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Giubileo, il paradiso a portata di mano. In Alto casertano l’incontro con il Card. De Donatis

Sacerdoti e operatori pastorali delle Diocesi dell'Alto casertano incontrano il Card. Angelo De Donatis, Penitenziere maggiore della Penitenzieria Apostolica

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Il Cardinale Angelo De Donatis e Mons. Giacomo Cirulli, vescovo di Teano-Calvi, di Alife-Caiazzo e di Sessa Aurunca

“Nella vita non si varcano nuove porte se non si fa esperienza di rappacificazione con tutta la storia che ho vissuto fino ad oggi”. Le parole del Cardinale Angelo De Donatis ai laici delle diocesi di Teano-Calvi, di Alife-Caiazzo e di Sessa Aurunca sono invito a vivere il Giubileo della Speranza non come un elenco di precetti, riti, gesti da compiere ma come esperienza di cambiamento interiore, di totale immersione in Dio fin da subito, ancor prima attraversarla quella  la Porta Santa, e che quando avverrà sarà come “mettere i piedi in Cielo”.

Lunedì 16 giugno, il Cardinale, Penitenziere maggiore della Penitenzieria Apostolica ha incontrato presbiteri, diaconi e operatori pastorali per un incontro formativo sull’anno giubilare e in vista del pellegrinaggio che le Diocesi dell’Alto casertano, guidate dal Vescovo Giacomo Cirulli, vivranno il prossimo 10 settembre a Roma. I primi, li ha incontrati al mattino preso la parrocchia dei Santi Cosma e Damiano in Vairano Scalo, gli operatori hanno partecipato all’incontro nel pomeriggio, presso l’Auditorium “Mons. Tommasiello” di Teano.

Misericordia, speranza, conversione le parole che hanno accompagnato la meditazione, divenendo la traccia per comprendere il significato del Giubileo: non un evento, non una la ratifica di Dio alle buone azioni dell’uomo in un tempo eccezionale ma la scelta di “far corrispondere la nostra vita alla volontà salvifica di Dio”, ha spiegato De Donatis escludendo dal concetto comune di Giubileo le cose da fare.

Ed è in fatti la domanda “Cosa dobbiamo fare per il giubileo?” quella che comunemente pellegrini e fedeli si pongono concentrandosi su opere o segni che trovano un corrispettivo nel precedente evangelico ‘Maestro cosa devo fare per avere la vita eterna?’. Il Card. De Donatis partendo dall’evento che narra l’incontro di Gesù con un uomo desideroso di cielo, mette in guardia dal rischio di ridurre questa occasione  – il Giubileo, e quindi l’incontro con la misericordia di Dio – “ad un pellegrinaggio, ad una buona confessione, al passaggio della porta santa, come pure all’atto di fede…” , con il rischio di “mettere in fila tutte queste cose senza accorgermi che ci stiamo mettendo davanti al Signore con la pretesa di una ratifica da parte di Dio per avere la vita eterna”  e peggio ancora “costruire un cristianesimo senza Cristo, una redenzione senza il Redentore, una salvezza senza il Salvatore”. Dunque la pienezza non è subordinata ad un fare, un avere, ma a vivere in, “entrare in un’esperienza di misericordia (…) che non è una meta ma uno spazio da cui partire; si tratta non di avere ma di rimanere nella vita”. Mostra l’esempio di Maria perché “quando la mano di Dio tocca il cuore dell’uomo e l’uomo si lascia toccare (…) il paradiso diventa una realtà a portata di mano”. Da questo incontro, dal gustare la misericordia di Dio scaturisce la sequela dunque esperienza totale e totalizzante.

Parole che hanno guidato i presenti a pensarsi nel rapporto con Dio come uomini e donne di fede, ma soprattutto come comunità di credenti che condivide l’esperienza giubilare e nel farlo è rivestita della responsabilità di portare a Roma, nella preghiera,  l’intera comunità da cui si proviene “perché Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati”, così il Cardinale De Donatis citando la lettera di San Paolo Timoteo.

La misericordia, l’essere totalmente toccati da Dio, genera la  speranza. Una nuova immagine biblica, quella dei discepoli di Emmaus, è stata proposta ai presenti: alla delusione di coloro che speravano in Gesù per la liberazione di Israele si sostituisce una nuova speranza, data da una nuova abbondanza di pane: il gesto che il Signore compie nella locanda non riabilita solo la memoria dei due uomini rammaricati e sconfortati, ma conferma che la storia “è ancora ricca del pane”, ancora abbondante della presenza affidabile di Cristo

Cambio di prospettiva da parte del relatore che ponendosi dalla parte del mondo, facendosi interprete di un comune sentimento, ha posto la “perché è difficile sperare?”. “Fino a quando desideriamo costruire un futuro con le nostre mani – ha spiegato – faticheremo ad essere uomini e donne di speranza”. Ha poi aggiunto, “il pellegrino non vive senza problemi. La forza della speranza non sta nelle soluzioni alle nostre attese ma nella certezza della mano di Cristo accanto a noi, il signore non ci salva dalla morte ma ci salva nella morte”. Alla radice di questa convinzione, vi è un cammino di fede, la scelta di coltivare la relazione con Dio, di relazionarsi con lui, di sentirlo padre, di sperimentarne la presenza.

Conversione, l’ultimo passaggio che De Donatis ha proposto all’assemblea. “L’incontro con la misericordia che fa entrare nella speranza, genera conversione” ossia quel cambiamento urgente  e necessario per attraversare la porta da persone nuove, riconciliate con se stesse. “Il primo passo da compiere – l’invito del Cardinale – è forse quello di arrivarci con qualche lacrima”, sollecitando ad avere “uno sguardo di misericordia su tutta la nostra storia. Il passaggio indica un cambiamento interiore: sarò capace di leggere tutto quello che ho vissuto nella mia vita con gli occhi di Dio e avere la forza di continuare il mio pellegrinaggio sulla terra finché vorrà?”.

Parole che si fanno premessa ad una preparazione personale o comunitaria  – secondo le proposte di Diocesi e parrocchie –  a varcare la Porta Santa e pronunciare la professione di fede in Dio, nella Chiesa sulla tomba di Pietro.

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