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Ogni epoca ha la sua epidemia. In poche parole: ci siamo già passati

Una nuova rubrica, un nuovo spazio culturale dedicato ai nostri lettori: ogni epoca ha la sua epidemia e la sua coraggiosa società disposta ad affrontarla. Ve ne parleremo con uscite periodiche a partire da questo particolare momento storico

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Epidemie, paura della morte, resilienza della coesione sociale.
Vi raccontiamo tutto questo nella nuova ribrica di Clarus “Tutto sotto controllo“, attraverso le pagine della letteratura mondiale. Testi noti o poco conosciuti in cui protagonista è sempre l’uomo e la sua capacità di guardare avanti, di andare oltre.
Anche questo, da parte della nostra testata, vuole essere un contributo a vivere e condividere “il tempo del Coronavirus” con una proposta fuori dal comune, ma di attualità e di intelligente provocazione.
Ad occuparsene sarà Luca Di Lello (nella foto), giovane di Castello del Matese, laureato in Lingua e letteratura italiana, collaboratore della Biblioteca diocesana San Tommaso d’Aquino, attualmente allievo della Scuola Vaticana di Biblioteconomia.

A cura di Luca Di Lello

Nella letteratura occidentale la rappresentazione dell’epidemia ha fatto la sua comparsa molto presto. Come ogni episodio che incute nell’animo umano svariati e sfumati sentimenti. Affanno, incertezza, spaesamento. Ma anche speranza, esperienza e umanità. Come descrivere tutto questo? Ma soprattutto come raccontarlo? Come narralo? E nelle epoche che si sono succedute come è cambiato l’approccio al tema? Come cambiano nel tempo, le espressioni di dolore? C’è per esempio differenza tra l’esperienza di un antico storico greco che assiste alla famosa peste di Atene, e quella che Camus immagina colpire la città algerina di Orano, nel suo romanzo La peste?

La letteratura può fare tutto questo. Non può dare le conclusioni della scienza, non può e non deve sfornare le soluzioni politiche ma può fornire la facoltà di uno sguardo vergine, alternativo e critico su ciò che accade, su come trasforma l’essere umano. Anche ieri, tra i messaggi e gli appelli di autorità e protezione civile che si rincorrevano, sui social è stata ripetutamente condivisa un bellissimo componimento della poetessa Mariangela Gualtieri intitolato Nove marzo duemilaventi. In molti si sono rivisti nei suoi versi (Adesso siamo a casa/ E c’è dell’oro, credo, in questo tempo strano. / Forse ci sono doni. / Pepite d’oro per noi. Se ci aiutiamo. / C’è un molto forte richiamo / della specie ora e come specie adesso / deve pensarsi ognuno. Un comune destino / ci tiene qui. Lo sapevamo. Ma non troppo bene / o tutti quanti o nessuno.)

E poi c’è, inevitabilmente, il tema di tutti i disastri. La resilienza della coesione sociale. Come, cioè le società si organizzano a fronteggiare il male, come l’emergenza può essere spia di malfunzionamenti pregressi dei processi sociali, di come la società possa reagire compatta, di come possa invece disgregarsi. Anche oggi occorre, in un certo qual modo, una mobilitazione. Nessuno sforzo dell’autorità può funzionare senza la risposta dei singoli comportamenti umani coesi. Ed è qui che vanno chiamati in causa il grado di attaccamento dei cittadini alle istituzioni e il senso di rispetto dell’altro. E tutto questo non può che riscontrarsi in un repertorio vastissimo che è, ancora una volta, la letteratura.

Vediamo infatti oggi lo stesso rigore scientifico in alcune descrizioni che leggiamo nelle ultime pagine del De Rerum Natura di Lucrezio di oltre duemila anni fa. E che dire delle accuse infondate e capziose delle prime ore lanciate verso la libera circolazione delle merci e degli esseri umani?
Non sono forse le stesse che descrive nel suo Diario dell’anno della peste Daniel Defoe quando descrive i timori dei londinesi sulla peste che stava flagellando la città portuale di Marsiglia nel 1720? Le aggressioni a ragazzi che avevano la sola colpa di essere di origine cinese non sono forse simili, a trecentocinquanta anni di distanza al seguente passo dei Promessi sposi?

Nella chiesa di sant’Antonio, un giorno di non so quale solennità, un vecchio più che ottuagenario, dopo aver pregato alquanto inginocchioni, volle mettersi a sedere; e prima, con la cappa, spolverò la panca. “Quel vecchio unge le panche!” gridarono a una voce alcune donne che vider l’atto. La gente che si trovava in chiesa (in chiesa!), fu addosso al vecchio; lo prendon per i capelli, bianchi com’erano; lo carican di pugni e di calci; parte lo tirano, parte lo spingon fuori; se non lo finirono, fu per istrascinarlo, così semivivo, alla prigione, ai giudici, alle torture.»).

E infine, la figura del dottor Rieux in La Peste di Camus, ostinato dunque, sul lavoro d’ogni giorno, quanto ci comunica del prezioso lavoro svolto da tutto il personale sanitario oggi che è distrutto da turni massacranti abbiamo fino a ieri dato per scontato? Abbiamo nei libri pagine straordinarie. Che ci serviranno molto. E cosa c’è di meglio di una buona lettura in questi periodi di quarantena in cui possiamo fermarci a pensare noi stessi? Proprio come la conclusione della poesia citata sopra, noi  «Saremo qui, più attenti credo. Più delicata / la nostra mano starà dentro il fare della vita. / Adesso lo sappiamo quanto è triste / stare lontani un metro.»

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