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La correzione fraterna nel vangelo di Domenica 10 settembre

Dio ha talmente cura di ciascuno, da mandare un "messaggero" a correggerci, a suggerirci.... La riflessione sulla parola di Dio della domenica a cura di don Andrea De Vico

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A cura di don Andrea De Vico 
Anno A – XXIII  per Annum (Mt 18, 15-20)

“O figlio dell’uomo, io ti ho posto come sentinella per la casa d’Israele… tu dovrai avvertirli da parte mia … (Se) tu non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta, egli morirà per la sua in iniquità, ma della sua morte io chiederò conto a te …” (Ez 33, 7-9)

“Se tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello …”

Nella storia di Ezechiele è evidente che Dio manda delle speciali “sentinelle”, i profeti, con il compito di vegliare sulle coscienze, di avvertire quelli che si perdono su sentieri di morte, di sanare i rapporti tra le persone: “li avvertirai da parte mia …” Rimproverare la condotta del malvagio, o ammonire il fratello che sbaglia, fa parte del ruolo profetico: essere sentinella delle coscienze!

Questa grave responsabilità non si limita solo ai tempi passati, o alle guide ufficiali della comunità, preti, educatori e governanti. La cosa riguarda ciascuno di noi, diretto responsabile della salvezza del prossimo. Che razza di uomo è, uno che vede il pericolo e si mette in salvo per i fatti suoi? Non c’è cosa al mondo nella quale non siamo tutti coinvolti. Premi un bottone a Londra e si accendono le luci a Sydney; battono le ali di una farfalla a Hong Kong e succede un disastro a New York. Dice il poeta: “tocchi un fiore, tremano le stelle”. Tutto è collegato, il mondo è uno, l’umanità è una, nessuno può sentirsi dispensato nei confronti dell’altro.

Eppure c’è la tentazione di chiudere gli occhi, di soprassedere, di girarsi dall’altra parte. Non è meglio che ognuno se ne stia per i fatti suoi? Perché “avvertire il malvagio” o riprendere chi sbaglia? Chi è che dice ciò che è giusto e ciò che è sbagliato? “E chi sono io per giudicare?” Questa è la frase più famosa di Papa Francesco, potrebbe diventare l’emblema di un’epoca, non perché l’abbia detta il Papa (che pure dice cose ben più importanti), ma perché in tanti se la sono girata a sproposito, usandola come prestigioso avallo di scelte sessuali riprovevoli. Se non mi giudica il Papa, tu che diritto hai d’immischiarti?

Il fratello che sbaglia rappresenta un delicatissimo problema di coscienza. Che fare? Tacere, col rischio che si perda, o parlare, a costo di metterselo contro? Portiamo l’esempio di una donna che ammicca al miglior amico di suo marito. Per i suoi sentimenti di lealtà, il terzo attore si crede in dovere di avvertire l’amico. E la donna, per tutta risposta, si vendica del rifiuto, dicendo al marito di essere stata disturbata dal suo miglior amico. In realtà, con questa classica reazione, la donna sta esprimendo al marito tutto il disprezzo che prova per lui, e lo fa in termini indiretti: “vedi che razza di amici ti fai”. Così, quella che era stata una bella amicizia, viene irrimediabilmente compromessa. Sciocca lei, salocco il marito che le ha creduto, e coglione quell’altro che glielo è andato a dire. In casi del genere è inutile mettersi a spiegare, o a fare la correzione fraterna. Se vuoi salvare l’amicizia, è meglio che ti ritiri in tempo e a gambe levate, se necessario.

Nella correzione fraterna bisogna usare più prudenza delle malizie di un gioco femminile. Ci vuole la rara qualità della maturità interiore: solo chi è disponibile a farsi correggere sarà anche in grado di correggere gli altri. Non solo il dovere di correggere, ma anche quello di farsi correggere. Quando una persona accetta la correzione e dice: “grazie”, merita tutto il rispetto del mondo! Cosa triste invece, quando la persona rimane talmente sulle sue che non le si può dire più niente!

La correzione fraterna non è per rinfacciare i torti con un antipatico: “te l’avevo detto, io!” Se sono mosso da questo, io entrerò in polemica con il fratello, che si metterà a difendere il suo errore, e io, invece di emendarlo, finirò per renderlo peggiore, offrendogli un pessimo servizio.

Scopo della correzione è quello di “guadagnare” il fratello, far in modo che lui ritrovi la “sua” strada, quella che il Signore gli ha messo davanti, non quella che dico io. Parlando a tu per tu, quella che sembrava una colpa, o una scelta buona, nelle intenzioni di chi l’ha fatta non lo era, per cui la franchezza di una spiegazione scioglie ogni malinteso.

Nessuna prepotenza, dunque, nessuna forza deve essere usata verso la persona che sbaglia. Il Vangelo avanza cinque ipotesi: “se” commetterà, “se” ti ascolterà, “se” non ti ascolterà, “se” non ascolterà costoro, “se” non ascolterà neanche la comunità. Nulla deve essere lasciato di intentato. Solo quando tutti i tentativi sono risultati vani, persino Gesù ci autorizza a trattare il fratello come se fosse un estraneo.

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