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Alife / Hollywood. Mario ed Helena sognano il premio Oscar con “Umbrella”, cortometraggio di animazione della brasiliana StratoStorm

Umbrella è muto, ma comunica più di tante parole o frasi che in una simile storia sarebbero scontate. "È una storia che avevamo pronta da anni, ma era questo il tempo maturo per farla vivere", così Mario Pece autore, insieme alla moglie Helena Hilario, del corto di animazione

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Umbrella racchiude più di un messaggio: empatia, amore, accoglienza, nessuna forma di razzismo e di giudizio verso l’altro… È la scelta di fondo del cortometraggio di animazione della Stratostorm in corsa per la candidatura all’Oscar, scritto, realizzato e prodotto in Brasile.

Alla regia di questo progetto Mario Pece ed Helena Hilario, lui italiano di Alife, lei brasiliana di São Paulo, fondatori di Stratostorm che hanno scritto, diretto e prodotto il cortometraggio: prima colleghi di studio e di lavoro a New York e oggi una affiatata coppia che coniuga vita affettiva e professionale distribuendosi tra i loro studios di Los Angeles e San Paolo del Brasile lavorando principalmente alla realizzazione di effetti speciali per il cinema, il web, il mondo della musica.

La trama del corto si ispira ad una storia vera con cui la famiglia Hilario si imbatte nell’ormai lontano 2011 e diventa subito occasione per immaginarla sullo schermo, “ma – spiega Mario Pece – dovevamo crescere per farne il prodotto che oggi ha superato il giudizio positivo di decine di Festival internazionali ed è pronto per una candidatura all’Oscar”. Uno degli ultimi riconoscimenti – ma lo raccontiamo perché porta un nome e una storia italiani, di una rassegna dai valori di famiglia – gli è stato conferito a dicembre dal Giffoni Winter Edition 2020.

Fiato sospeso per Stratostorm come per i grandi del cinema di animazione quali Disney, Pixar e la nuova Netflix, tutti in attesa di conoscere chi potrà accedere al tempio del cinema internazionale e portare a casa il premio e la chiave che aprirebbe nuove strade…

Umbrella è muto, ma comunica più di tante parole o frasi che in una simile storia sarebbero scontate o già sentite: la musica interpreta per ciascuno dei suoi personaggi le paure, le emozioni, la curiosità, la speranza e il sogno dei giovani protagonisti del racconto: siamo in una casa famiglia, in un luogo del mondo che potrebbe essere qualunque posto, identificabile con tante città o paesi del mondo, dove la semplicità di un ombrello giallo riaccendo la speranza di un bambino triste e dove l’empatia di una sua nuova amica squarcia il cielo triste della sua vita: “Abbiamo scelto una dimensione universale, in cui tanti si potessero identificare – continua Mario Pece. Colori intensi, sguardi altrettanto forti, case, strade, luoghi come quelli della vita comune di noi tutti per far sentire Umbrella quanto più vicino ai sentimenti di tutti”.

Il Brasile è entusiasta di portare ad Hollywood il suo primo corto di animazione: giornali, tv, canali social del Paese incalzano la Stratostorm di Mario ed Helena con interviste e richieste di contatti facendo sentire tutta la tensione e l’emozione ma soprattutto la riconoscenza per questa piccola grande impresa. E di impresa si tratta visto che Umbrella è un progetto indipendente al 100%, non ha sponsorizzazioni esterne, non ha un precedente cinematografico che abbia spianato la strada ai suoi ideatori: “Quanto abbiamo iniziato a lavorare al corto – riprende Mario Pece – la squadra di Stratostorm era molto più piccola di quella di oggi che conta circa 30 persone tra tecnici e artisti. Quasi tre anni di lavoro prima di approdare al risultato finale: un gran lavoro di squadra inclusa la bellissima esperienza della registrazione della colonna sonora (anch’essa scritta in Brasile) presso i Capitol Studios di Hollywood con un’orchestra di 30 musicisti (guarda il video).

“Massima fiducia all’Accademy del Premio Oscar”, conclude Mario. “Confidiamo nella serietà del lavoro che in queste settimane stanno svolgendo vagliando il materiale cinematografico tra cui anche il nostro… Qualunque dovesse essere il risultato, saremo riconoscenti per lo stile e l’attenzione con cui il nostro lavoro verrà trattato: l’Accademy ha a cuore le storie di chi si mette a fare cinema a partire da forze e competenze totalmente indipendenti da grandi sponsorizzazioni. Noi in questo progetto ci stiamo credendo”.

 Dagli inizi ad oggi 
Mario, originario della frazione di San Michele, sulle colline di Alife, dopo gli studi liceali a Piedimonte Matese si diletta con il nuovo che viene dal mondo del web e dalla tecnologia che il II millennio ha regalato all’umanità: il cinema e gli effetti speciali diventano il suo traguardo tanto da spingerlo a studiare negli Usa per perfezionare tecniche e teorie. È qui che conosce Helena Hilario. Ed è qui che si lancia nella sua brevissima prima prova cinematografica: si tratta di Alcatraz (che Clarus  nel 2012 raccontava nell’edizione magazine), un breve racconto fantastico narrato direttamente dalla storica prigione più volte diventata pellicola, che Mario realizza mettendo insieme la prima “scuola” vissuta negli States. Quasi un gioco, ma una prima grande sfida nel luogo che ha reso grandi e celebri tanti artisti del cinema.
Poi i progetti che prendono forma grazie anche al lavoro in coppia con Helena, i primi lavori sulla post produzione che diventa di fatto il suo lavoro, e la nascita di StratoStorm a San Paolo del Brasile: spot pubblicitari per il mercato sudamericano ed europeo, video musicali per la scena internazionale, fino a crescere nelle forme di un nuovo studio di produzione a Los Angeles.
Oggi StratoStorm, oltre a vantare il percorso che lo porta alle soglie degli Oscar, si occupa della versione brasiliana di Netflix: la proposta per l’utenza del Paese sudamericano è frutto degli studios di Mario ed Helena.

Se gli manca l’Italia e la sua calorosa famiglia? Una famiglia dove i legami vengono prima dei grandi risultati, o meglio, sono il presupposto da condividere prima di ogni importante decisione… “Certo che mi manca, tanto, troppo… Ma sono questi risultati e la totale immersione del lavoro, il premio che colma – in parte – la distanza e la nostalgia…”.

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