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Nella frazione di San Giovanni e Paolo la chiesa restituita alla Comunità

Dopo i lavori durati due anni, l'edificio sacro del 1600 torna ad essere funzionale. L'8xMille dell'Irpef che gli italiani scelgono di destinare alla Chiesa Cattolica "ritorna" ai cittadini sotto forma di finanziamento che recupera edifici sacri cari e necessari alle comunità

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Nella frazione di San Giovanni e Paolo, a Caiazzo, le campane della chiesa parrocchiale sono tornate a suonare: richiamo per la piccola Comunità locale alla festa e alla preghiera per la riapertura dell’edificio sacro restaurato e riconsegnato alla gente del luogo dopo i lavori curati dalla Diocesi di Alife-Caiazzo con i fondi dell’8xMille alla Chiesa Cattolica destinati al recupero dei luoghi di culto.

Due anni di cantiere (dal 2017 al 2019) per risanare la chiesa danneggiata da infiltrazioni, muffe e crepe nella cupola, e il campanile ugualmente segnato da agenti meteorici che ne deturpavano l’aspetto oltre che rendere fragile le struttura stessa. Lavori esterni ed interni che hanno reso all’antica chiesa del borgo caiatino (le cui origini risalgono al 1600) un nuovo e dignitoso aspetto, oltre che ridonato la sua funzione specifica.

Avvenimento, quello di ieri sera, che appartiene alla comunità; festa di chi si ritrova e si riscopre famiglia riconoscendo in questi luoghi – come la chiesa – la storia delle proprie origini, di una identità da custodire, di chi è cresciuto nella fede e l’ha trasmessa; ma anche esperienza per chi in questi piccoli eventi  partecipa e condivide la gioia del presente – per l’attenzione che la Chiesa diocesana costantemente manifesta per le sue realtà figlie – e la speranza del futuro, cioè di chi decide di continuare ad abitare questi borghi e farne dimensione di vita quotidiana. Ieri sera c’erano tutti i bambini, i giovani, le famiglie, gli anziani a testimoniare tutto questo.

Invito alla coesione e alla comunione da parte del Vescovo Orazio Francesco Piazza che ha riaperto le porte della chiesa e nell’omelia, ha anticipato secondo il suo ruolo di Pastore, la riflessione sull’edificio-chiesa, intesa quale comunità di credenti “il cui architetto sta lassù: lo Spirito Santo che deve innestare dentro di noi vincoli di coesione“. Due le immagini scelte dal Vescovo, una “sapiente”, l’altra “dotta”. La prima affonda il suo senso nella saggezza dell’esperienza umana, l’altra in quella intellettuale.
La prima legata ai ricordi personali, “molto familiare a me che vengo da una famiglia di lavoratori… Papà era muratore. Quando, un tempo si costruivano le case (…) lui si danna va l’anima a sfaccettare le pietre, i blocchi di tufo: più si smussano le pietre, meno calce ci devi mettere, mi diceva, perchè più combaciano; ma se sono piene di spigoli devi mettere molto cemento”. Da una sapienza antica, di famiglia, la domanda del Vescovo: “Lo vogliamo tradurre in teologia? Se ognuno di noi che costituisce la Chiesa è una pietra di questo corpo e di questo edificio, non smussa un poco gli spigoli, sapete quanta calce, che si chiama carità, ci vuole?”
Migliorare se stessii e purificare le spigolature della propria condizione: le richieste del Pastore. “Ecco perchè l’opera di Dio che ci costituisce in unità ha bisogno della vostra opera di sfaccettatura, di messa a punto, in modo che le due facciate possano coincidere al meglio…”.

La seconda immagine utilizzata dal Vescovo, si lega alla letteratura inglese fine XIX secolo: il romanzo fantascientifico di Edwin A. Abbott Flatlandia-Racconto fantastico a più dimensioni, in cui l’autore descrive l’esitenza di un mondo piatto, a sole due dimensioni sconvolto un giorno dall’arrivo di una sfera, unico solido tridimensionale che fa irruzione nel contesto abitato da molteplici personalità e manifesta l’esistenza della terza dimensione, quella dell’altezza, esperienza difficile da accogliere per gli abitatori di quel mondo trincerati dietro le personali spigolature-convinzioni. Esperienza che in Abbot prelude all’apertura e alla provocazione anche di una quarta dimensione, di una condizione ancora superiore, ancora migliore.

Essere cristiani diversi e migliori: questa la provocazione pronunciata tra le righe e che il Vescovo ha consegnato ai presenti: varcare la soglia di questa chiesa, per uscirne diversi come coloro che “sanno incarnare nella vita i misteri di grazia che hanno sperimentato”. Invito conclusivo a portare la speranza, a riconquistare lo sguardo dei vicini, dei fratelli: “in quello che vivo, il meglio che posso”, il motto che Mons. Piazza ha lasciato ai presenti.

Accanto al Vescovo durante la celebrazione, il parroco don Jean Libog e il suo collaboratore diacono Raffaele Fazzone, poi i sacerdoti della forania di Caiazzo don Antonio Chichierchia, don Giovanni Fusco, Don Massimiliano Giannico, Don Francesco Monte, Don Antonio Di Lorenzo, Don Alessandro Occhibove; Don Armando Visone già parroco del posto.

Prima della benedizione finale, il parroco don Jean, prendendo la parola ha ringraziato per la presenza il Vescovo Piazza, il sindaco di Caiazzo Stefano Giaquinto e il Maresciallo dei Carabinieri Michele Fioraio; poi un pensiero a  quanti hanno assunto la responsabilità dei lavori e li hanno eseguiti: l’Ufficio Edilizia di Culto e Beni ecclesiastici della Diocesi nelle persone di don Alfonso Caso e don Antonio Sasso; la ditta (Mastio Restauri s.r.l.); gli architetti Gaetano e Gianmarco D’Alessio e l’architetto Enrico Bruno.
Un particolare pensiero di gratitudine al Vescovo Valentino Di Cerbo di cui don Jean ha ricordato non solo per quest’ultimo restauro consegnato alla Comunità, ma anche per i lavori precedentemente realizzati come il rifacimento della Cappella nell’ex edificio delle Suore in uso ai residenti e l’arredo di sedie donato personalmente per l’area presbiterale della chiesa.

La Chiesa di Ss. Giovanni e Paolo.
Tipologia e dettagli del restauro

Il progetto dei lavori redatto nel 2013 è stato presentato alla Conferenza Episcopale Italiana nel 2014 per l’ottenimento dei fondi dell’8xMille alla Chiesa cattolica riservati al recupero degli edifici di culto. Il lavoro è stato appaltato nel 2017 e consegnato nelle settimane passate.
Le lavorazioni sono state di tipo conservativo, tenendo presente la necessità di non usare tecniche invasive e nel rispetto dei materiali e delle tecniche tradizionali, nonché degli indirizzi dettati dalla Carta del Restauro Italiana e dalle prescrizioni fatte proprie dalla Soprintendenza MIBAC di Caserta in materia di restauro degli edifici di pregio architettonico.
Gli interventi, che oggi ci permettono di ammirare la struttura e garantirne una duratura conservazione sono stati i seguenti e nell’occasione sono stati illustrati da don Antonio Sasso (in riferimento alla storia del luogo) e dall’architetto Gianmarco D’Alessio: rifacimento del sistema di coperture; realizzazione del nuovo sistema di smaltimento delle acque meteoriche; ricostruzione parti mancanti fregi stucchi; rimozione rifacimento intonaci esterni ammalorati; ripristino degli stucchi e tinteggiatura; restauro elementi lignei; tinteggiatura di tutti gli ambienti interni con pittura a calce; pavimentazione interna in cotto.

 

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