Una attenta pagina di storia locale, ricercata e dettagliata dallo storico Armando Pepe, per tornare a parlare della presenza salesiana a Piedimonte, ma con nuovi ed interessanti particolari a partire dalla dalla figura di un protagonista e anticipatore di ogni progetto: il vescovo Antonio Scotti, pastore della Diocesi di Alife dal 1886 al 1898, che inviò direttamente a don Bosco la richiesta di avviare in città un’opera salesiana consapevole del valore educativo e sociale che essa avrebbe rappresentato per la comunità.

di Armando Pepe
Monsignor Antonio Scotti
Nacque l’11 dicembre 1837 a Napoli da famiglia della media borghesia. Dopo aver compiuto gli studi nel seminario diocesano, il 18 agosto 1861 fu ordinato sacerdote. Il 25 settembre 1882, per volontà di papa Leone XIII, divenne vescovo ausiliario dell’arcidiocesi di Benevento, retta da monsignor Camillo Siciliano di Rende (nominato cardinale all’età di quarant’anni). Il 15 gennaio 1886 fu trasferito alla guida della diocesi di Alife, iniziando un ministero pastorale abbastanza lungo e travagliato. Secondo un’autorevole testimonianza, monsignor Scotti: «All’ingegno distinto accoppia cultura estesa, e lodevole tanto nei rapporti politici che morali è stata ed è la di lui condotta privata e pubblica. Anzi, si vuole che in fatto di politica le sue idee siano piuttosto liberali o per lo meno non ostili all’attuale ordine di cose, al quale la sua famiglia non può fare a meno di essere affezionata, coprendo i fratelli cariche nell’Esercito e nella Reale Marina». I primi anni di episcopato furono illuminati da una fattiva semplicità di modi e d’eloquio e famosi erano i suoi sermoni, che richiamavano fedeli da tutta la diocesi. Fece venire stabilmente in seminario a Piedimonte i missionari della Sacra Famiglia, un ordine religioso fondato per consentire a coloro che intendevano accedere al sacerdozio, ma ne erano impossibilitati per motivi economici, di seguire la loro vocazione. Fervido apostolo della devozione mariana, partecipò, ogni anno e finché potette, all’incoronazione dell’Immacolata Concezione. Nella chiesa di San Domenico in Piedimonte amò insegnare il catechismo ai fanciulli. Tuttavia, fosche nubi si addensarono sull’episcopato di monsignor Scotti. Nel 1890 il prefetto e il provveditore agli studi di Terra di Lavoro, in seguito ad alcune segnalazioni intorno al comportamento non cristallino del rettore del seminario piedimontese, promossero un’inchiesta, invitando le autorità locali a vigilare assiduamente sull’educazione impartita ai seminaristi. In un’altra inchiesta coeva il sottoprefetto di Piedimonte riferì al procuratore generale della corte d’appello di Napoli: «Purtroppo è vero che Monsignor Antonio Scotti, tanto nei rapporti col proprio Clero, che con egregie persone del luogo e rivestite anche di pubbliche cariche, usi un tale contegno da alienare da sé ogni sentimento di deferenza e simpatia. I fatti intanto declinati, per quanto deplorevoli, non sono però di natura che la giustizia avesse entro a che vederci; essi piuttosto rivelano in Monsignor Scotti mancanza di tatto prudente e di civili convenienze, e meno malanimo che melanconie ed abitudini da misantropo». Monsignor Scotti avanzò allora replicate istanze alla Santa Sede per essere esonerato dal governo della diocesi e la Santa Sede, avendo trovato giusti i motivi addotti, non potette non accontentarlo e con Rescritto Pontificio del 28 luglio 1893, lasciategli le temporalità e il titolo di vescovo di Alife, affidò l’amministrazione apostolica della diocesi all’arcivescovo metropolita beneventano, il cardinale Siciliano di Rende, il quale inviò a Piedimonte il proprio vicario generale monsignor Vincenzo Lopes. Dal mese di ottobre 1893 monsignor Scotti abbandonò la residenza episcopale e si ritirò temporaneamente a Pietramelara, ove affrontò un momento non facile, gravato da impellenti difficoltà economiche, tanto che il 9 marzo 1894 gli furono pignorati i mobili di casa per un debito di cinquemila lire. Il 24 marzo 1898, obbedendo a papa Leone XIII, rinunziò al titolo di vescovo di Alife e d’allora in poi sopravvisse percependo metà della rendita della mensa episcopale. Mori il 12 giugno 1922 a Torre del Greco.
La richiesta di Monsignor Scotti a Don Bosco
Nel 1886, giunse a don Bosco una richiesta formale di fondazione proveniente dalla cittadina di Piedimonte d’Alife, situata nell’odierna provincia di Caserta. L’istanza fu avanzata da monsignor Antonio Scotti, il quale, consapevole dell’importante opera educativa e pastorale svolta dai Salesiani, si rivolse al fondatore della congregazione per ottenere il suo sostegno. In particolare, monsignor Scotti sollecitò l’intervento dei Salesiani nella gestione del seminario diocesano, affinché potessero contribuire alla formazione dei futuri sacerdoti. Inoltre, chiese l’aiuto della congregazione per l’apertura di un convitto destinato ad accogliere e istruire giovani provenienti da contesti di povertà, un’iniziativa che intendeva realizzare all’interno dell’episcopio stesso. Tale richiesta si inseriva in un più ampio disegno di promozione della cultura e dell’educazione cristiana nella diocesi, con l’obiettivo di offrire opportunità concrete a ragazzi svantaggiati e, al contempo, garantire una solida preparazione al clero locale.
«Reverendissimo D. Bosco, avendo appreso da cattolici periodici il gran bene che ovunque operano i suoi preti Salesiani, mi è nato il vivo desiderio di far godere della loro preziosa opera questa mia Diocesi di Alife, che difetta sensibilmente di Sacerdoti. Ad essi vorrei affidare la direzione del Seminario, non che l’istruzione della gioventù, come ancora del Convitto che sono costretto aprire fra breve nell’Episcopio, appunto per aiutare tanti buoni giovani che privi di beni di fortuna non possono essere ammessi in Seminario. Mi rivolgo perciò a V. S. e la prego caldamente in nome di Gesù Cristo a significarmi di quanti Sacerdoti potrà l’uopo disporre ed a quali condizioni, e se nel prossimo venturo Novembre potrà almeno mandarmene due che giudico necessari al Convitto. Fidato nella sua ben nota carità sono sicuro che le mie preghiere saranno da V. S. benignamente accolte, sperando così di vedere, la mercé di Dio, attuata una mia idea distinta da Dante la fondazione di una casa di Salesiani in questa Diocesi. In attenzione di un suo favorevole riscontro la prego accogliere i miei distinti ed affettuosi ossequi».
Don Celestino Durando, illustre sacerdote salesiano e figura di spicco all’interno della congregazione fondata da San Giovanni Bosco, ricevette la richiesta avanzata da monsignor Antonio Scotti riguardante l’invio di Salesiani a Piedimonte d’Alife per la gestione del seminario e la fondazione di un convitto per giovani poveri. Tuttavia, dopo attenta valutazione, Durando si vide costretto a esprimere un parere negativo, probabilmente a causa delle difficoltà legate alla disponibilità di personale religioso o alla necessità di rispondere ad altre urgenze apostoliche. Don Celestino Durando, nato nel 1826 e appartenente alla Società Salesiana, si era distinto per il suo zelo pastorale e per la sua adesione ai principi educativi promossi da don Bosco, basati sul sistema preventivo e sulla formazione morale e intellettuale della gioventù. Nella sua missione, Durando ricoprì incarichi di grande responsabilità, contribuendo alla diffusione dell’opera salesiana e alla crescita delle comunità educative fondate sulla spiritualità di San Francesco di Sales.
L’intermediazione di Don Celestino Durando
Nonostante il rifiuto iniziale, monsignor Antonio Scotti non si lasciò scoraggiare e, con la determinazione di chi crede profondamente nella propria causa, decise di rinnovare il suo appello. Nel mese di ottobre dello stesso anno, Scotti scrisse nuovamente a don Durando, questa volta limitando la sua richiesta alla presenza di almeno alcuni Salesiani che potessero occuparsi esclusivamente della gestione del convitto. Conscio delle difficoltà incontrate dal clero locale nel garantire una formazione adeguata ai giovani bisognosi, il vescovo reiterò il suo invito con maggiore insistenza, nella speranza che la congregazione potesse rivedere la propria decisione e accettare, se non integralmente, almeno parzialmente, la proposta di collaborazione per il bene della diocesi e della gioventù più svantaggiata.
«Stimatissimo D. Celestino, le ragioni da lei addotte nel gentilissimo foglio datato 25 p. p. Settembre mi hanno a primo aspetto fatto deporre ogni pensiero di riscriverle per abusar della sua esimia bontà. Però l’insegnamento del divino Maestro, che bisogna picchiare fino a tanto che l’uscio si apra, mi s’è affacciato ben tosto al pensiero, e mi ha inanimato a segno che più caldamente le rinnovo le mie preghiere nella certezza di vedere questa fiata accolte. Egli è pur vero che la mancanza di personale disponibile, come ella dice, la pone sull’impossibilità di favorire per ora la mia domanda. Ma è indubitato altresì, che se non l’è possibile favorirla in tutto, è possibile favorirla almeno in parte. Tutti gli individui necessari all’opere indicate io l’ultima mia comprendo bene che sia malagevole inviarmi; mi limito perciò a chiedergliene uno solo, che sarà come il granello di senape, il quale a tempo opportuno germoglierà e produrrà copiosissimi frutti. E la ragione di sì ardente mio desiderio si è che nominato che sarò ai prossimi bandi del R.mo D. Bosco Cooperatore Salesiano, amo esserlo veramente; e siccome sono obbligato, avendolo già promesso in un discorso, aprire al più presto nell’Episcopio un Convitto per i chierici poveri, e non ho un soggetto idoneo, così sono venuto nella determinazione di affidare la direzione ad un figlio di S. Francesco di Sales perché ne infonda lo spirito nel cuore della gioventù specialmente ecclesiastica. In tal modo vedrò iniziata un’opera da me bramata, che prima di volare agli eterni riposi spero voglia Iddio benedetto rendere duratura in questa Diocesi a vantaggio della Chiesa e della società. La prego pertanto in nome di Gesù Cristo e di S. Francesco a non negarmi questa carità, s’interessi della posizione di un povero Vescovo che non ha di chi fidarsi in questi tempi malaugurati, né individui capaci di educare la gioventù. Attendo dal suo cuore generoso una risposta favorevole, ed io anticipandogliene le più sentite grazie la ossequio affettuosamente».
La realizzazione di un sogno
Nonostante la risposta negativa ricevuta da monsignor Antonio Scotti, che determinò l’interruzione della corrispondenza con i Salesiani, l’interesse per la presenza della congregazione a Piedimonte d’Alife non venne meno. Nei decenni successivi, infatti, continuarono a giungere nuove proposte volte a promuovere l’insediamento stabile della comunità salesiana nella cittadina campana, segno della persistente fiducia nelle loro capacità educative e nella loro missione pastorale. Un primo tentativo si registrò nel 1919, quando monsignor Felice Del Sordo, sensibile alle esigenze formative della gioventù locale, avanzò l’idea di fondare una scuola di arti e mestieri, in linea con il carisma salesiano, che da sempre si distingueva per l’attenzione all’istruzione tecnica e professionale dei giovani meno abbienti. Parallelamente, il canonico Fortunato Fonseca, desideroso di contribuire alla crescita morale e sociale della comunità, espresse l’intenzione di destinare i propri beni ai Salesiani, ponendo però come condizione imprescindibile la creazione di un’opera stabile nella città.

L’interesse per la presenza salesiana si rinnovò nel 1926, quando la madre superiore delle Benedettine del Santissimo Sacramento, durante una visita al monastero di Piedimonte d’Alife, rilanciò la proposta già formulata da monsignor Del Sordo, confermando così il desiderio condiviso da diversi esponenti del clero locale di vedere realizzata un’opera educativa salesiana. Fu solo nel 1939 che si registrò un passo concreto in questa direzione: il Capitolo Superiore della Congregazione Salesiana, dopo un’attenta valutazione, espresse un orientamento favorevole e autorizzò l’ispettore salesiano ad avviare le trattative con monsignor Amilcare Sarno, il quale si dichiarò disposto a mettere a disposizione i beni lasciati in eredità dal canonico Fonseca. Tuttavia, nonostante questo importante sviluppo, la realizzazione effettiva di una presenza salesiana a Piedimonte d’Alife richiese ancora molti anni di attesa. Fu infatti soltanto nel 1954, grazie anche all’interessamento del senatore Giovanni Caso, che i Salesiani riuscirono finalmente a concretizzare il progetto a lungo auspicato, fondando una casa salesiana nella città. Con questo insediamento, essi assunsero la direzione dell’Opera Sociale Don Bosco, dando così vita a una presenza stabile e operativa che avrebbe segnato profondamente il tessuto educativo e religioso della comunità locale.
Fonti, bibliografia e sitografia
Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione Generale degli Affari di Culto, busta 58, fascicolo 14 «Vescovi Alife Piedimonte».
Francesco Casella, Il Mezzogiorno d’Italia e le istituzioni educative salesiane. Richieste e fondazioni (1879-1922). Fonti per lo studio, LAS, Roma 2000, pp. 117-118.
Dante Marrocco, Il vescovato alifano nel Medio Volturno, ASMV, Piedimonte Matese 1979, pp. 59-60.
https://www.storiadellacampania.it/tra-speranza-impegno-e-carita-giovanni-caso-don-zeno-saltini