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Dante Cappello. Ascesa di un leader rimasto sempre sulla breccia

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Dagli anni Cinquanta a Tangentopoli. Con lui tramonta un pezzo della storia politica locale

Lo avevamo visto, l’ultima volta, il pomeriggio del 7 maggio scorso, accompagnato a Piedimonte Matese dopo la schiacciante vittoria elettorale del nipote, Vincenzo, rieletto sindaco della Città. La scorsa notte, Dante Cappello ci ha lasciato e con lui tramonta una lunga stagione politica, vissuta ai tempi delle ideologie, delle forti contrapposizioni, della dialettica appassionata, sia al Parlamento che nelle aule consiliari dei Comuni. Un’epoca in cui, anche qui in Alto Casertano e fra i comuni del Matese, il grande rassemblement dei moderati e dei cattolici vide nello scudocrociato della Dc il vessillo in cui riconoscersi, dagli anni Cinquanta fino a Tangentopoli.
La maggior parte di questi anni videro Dante Cappello crescere a dismisura nel suo ruolo di guida e di leader sul territorio. Ci sarebbero da scrivere e da raccontare, in un libro, un’infinità di aneddotti sulla vita e sull’impegno politico del personaggio. E non è escluso che, un giorno o l’altro, il profilo “dell’onorevole” possa ispirare il titolo di una sua biografia postuma. Un leader, senza dubbio. Amato e al tempo stesso odiato. Venerato e al tempo stesso osteggiato, accusato, combattuto. Ma lui, Dante Cappello, figlio di Vincenzo, già sindaco di Piedimonte, la politica la volle, l’abbracciò, la conquistò, la sedusse. E, di riflesso, ne fu sedotto, conquistato, abbracciato, voluto, sin dai tempi della giovinezza, fino all’ultimo giorno della sua vita. Tramonta un’epoca, oggi, e la riflessione è d’obbligo, qui fra i comuni dell’Alto Casertano e del Matese, più che altrove. Con Dante Cappello va via l’ultima figura del politico di riferimento, dotato di quello spessore in grado di incarnare e rappresentare le ambizioni, le istanze, le esigenze, le giuste rivendicazioni di un territorio ampio, articolato, complesso come il Matese, dove egli immaginò un suo modello di sviluppo, lontano dai grossi centri, ma collegato alla città, non sul piano della viabilità e dei trasporti, ma lungo la possente direttrice del potere democristiano, che aveva un ponte ideale fra il Matese, appunto, e il resto della provincia e della regione. L’ospedale civile, le scuole, gli uffici territoriali, la Comunità Montana, il Consorzio di Bonifica.
Un’azione incessante che, in parallelo, portò alla nascita di una piccola rete commerciale e imprenditoriale, mantenutasi fino ad oggi, seppure fra immani difficoltà, in particolar modo tra Piedimonte Matese e Alife. Il suo nome, la cui storia oggi è al capolinea, segue di diversi lustri quelli, altrettanto altisonanti,  di Giovanni Caso e Giacinto Bosco e, prima ancora, di Angelo Scorciarini Coppola e Beniamino Caso. Non un paragone, che a molti potrà sembrare irriverente, ma un’impostazione dell’impegno politico assolutamente differente, eppure ugualmente pregnante, continuativa, forte, onnipresente. Dante Cappello è senz’altro l’ultimo uomo politico che, almeno di qui ai prossimi 30 anni, lascerà il proprio nome associato ad una leadership consolidata e incontrastata. Non ve ne sono altri, al momento, in grado di eguagliarne il peso politico, la lungimiranza, lo spessore di un potere ramificato, capillare, articolato. Figura di spicco della Dc,  continuò a reggere le sorti della Margherita, per passare, infine, il testimone al nipote Vincenzo, lanciandolo nel 2007 nell’agone politico cittadino, a Piedimonte Matese. Un ictus, subito dopo, minò parzialmente la sua prorompente personalità, ma la politica non lo abbandonò e lui non abbandonò la politica. Un rapporto simbiotico, quotidiano. Un leader, Cappello, mai tramontato. Nemmeno quando il burrascoso passaggio dalla Prima  alla Seconda Repubblica cambiò radicalmente gli equilibri delle forze in campo anche sul Matese e nel suo comune capoluogo, Piedimonte. Il figlio, Enzo, fu sconfitto alle Politiche del 1994 dal progressista Pasquale La Cerra. Ma lui, Dante, gli impose di andare avanti, nonostante la corrente del fiume, oramai, fosse contraria, nonostante le inchieste giudiziarie, poi conclusesi senza alcuna condanna, avessero coinvolto entrambi, quando infuriava il ciclone di Tangentopoli.
Tre anni dopo, nel 1997, fu la volta di un sofferto sostegno indiretto all’ascesa di un’altra figura che si affacciava nell’agone politico, quella di Carlo Sarro, rimasto alla guida della Città per i successivi dieci anni. Una scelta che né lui né lo stesso Sarro vollero esplicitamente, ma che, quasi giocoforza, si autodeterminò. E infatti la rottura, fra i due, non tardò a consumarsi.  Ma lui, il vecchio leader inossidabile, rimase sulla breccia, persino quando la sua corrente, nella Margherita, restò in minoranza nel 2005, quando in tutti gli enti sovracomunali i suoi uomini restarono fuori dalle giunte e dai consigli di amministrazione, estromessi dall’accordo bipartisan partorito, in massima parte, dall’alleanza spuria fra Gianluigi Santillo e Achille Natalizio.  Finché, nel 2007, il nipote Vincenzo riportò il cognome dei Cappello al Comune di Piedimonte Matese, assumendo il compito di scrivere un nuovo pezzo di storia.  Resta da capire quanta strada, oggi, questa fetta importante della provincia di Caserta riuscirà ancora a percorrere, senza grandi leader di riferimento. Senza figure carismatiche di lungo corso. Una storia ancora tutta da scrivere. L’ultima pietra miliare della politica matesina viene posta oggi lungo il percorso della storia.  In attesa di una nuova, improbabile leadership, che sia longeva, quanto meno, la metà di quella incarnata dal capostipite dei Cappello. Cominciata sulle due ruote di una militante e arzilla bicicletta. Terminata sulle due ruote di una sonnolenta carrozzella.  Nel mezzo, i suoi oltre sessant’anni di impegno politico. Ricchi di successi elettorali, come di plateali errori. Tutto il resto, è Storia.

Gianfrancesco D’Andrea

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