Noemi Riccitelli – “Chi salva una vita, salva il mondo intero“: così recita un verso del Talmud, la raccolta di commenti e pareri alle norme etiche, giuridiche e rituali del popolo ebraico.
Un’affermazione diventata nota anche attraverso il celeberrimo Schindler’s List di Steven Spielberg, film premio Oscar che ha raccontato l’emozionante storia di Oskar Schindler, uno dei “Giusti tra le Nazioni”, tra i non-ebrei ad agire in modo eroico a rischio della propria vita per salvare anche un solo ebreo dal genocidio nazista della Shoah.
Ebbene, cosa direbbe Schindler di fronte alla strage e al genocidio palestinese perpetrato negli ultimi due anni dal governo Netanyahu?
Se anche solo una vita vale quanto un universo ed è meritevole di dignità, ci si domanda il perché di una guerra e di un piano così efferato e clinico nella degradazione e nell’annientamento dell’esistenza umana.
Riflessioni crude e dolorose che animano i pensieri di chi guarda in sala The voice of Hind Rajab della regista tunisina Kaouther ben Hania, cui è andato il Leone d’argento nel corso dell’ultima edizione della Mostra del cinema di Venezia.
Il film è al cinema dal 25 settembre, ma la sua distribuzione ha coperto una programmazione ampia, ben oltre la singola settimana di uscita al botteghino, con la definizione di proiezioni alla presenza del cast stesso della pellicola.
Tra i produttori, nomi arcinoti della cinematografia statunitense e britannica, Brad Pitt, Joaquin Phoenix, Rooney Mara, Alfonso Cuarón e Jonathan Glazer, a sottolineare l’impegno dell’establishment artistico-culturale, già riunitosi in organizzazioni volte a denunciare il genocidio palestinese (ne abbiamo parlato qui).
29 gennaio 2024. I volontari della Mezzaluna Rossa, ricevono una chiamata di emergenza. Una bambina di sei anni è intrappolata in un’auto sotto attacco a Gaza, e implora di essere salvata.
Mentre cercano di tenerla al telefono fanno tutto il possibile per farle arrivare un’ambulanza. Il suo nome era Hind Rajab.
Molteplici film traggono la loro ispirazione da vicende realmente accadute, di cui, tuttavia, si vede sullo schermo una trasposizione, un’immagine, una proiezione della realtà.
The voice of Hind Rajab, invece, colpisce dritto al cuore e alla pancia degli spettatori, perché la regista ben Hania ha scritto la sceneggiatura a partire dall’autentica registrazione della disperata telefonata di Hind al centralino della Mezzaluna Rossa, oltre che ascoltando le testimonianze dei volontari lì presenti e della madre della bambina, Wisam Hamada.
Il titolo del film è, di fatto, l’anima della vicenda: ciò che il pubblico ascolta è la vera voce di una bambina che invoca, fino alla fine, il suo diritto alla vita. 
Impotenza, rabbia e profonda tristezza sono i soli sentimenti possibili di fronte alle sequenze che si alternano sullo schermo e alla presa di coscienza del farraginoso sistema di gestione degli aiuti presenti sul territorio occupato dall’esercito israeliano, che passa da un “via libera” all’altro: esistenze, sogni, progetti subordinati ad “sì” o un “no”.
Dal punto di vista più propriamente cinematografico, efficace l’espediente che la regista ha utilizzato per condividere il materiale audio e video originale a disposizione con la messa in scena e la recitazione degli interpreti.
Un cast raccolto, brillante nella sua performance, sincera, mai sopra le righe: Saja al-Kilani, Clara Khuri, Motaz Malhees e ‘Amir Hulayhil hanno recitato le loro battute ascoltando la registrazione di Hind direttamente all’auricolare senza averla mai sentita prima, così che la regista potesse filmare le loro genuine reazioni.
The voice of Hind Rajab è, senza dubbio, il titolo dell’anno, se consideriamo l’esperienza civile e politica che anche il cinema può rappresentare.
Le parole di Kaouther ben Hania sono la più giusta conclusione a questo commento: “(…) il cinema può preservare un ricordo. Il cinema può resistere all’amnesia. Che la voce di Hind Rajab possa essere ascoltata.”


















