’annuncio dell’angelo e sono chiamati a riconoscere in un bambino avvolto in fasce in una mangiatoia un segno, anch’esso povero, della nascita del Salvatore (cf. 2,8-12); poveri sono i vecchi Simeone e Anna, i quali attendono la redenzione di Gerusalemme e, in un bambino presentato al Tempio nel quarantesimo giorno dalla nascita, accolgono la visita di Dio (cf. 2,22-38); poveri sono i peccatori con i quali, al Giordano, Gesù si mette in fila (cf. 3,21-22); poveri sono coloro ai quali, nella Sinagoga di Nazareth, Gesù dice di essere stato inviato, perché ricevano l’annuncio del vangelo (cf. 4,16-21).

E ancora, poveri sono coloro che Gesù incontra (i tanti ammalati, la peccatrice del capitolo 7, fino al ladrone appeso con lui alla croce)… coloro di cui Gesù narra in molte delle sue parabole (come il povero Lazzaro, in 16,19-31; i poveri chiamati al banchetto rifiutato, in 14,21; la vedova che non riesce ad ottenere giustizia, in 18,1-7; il pubblicano al Tempio, in 18,9-14). Questo “primato” dei poveri può essere compreso alla luce di quella beatitudine (la prima), che Gesù pronuncia, alzando gli occhi verso i suoi discepoli: «Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio». Quel “voi” rivolto ai discepoli significa che la povertà non è qualcosa di opzionale nella sequela di Cristo, ma è la condizione stessa del discepolato: il discepolo è un povero, in quanto a immagine del povero, che è Cristo stesso (cf. Fil 2,5-11)!

Per Luca – diversamente da Matteo, che parla di «poveri in spirito» (cf. Mt 5,3) –  i poveri sono «i poveri» e basta, senza altra specificazione: sono i nullatenenti, coloro che non hanno davvero nulla e che, per quanto possano affaticarsi, rimarranno sempre senza alcun possesso. Insomma, sono poveri reali, che hanno fame, piangono, sono in balìa di tutti, oppressi, deboli e sfruttati, incapaci di difendere la loro dignità. Su di loro, però, Dio ha posato il suo sguardo, per loro interviene: è per questo che essi sono beati! Gesù non proclama beatitudine la miseria, che è sempre frutto della malvagità dell’uomo, ma invita i suoi a riconoscere che causa della beatitudine è la scelta di Dio, che li fa protagonisti di una nuova storia, quella che prepara la venuta del Regno. I grandi, i ricchi, i cosiddetti “potenti”, invece, credono di essere i costruttori, ma la loro  miseria è paradossale, perché in questo guardare solo a se stessi o all’altro in funzione di sé, di fatto sono già fuori dal Regno, lontani da esso. Per questo Gesù non può che dire il suo “Ahimè” su di loro: non è infatti una minaccia quella di Gesù, ma un lamento pieno di pietà per chi vive e vuole vivere nell’inganno; è un grido pieno di dolore che desidera far breccia in quei cuori induriti.

Gesù sa che anche ai ricchi è possibile una conversione, a condizione, però, che si lascino incontrare da lui, come farà, per esempio, Zaccheo, il quale potrà accogliere la salvezza nel suo oggi (cf. Lc 19,1-10). La beatitudine che Gesù pronuncia per i poveri, d’altra parte,  non è al futuro, ma al presente: già oggi i poveri hanno il Regno! Hanno il Regno perché, fiduciosi di Dio, gli danno spazio nella loro vita, una vita in cui non c’è altra possibilità di senso se non in Dio. Il problema è credere che la ricchezza del mondo è miseria e la vera povertà fatta di condivisione e giustizia è beatitudine: il problema è credere al mondo o al vangelo.

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