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Lo Spirito e La Sposa

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A cura di don Andrea De Vico
Anno C – Pentecoste (con riferimento all’Apocalisse della VII Domenica). (Ap 22, 16-21)

“Lo Spirito e la Sposa dicono: «Vieni!» E chi ascolta ripeta: «Vieni!»… Colui che attesta queste cose dice: «Sì, vengo presto!»” Amen. Vieni, Signore Gesù!” (Ap 22, 16-21)

Queste sono le ultime parole della Bibbia. Così termina l’Apocalisse: uno sguardo al passato con un grido proteso verso il futuro. Ci sono tre soggetti: lo Spirito, la Sposa e il Testimone. Non è difficile scoprirne l’identità. Lo Spirito è quello stesso Spirito (che noi diciamo “Santo”) che ha ispirato i primi profeti della Chiesa (Ap 19, 10); la Sposa è il titolo che l’Apocalisse attribuisce alla Chiesa, in quanto unita al Signore risorto; il Testimone (colui che attesta le cose che devono accadere) è Gesù Cristo stesso, come sappiamo fin dalle prime battute dell’Apocalisse: egli è il “il testimone fedele, il primogenito dei morti …” (Ap 1, 5)

La parolina: “Vieni” reca tutto il sapore del Cantico dei Cantici, che è un inno alla divinità dell’amore, e questo non poteva sfuggire all’Apocalisse. Nel linguaggio d’amore del Cantico, che lui e lei articolano tra sacro e profano, emerge una tensione verso Dio: è Lui che ha dato origine a queste “fiamme d’amore”. Certo, il Cantico non è mai espressamente citato nel Nuovo Testamento, ma questa attesa del Signore che viene, da parte della Chiesa-sposa, assomiglia molto alla spasmodica attesa d’amore si due innamorati. Intere generazioni di mistici lo dimostrano. Non è dunque sbagliato tracciare una linea ideale tra il Cantico e l’Apocalisse. Il Signore stesso, dicendo: “Sto alla porta e busso” (Ap 3, 20), assomiglia allo sposo del Cantico che nottetempo si presenta alla porta dell’amata (che in realtà gioca a fare la preziosa … col risultato di allontanarlo!)

L’Apocalisse dunque chiude bene, e chiude con una metafora nuziale. Gesù stesso, tante volte, aveva presentato il Regno di Dio come “una festa di nozze”. Nel nostro caso la frase si potrebbe tradurre: “La Chiesa sposa, ispirata dallo Spirito, dice a Gesù sposo: “Vieni!” Chiaro che una sposa non può stare senza lo sposo, questo è comprensibile. Così la Chiesa: non può stare senza il Cristo! Nel tempo tormentato della storia essa grida al suo Signore: “Vieni”.

Il grido liturgico primigenio, “embrione” della nostra Messa, purtroppo caduto in disuso, suonava così: “Maranathà” “Vieni, Signore”. E’ così che pregavano i primi cristiani, doveva sembrare un urlo da stadio, tanto da impressionare profondamente i seguaci dei templi pagani. L’antico grido del “Maranathà” “Signore, vieni!”, molto personale e diretto, si è stemperato in un più blando: “Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua resurrezione, nell’attesa della tua venuta”.

Fin dagli albori dunque, è questo che tiene in piedi la Chiesa: la certezza che Lui verrà. Essa è protesa in avanti, verso il ritorno del suo Signore. Questo è il motivo che riunisce i fedeli ogni domenica: per affrettare il tempo della sua venuta!

L’edificio che meglio risponde a questa aspettativa è a forma di Croce, possibilmente rivolta ad Oriente. L’antica assemblea liturgica, che si riuniva in Chiesa tra le persecuzioni e i marosi della storia, sapeva di volgere lo sguardo “al Signore che viene”, aggrappata al “legno” (nave, scialuppa) della Croce.

Il Medioevo, volendo adattare i nuovi edifici al contesto urbano, non potendo fisicamente mantenere la direzione geografica, simboleggiava l’Oriente con una grande Croce svettante sull’altare, se ne vedono ancora oggi.

In epoca barocca, in concomitanza con la nascita delle grandi monarchie nazionali, le Chiese hanno assunto un aspetto di “sala del trono” in funzione del culto dell’Eucarestia, conservata nel Tabernacolo, centro focale dell’intero edificio. Gesù eucarestia: è lui il Re a cui volgere lo sguardo!

Poi si è cominciato a dire: se il Signore dovrà venire un domani, com’è che già sta nel Tabernacolo oggi? La sua venuta gloriosa è stata messa in conflitto con la sua presenza reale nell’Eucarestia per cui, seguendo lo spirito democratico dei nostri tempi, abbiamo detronizzato i troni e trasferito i Tabernacoli nelle cappelle laterali. Gli splendidi altari addossati alle pareti, svuotati della funzione eucaristica, si sono ridotti a portaceri, portafiori, portalampade, o a sfondo prestigioso per foto e cerimonie di privati. In realtà non è sbagliato celebrare davanti al Tabernacolo, tutt’altro: questa è l’Eucarestia che viene consumata “nell’attesa della sua venuta!”

Tutti questi cambiamenti stanno a significare che l’architettura liturgica, da sola, non è in grado di orientare perfettamente la preghiera, una volta per tutte. L’edificio resta pur sempre un edificio, può essere un aiuto alla fede, può esprimere la fede, ma non coincide con la fede. La direzione stessa della preghiera non trova mai pace. Si direbbe che nel momento in cui la Chiesa, come sciocca sposa, si siede in attesa del suo sposo invece di cercarlo, viene scossa dalla posizione favorevole che pensava di avere raggiunto.

In ogni caso, che l’Assemblea si rivolga ad Oriente (antichità), o verso la Croce (medioevo), o verso il Tabernacolo (età moderna), una cosa è certa: tutti guardano in direzione del Signore che viene.

Il primo significato della parola “para-oichia”, prima di diventare l’istituzione che conosciamo noi, indicava un “abitare accanto”, rendeva l’idea di una dimora provvisoria, marginale, di passaggio, una sorta di “ostello”, “ospedaletto” per pellegrini, perché la nostra vera “oikia” (casa) è quella che ci aspetta lassù. Nell’antichità, dire “parrocchiani” e dire “pellegrini” o “forestieri”, era la stessa cosa. Guai a noi, se ci impuntiamo sulle nostre tradizioni o ci adagiamo sulle nostre preghiere! Avete mai visto una sposa che si addormenta per la strada? Non arriverà mai alla vera casa, dove l’aspetta lo Sposo!

E’ lo Spirito che mantiene la Chiesa in piedi, “nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro Signore Gesù Cristo”. E’ “lo Spirito” che mantiene questa Sposa attenta, protesa in avanti, le impedisce di adagiarsi, di diventare una Chiesa “insediata”, sedentaria, sonnecchiante!

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