Alessandro Di Medio – È passato poco più di un mese da quando Leone XIV si è affacciato da quel balcone, e sin dall’inizio la folla per lo più ignara di chi fosse questo Papa americano ha potuto apprezzare le sfumature della sua personalità che sono trapelate nelle varie occasioni iper-esposte mediaticamente – perché ormai è chiaro: più andiamo avanti, più il Papa sarà “socializzato” in tempo reale, e i suoi gesti, dai più quotidiani a quelli più solenni, passando per un continuo ripescaggio di episodi precedenti alla sua elezione, saranno continuo oggetto di articoli, reel, meme devoti, citazioni, ecc. Questa è l’epoca, questa la situazione, e Leone, che pure rispetto al suo predecessore sembra più refrattario ai selfie, deve suo malgrado accondiscendere… e lo sta facendo benissimo.
Permettersi di mostrarsi commosso è infatti un segno di forza interiore, ed è espressione di un uomo che vive serenamente le proprie emozioni: Leone si commuove quando, appena eletto, vede l’oceanico popolo di Dio che lo acclama e lo riconosce come padre, si commuove quando rimira l’anello piscatorio, segno questo di una connessione poetica ai simboli e al loro significato, e si è commosso oggi, all’udienza da lui voluta con i sacerdoti che prestano il loro servizio nella Diocesi di Roma, quando noi preti non la finivamo più di applaudire, dandogli un sentito benvenuto.
D’altro canto, questa forza interiore, che gli permette la disinvoltura nel far trapelare l’emozione, si radica in quanto egli stesso ha detto sin dall’inizio: il suo desiderio di scomparire, perché appaia sempre di più Cristo. La sua è la forza motivazionale di chi sa di essere il vaso di un Altro, che Leone permette di incontrare, di contattare, di toccare attraverso il suo darsi, il farsi baciare e abbracciare attraversando selve di mani protese. Emblematico il suo gesto, garbato e dolce, che tutti abbiamo notato, alla Messa di presa di possesso di San Giovanni, quando sorridendo si è chinato verso una bambina in fila con altri per salutarlo, così che lei potesse più agevolmente baciargli l’anello. Consapevolezza del simbolo, e dolcezza: ecco le due caratteristiche che connotano l’incedere di Leone nei primi passi del suo ministero, per il quale ci vuole sì il coraggio del leone, coniugato però al cuore di un padre.
Che bello per noi preti, oggi, sentirci guardati con simpatia dal nostro Vescovo che, dopo l’interminabile applauso che gli abbiamo dedicato, ha ritenuto di dover esordire invitandoci ad applaudire a noi (a noi?!), per il nostro servizio.
Simpatia che non è mero sentimentalismo di circostanza, ma che dice piuttosto un desiderio di essere corpo di comunione con il suo presbiterio, e proprio di questo ci ha parlato all’inizio: “La prima nota, che mi sta particolarmente a cuore, è quella dell’unità e della comunione.” Tema inaugurale e programmatico, fondato sulla sua storia spirituale di agostiniano: “Sono un figlio di Sant’Agostino, agostiniano, che ha detto: ‘Con voi sono cristiano e per voi vescovo’. In questo senso possiamo tutti camminare insieme verso quella patria che Dio ci ha preparato”, aveva detto appena uscito incontro al mondo in quel pomeriggio dell’8 maggio.
Più volte oggi l’ha ribadito: “Io vorrei aiutarvi, camminare con voi”, “vi assicuro la mia vicinanza, il mio affetto e la mia disponibilità a camminare con voi.” Camminare insieme è l’immagine più essenziale della Chiesa pellegrina sulla terra, del popolo di Dio in cui l’atomizzazione soggettivista deve essere ogni giorno di nuovo sconfitta dall’amore, dal porre il baricentro non in se stessi e nel proprio protagonismo, ma nell’unità che supera ognuno perché include tutti.
E in questa unità, da credere, volere e riconoscere, anche noi possiamo riacquisire quel coraggio profetico oggi più che mai necessario: “Il Signore ha voluto proprio noi in questo tempo pieno di sfide che, a volte, ci appaiono più grandi delle nostre forze. Queste sfide siamo chiamati ad abbracciarle, a interpretarle evangelicamente, a viverle come occasioni di testimonianza. Non scappiamo di fronte ad esse!”
Possiamo abbattere il muro di “un clima culturale che favorisce l’isolamento o l’autoreferenzialità” perché sappiamo che c’è uno, vicario di un Altro, che fa il tifo per noi e per le nostre lotte quotidiane. Leone, con il suo sorriso gentile e la serena fermezza dei gesti e dei simboli, ci invoglia e ci invita ad avere anche noi un cuor di leone e, con fierezza e dolcezza, a far avanzare di un altro passo l’umanità verso il Regno di Dio.
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