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San Potito Sannitico. I tableaux vivants nella Festa di Sant’Antonio, il dramma popolare tra sacro e arte

Lo spazio urbano fa da scena a 4 miracoli del Santo: il silenzio e i gesti cristallizzati si caricano di spiritualità. Dalla collaborazione tra Parrocchia, Comitato festeggiamenti e Comune

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San Potito Sannitico, Festa di Sant’Antonio di Padova. Il tableau vivant raffigurante “il neonato che parla”, l’ultimo in ordine di rappresentazione

Fabio Brandi – Durante le celebrazioni della Festa di Sant’Antonio di Padova, la tradizionale processione che attraversa le vie del paese si è arricchita di una dimensione visiva e teatrale: la rappresentazione dei Miracoli del Santo, attraverso tableaux vivants che, in quattro stazioni, hanno restituito celebri episodi della tradizione agiografica antoniana. 

 L’arte che ispira le scene 
I quattro miracoli rappresentati sono stati nell’ordine della loro rappresentazione: Il piede riattaccato, La distribuzione del pane, Il cuore dell’avaro e Il neonato che parla. I dipinti assunti a modello sono stati, rispettivamente, Il Miracolo del piede risanato, affresco di Tiziano Vecellio, databile al 1511, parte del ciclo dei Miracoli di sant’Antonio da Padova nella Scuola del Santo a Padova; il dipinto Saint Anthony of Padua distributing Bread di Willem van Herp the Elder, conservato alla National Gallery di Londra, databile presumibilmente agli anni Sessanta del XVII secolo. E per gli ultimi due, di nuovo scene affrescate per il ciclo padovano.
Ciascun miracolo, più che una mera trasposizione del dipinto assunto come modello, ha visto la messa in scena nel naturale ambiente urbano, preferito ad una posticcia scenografia, peraltro di complessa riproduzione. Il silenzio, protagonista in una tale esperienza di osservazione dell’attimo che si eterna nel gesto cristallizzato, ha caricato di significato le voci delle narratrici che, di ciascun miracolo, hanno illustrato il significato spirituale e il valore di attualità. Ogni stazione è diventata una soglia narrativa: il miracolo non è solo un fatto del passato, ma una possibilità del presente, in quanto evento simbolico.

 Il coinvolgimento emotivo nel linguaggio dei tableaux vivants 
Questa particolare forma di drammatizzazione popolare, a metà strada tra il sacro e il performativo, offre non solo un’occasione di contemplazione per i fedeli, ma anche un’esperienza che coinvolge emotivamente la comunità, portando il racconto dei miracoli in una dimensione pubblica e condivisa. La connotazione teatrale del mistero sacro, come è notorio, ha da sempre trovato pieno sviluppo con i riti della settimana santa perché il racconto della passione di Cristo ha da sempre fornito temi per una sua visualizzazione nelle forme del teatro. Un’altra forma di rivisitazione del racconto evangelico è rappresentato dalle numerose esperienze dei “presepi viventi”.

Il tableau vivant attua una stessa umanizzazione della narrazione sacra, ma assume come modello non direttamente i racconti ma le rappresentazioni di arte visiva, e la pittura in particolar modo. La narrazione del fatto evangelico o agiografico, quindi, è mediata da altre forme d’arte.  Uno dei momenti più significativi di questa manifestazione artistica si data alla seconda metà del XIX secolo, nell’Inghilterra vittoriana e nelle sperimentazioni che hanno accompagnato il nuovo medium fotografico nella ricerca dello status di arte.

 Valore educativo che supera il “quadro catechistico” 
Si possono scorgere diversi contesti in cui il tableau vivant ha trovato applicazione: nelle accademie artistiche per finalità formative, nei salotti borghesi come forma di passatempo colto, e nei contesti popolari. È, quest’ultimo, l’ambito che suscita in noi le maggiori suggestioni. All’analisi dell’accuratezza della rappresentazione e della gestualità, e lo studio sulle scelte luministiche – aspetti di appannaggio delle forme più colte – si associa una funzione devozionale, o meglio la riassunzione dell’evento sacro nella dimensione della concretezza dell’esperienza umana. Un’esperienza che è fatta di sofferenza e senso di colpa per un gesto socialmente deprecabile contro la propria madre, la rappresentazione dei sentimenti più bassi – l’avarizia, la sfiducia e il tradimento – o il desiderio di raggiungere quel pane che è, sì, richiesta di nutrimento ma forse anche speranza di redenzione. Eventi che parlano di relazioni spezzate, di madri e figli, di povertà e fede quotidiana.

Assumendo tale prospettiva, si supera il concetto di quadro catechistico, che postula un ammaestramento dall’alto, e il tableau vivant risponde ad un’esigenza che nasce dal basso, sempre perdurante nella religiosità popolare: la necessità di trasporre la narrazione sacra, e miracolistica nella fattispecie, in un tempo quotidiano fatto di attese, speranze, aspirazioni. La staticità teatrale, il corpo bloccato in gesti talora emotivamente contenuti talaltra caricati espressivamente, induce uno stato di meditazione nei riguardanti. E, forse, anche in una sorta di identificazione collettiva, nel segno della scoperta di me, riguardante, “nel pellegrino della vita che tende il cappello in una richiesta di attenzione”. Ed è proprio il gesto bloccato che invita alla identificazione.

 Recuperare il senso dell’attesa e dell’ascolto 
Aver contribuito a preparare tale manifestazione ha fornito l’occasione di far notare agli attori la peculiarità degli abiti presenti nei vari dipinti e affreschi, la concentrazione sul gesto comunicativo e dell’organizzazione ritmica delle figure in una rappresentazione artistica. Ha significato, quindi, coinvolgere la comunità locale, che è dentro la scena o partecipe del rito comunicativo.

Il nostro presente è dominato da immagini che rappresentano, oggi come mai nelle epoche del passato, la forma di comunicazione maggiormente pervasiva. Conosciamo il nostro presente attraverso immagini che scorrono veloci come flussi da consumare in maniera solipsistica e superficiale. Osservare un’immagine non rappresenta più creare con essa una dimensione relazionale, abitarla.

Soffermarsi ad osservare un corpo in posa, immobile ma portatore di un significato, può rappresentare l’occasione per recuperare uno spazio interiore di contemplazione, di attesa, di ascolto: la vera esperienza di cui abbiamo bisogno.

 Le collaborazioni 
Dalla collaborazione tra Parrocchia, Comitato festeggiamenti e Comune, la festa in onore di Sant’Antonio si è caricata di un significato diverso ed originale. Come segno di riconoscenza a coloro che hanno animato le scene e si sono preparati perchè i “Miracoli” del Santo potessero esprimere un messaggio, si riportano i nomi:
Tonino Pito’, Paolo D’Abbraccio, Fernando D’Allestro, Lucio Di Lauro, Mario Merlo, Marcella Riccitelli, Ettore Golvelli,Fulvio Riccio, Marco Riccio, Amelia Tavano, Vera Sarto, Raffaella Izzo, Piergiuseppe D’Abbraccio, Carlotta Simeone, Bruno Sisto, Amelia Fantini, Raffaele Fragola, Antonietta Leggiero, Eusebio Vitelli, Bianca Riccio, Matteo Lombardi, Gianfranco Gaudio, Adele Farina, Emilia Conte, Gaetano D’Orsi, Teresa Riccio, Cinzia Brandi, Fabia Ragucci, Fiorella D’Agostino, Federico Montanaro, Antonio Riccio, Laura Feola, Michele Raucci, Francesco Mastrobuoni, Martina D’Orsi, Rosa Pascale, Concetta Isacco, Emilio Del Monaco, Alessandro Ferrazza, Mena Raviele, Silvana Lombardi, Rinaldo Santagata, Maria Marabese, Anna Conte, Vincenzo Ferrazza, Anthony Iannotta, Emanuele Gianmatteo, Walter D’Abbraccio, Concetta Isacco, Fabio Brandi, Massimo Matteo, Giovanni Gaudio.

Foto di Daniele Brandi

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