
Alberto Baviera – “Il paradigma dei partiti del Novecento, verticistici e piramidali, è superato. Quando al voto partecipa meno del 50% degli aventi diritto significa che anche le forme della politica novecentesca sono finite, dobbiamo prenderne atto. Non ritornerà più quel tipo di far politica con la capacità di coinvolgere grandi folle come avveniva in passato. Per certi versi stiamo vivendo una fase finale, che è in realtà anche una fase iniziale: dovremo inventare delle cose diverse”. Parte da qui Francesco Russo, vicepresidente del Consiglio del Friuli Venezia Giulia e tra gli animatori della Rete di Trieste, per commentare al Sir quanto emerso nel fine settimana alla convention con oltre 400 amministratori locali di ispirazione cattolica che si sono riuniti al Th Hotel Carpegna di Roma. Il network, nato in occasione della 50ª Settimana sociale del luglio scorso, ha già coinvolto più di 700 persone in tutto il Paese.
Che un bilancio traccia per questi giorni?
La vera ricchezza di questi due giorni sono l’entusiasmo e la passione di 400 persone che, su un progetto ancora tutto da scoprire, hanno scelto ritrovarsi insieme, con la disponibilità a mettersi in gioco e lavorando con metodologie sinodali che ci hanno permesso di produrre qualcosa frutto davvero del contributo di ciascuno. C’è soddisfazione ed è legata al fatto che questa esperienza, nata a Trieste in modo spontaneo, nonostante molti pensassero fosse un fuoco di paglia, ha raccolto un entusiasmo crescente, che è figlio soprattutto del grande bisogno delle persone di stare insieme, di fare nuovamente comunità, di scoprire che anche la politica è possibile coltivarla dentro una dimensione di amicizia, di comunità politica. Cosa che oggi i partiti non sono più in grado di offrire.
Come proseguirà l’interlocuzione con il mondo ecclesiale?
Siamo nati nel solco di un’esperienza come quella della Settimana sociale e il nostro riferimento, che ci unisce nella trasversalità della rete, è la Dottrina sociale della Chiesa e il magistero del Papa dei nostri vescovi. Questo è il perimetro nel quale ci muoviamo. La rete, pur essendo figlia di una responsabilità tutta laicale – quindi ci assumiamo l’onere e l’onore di metterci la faccia –, ha favorito la partecipazione di tante esperienze – createsi all’interno del mondo delle associazioni, dei movimenti, del volontariato, delle parrocchie – che in essa hanno trovato un luogo “neutro” nel quale mettere in gioco la propria passione, la propria voglia di servire la comunità. Una sensibilità, quest’ultima, che rimane una dimensione a cui per fortuna nelle nostre comunità si viene ancora formati ma che negli ultimi anni era bloccata dal fatto che “fare politica” significava spesso scegliere necessariamente e non senza problemi uno dei due schieramenti.
In questi giorni si è molto insistito sulla necessità di superare la polarizzazione…
La rete oggi offre la possibilità di dire che si sta insieme, partendo da appartenenze diverse. Siamo convinti che questo percorso può in qualche maniera generare una nuova capacità di visibilità dei cattolici nel Paese. Perché la verità è che in Parlamento oggi i cattolici sono pochi e mal rappresentati, mentre negli 8.000 Comuni italiani quasi dappertutto c’è la presenza di una persona che invece ha fatto e sta facendo un’esperienza ecclesiale. Nella rete ci sono tutte persone che continuano a mantenere un legame con la propria comunità di provenienza e questa presenza in tutti gli 8.000 Comuni è quella che vorremmo far emergere perché crediamo rappresenti anche la capacità di dire che il mondo cattolico è molto più radicato, più visibile, più determinato e determinante di quanto possa apparire.
Se riusciremo a far emergere questo, sarà anche più facile raccontare la vera capacità della presenza dei cattolici. D’altra parte, la Chiesa come forse nessuna agenzia oggi che sia educativa, associativa o politica, può vantare la capacità di buona socialità.
La due giorni si è conclusa con l’indicazione – frutto del confronto in gruppi – di cinque priorità che costituiranno la base di lavoro per i prossimi mesi…
In cima ci sono “Giovani e community, dalla solitudini alla condivisione”, poi “Welfare inclusivo”, “Cittadinanza attiva e patti di collaborazione”, “Lotta allo spopolamento dei piccoli centri” e “La formazione dei cittadini alla partecipazione alla coprogettazione dei servizi sanitari territoriali”. Mi ha colpito il fatto che una platea non giovanissima, come tutte le platee di questo Paese in qualunque contesto, abbia messo il tema dei giovani al primo posto: questo è un bellissimo segno, insieme al fatto che l’unico panel tematico che abbiamo avuto in questi giorni ha visto protagonisti giovani in un dialogo veramente appassionato e ricco di spunti. Questo dimostra che in Italia ci sono giovani capaci e dovremmo fare scouting in maniera molto più approfondita perché in giro ce sono davvero di bravi. Di segni di novità ne sono emersi, è responsabilità della rete quella di uscire dal seminato del dibattito che i grandi partiti alimentano, che i grandi media alimentano, per far emergere una realtà che se è vera è più forte di qualunque narrazione. Se sapremo mettere insieme la verità di ciò che succede nel Paese, prima o poi questo deflagrerà in maniera importante anche a livello di politica nazionale.
Dopo la convention di Roma quali i prossimi passi?
Dobbiamo darci un’organizzazione e dobbiamo farlo testimoniando che proviamo a fare politica in maniera diversa, non competitiva tra di noi,al contrario di ciò che avviene all’interno di qualunque partito. Vogliamo essere una comunità politica: significa che chi ti siede accanto ti rappresenta e ti fidi. Per cui una selezione che, come abbiamo proposto, sarà a sorteggio tra coloro che daranno disponibilità – con alcuni vincoli che consentiranno uguale rappresentanza di donne e uomini, giovani e diversi territori – è il segno non solo di un’amicizia politica tra di noi ma anche che vogliamo difendere il principio per cui non ci sono ruoli di comando ma di servizio. L’altro impegno con il quale ci siamo lasciati è organizzare subito dopo Pasqua una giornata di mobilitazione nazionale in cui presenteremo nelle 100 città capoluogo la nostra piattaforma, che diventerà un ordine del giorno o una mozione sottoscritta da appartenenti a schieramenti diversi e che proporremo a tutti i Consigli comunali e regionali del Paese perché venga approvata.
La rete è stata definita uno dei frutti della 50ª Settimana sociale dei cattolici italiani. Qual è la speranza nell’Anno giubilare dedicato a questa virtù?
Credo che la rete è già un segno che testimonia speranza. La Settimana sociale ci ha stimolato sul tema della partecipazione, del rinnovamento della democrazia, che è la preoccupazione su cui ci stiamo muovendo. E non credo sia un caso che ciò accada in occasione del Giubileo della speranza. Leggevo in questi giorni un filosofo francese per il quale la speranza è una dinamica di movimento, di futuro; una dinamica che non ti fa star fermo. La speranza mobilita; e questo rimanda ad una grande responsabilità per i cattolici, perché se è vero che in qualche maniera possediamo la forza di un incontro che ci ha regalato una speranza allora abbiamo anche l’obbligo di trasmetterla. Con gli strumenti che i laici sanno interpretare nella costruzione di una città a misura d’uomo, che restituisca quella felicità, come direbbe la Costituzione americana, che in qualche maniera dovrebbe essere obiettivo e fondamento. Abbiamo la responsabilità nei confronti dei nostri concittadini di aiutare le persone a vivere meglio.