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Commento al Vangelo domenica 6 luglio. Il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due

Commento al Vengelo della XIV domenica del Tempo ordinario - Anno C

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di Padre Gianpiero Tavolaro
Comunità Monastica di Ruviano (Clicca)

XIV domenica del Tempo ordinario
Is 66, 10-14c; Sal 65; Gal 6,14-18; Lc 10,1-12.17-20

L’evangelo è annuncio di gioia e di pace per tutto l’uomo e per ogni uomo: una gioia e una pace che vogliono afferrare l’uomo nella sua interezza e che vogliono essere “gridate” a tutti gli uomini! Sin dall’inizio del suo evangelo, Luca esprime la destinazione universale dell’annuncio di salvezza attraverso il canto degli angeli nella notte di Natale: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama». Ora, questi uomini amati dal Signore, sono tutti destinatari dell’evangelo che Gesù è venuto a portare. Per questo motivo, Luca, oltre all’invio dei Dodici (cf. 9,1-6), pone un altro invio: quello dei Settantadue discepoli. Il numero settantadue (che è sempre un multiplo di dodici) è, per la Bibbia, il numero di tutti i popoli che ci sono al mondo. Gesù, però, non si accontenta di inviare, ma indica con precisione anche il modo in cui l’inviato deve andare nel mondo: egli indica come l’inviato debba rendere credibile quell’annunzio di gioia, di pace, di umanità nuova.

Gli inviati, in primo luogo, devono sempre ricordare di essere solo dei “precursori”, uomini cioè che, come già Giovanni il Battista, precedono l’arrivo dell’unico Inviato che salva: il momento in cui gli inviati giungono presso gli uomini non è, allora, un punto di arrivo, di conclusione, ma un punto che apre a quell’ulteriore che compirà solo la venuta di Colui che deve venire. È solo Gesù che venendo compie la salvezza. Ma poi gli inviati devono sapere che c’è sempre una sproporzione tra l’immensità della messe e la pochezza degli operai, e per questo ricevono un primo imperativo: «Pregate». Chi prega sa che non tutto è “in suo potere”, che non tutto dipende dalle sue forze e afferma la sua “dipendenza” da un Altro. Non si può essere autosufficienti quando si annuncia un Regno che viene: l’autosufficiente si nutre di possesso, l’uomo del Regno è proteso verso un futuro in cui tutto gli verrà donato. Gesù, inoltre, chiede di pregare perché arrivino altri operai nella messe e questo significa che l’annunciatore del Regno dichiara di avere bisogno di fratelli, di non essere bastevole da solo a realizzare il progetto di Dio. D’altro canto, fin dal principio, Gesù aveva inviato i discepoli a due a due: due, infatti, è il numero minimo dell’amore e il Regno non può che essere annunziato da chi mostra l’amore! Annunziare l’evangelo richiede il coraggio dell’inadeguatezza: non può annunciare il Regno chi è come il mondo. Non si possono usare i mezzi del mondo per salvare il mondo e chi volesse annunciare il Regno usando i mezzi “potenti” del mondo smentirebbe il Regno, mostrando di credere più ai mezzi che al Regno veniente.

In linea con ciò, Gesù richiede anche di andare nel mondo da agnelli e non da lupi! In un mondo di lupi, in un mondo che crede alla potenza e all’efficacia della forza, il discepolo di Gesù è inviato nella debolezza, come agnello perché discepolo dell’Agnello. Il discepolo di Gesù è chiamato a credere a un amore disarmato per annunciare un amore capace di giungere fino alla croce! Bisogna, poi, andare senza borsa (non è il denaro il canale per l’evangelo), né bisaccia (l’accumulo che crea sicurezze non è via per il Regno), né sandali (chi è scalzo non può camminare con arroganza, ma deve essere umilmente cauto); bisogna andare senza perdere tempo in saluti che fermano la corsa urgente e pressante della Parola. Il discepolo di Gesù porta l’essenziale della Parola e si fida dell’essenziale, senza lasciarsi appesantire da tutto quanto potrebbe rallentare la corsa della Parola. Gesù non assicura il successo comunque e dovunque: esiste, infatti, la possibilità che la pace annunziata sia accolta, che il Regno trovi porte aperte, ma c’è anche la possibilità di un rifiuto. Il gesto di scuotere la polvere dai sandali dinanzi a chi rifiuta la pace è gesto di denuncia, non di condanna definitiva! Quella polvere scossa è gesto che vuole richiamare la gravità del rifiuto e l’urgenza dell’accoglienza della pace. Se il rifiuto non può privare i discepoli della loro gioia, questa non può dipendere nemmeno dall’accoglienza della loro predicazione. Al ritorno dalla loro missione, Gesù dice ai Settantadue: «Rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli». I discepoli possono trovare il motivo della loro gioia nel sapersi parte di un progetto di salvezza che è scritto nel cuore stesso di Dio, parte di un mondo nuovo che può cambiare la faccia dell’umanità. Il discepolo va così per le strade del mondo: diversamente la Parola del Regno non giunge ai cuori.

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