Annamaria Tartaglia ha risposto all’appello della Diocesi che tramite un bando, la scorsa estate, proponeva ai giovani tra i 20 e i 30 anni la possibilità di un’esperienza nuova: un percorso triennale di formazione per diventare Animatori di Comunità con l’obiettivo di aiutare altri giovani ad indirizzare il loro futuro lavorativo. La sua testimonianza, a poche settimane dall’inizio del Progetto Policoro ci aiuta a capire i fondamenti di questa iniziativa della Chiesa Cattolica Italiana.
“Ci provo perché mi incuriosisce, perché sento che può aiutare per prima me stessa e perché è l’ultima possibilità che ho”. Mi sono detta questo quando, il giorno prima della scadenza, ho letto il Bando del Progetto Policoro promosso dalla Diocesi di Alife-Caiazzo rivolto ai giovani di età compresa tra i venti e i trent’anni.
Ancora oggi, provo difficoltà a descriverla con una sola parola, forse è presto, forse sarebbe limitante. In fondo siamo qui per questo, quindi ci proviamo.
Il progetto nasce a Policoro (in Basilicata), appunto, nel 1995 (come me) da un vescovo illuminato, mons. Mario Operti che voleva affrontare il problema della disoccupazione giovanile, pretendeva una chiesa che non stesse a guardare, ma che si “sporcasse le mani”, che fosse aiuto concreto per i giovani. A quelle riunioni preliminari partecipava anche il nostro Vescovo Giacomo Cirulli come delegato regionale della Caritas di Puglia. In un primo momento, il progetto è pensato e rivolto alle diocesi del Sud maggiormente toccate dal problema della disoccupazione; negli anni viene esteso al resto d’Italia diventando un progetto nazionale.
Policoro è promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana ed è figlio della Caritas, della Pastorale Giovanile e della Pastorale Sociale e del Lavoro. L’intento del Progetto è quello di formare Animatori di Comunità che possano accompagnare i giovani al lavoro, a realizzare o, semplicemente, a capire le loro aspirazioni. Si vuole evangelizzare il lavoro e la vita, con una chiesa che affianchi, attraverso gli animatori, le comunità nelle scelte lavorative, che sia supporto laddove lo Stato vacilla.
Il lavoro è dignità e la chiesa deve essere attenta alle problematiche legate alla condizione economica, è passaggio obbligato per la realizzazione della persona. Il mandato di animatori si riceve ad Assisi, durante una cerimonia molto suggestiva così come è stato anche per me poco tempo fa. E’ stato lì, durante la prima formazione nazionale, che ho compreso il fulcro di questo progetto: le persone, i legami che si creano, il filo che li unisce è Dio. La commozione, le lacrime degli animatori di Comunità al terzo anno sono state la conferma che se in questo percorso ci si affida al Signore, ne vengono fuori tante esperienze importanti per la nostra crescita e della nostra comunità.
Le tre parole fondamentali sono giovani, vangelo, lavoro: uniti dalla speranza e dalla gioia di essere animatori. Non è un caso che è necessario che gli animatori siano giovani: solo chi vive questa età può conoscere i dubbi, le problematiche che spesso ostruiscono il cammino verso la piena realizzazione.
L’animatore è accompagnato per accompagnare: questo è il motto del Progetto Policoro 2025. La formazione obbligatoria consiste in corsi diocesani, regionali, nazionali, in presenza e online e un campo estivo. Le materie da approfondire sono: Vangelo e dignità del lavoro, Dottrina sociale della Chiesa, normative su lavoro e imprenditorialità, progettazione e sviluppo locale, animazione e reciprocità tra i territori. Ogni anno viene scelto un “testimone di speranza” a cui attingere per il valore della sua testimonianza; quest’anno la scelta è caduta su don Tonino Bello, vescovo umile che fece realizzare il suo pastorale con il legno d’ulivo della sua terra e che si occupò, fino alla fine dei suoi giorni, dei meno fortunati, infondeva fiducia a tutti coloro che sognavano un riscatto per la terra del sud.